Essere cristiani è celebrare la vita, illuminare una storia che continua, che risorge sempre «il terzo giorno»
di Marco Pappalardo
Leopardi era pessimista, eppure anche lui continuava a sperare ogni singola volta. Non si è mai arreso: diceva che la felicità era solo un intervallo fra un dolore e l’altro, è vero. Ma non mi sembra che si sia mai rifiutato di cercare quegli intervalli ogni volta che era possibile. Anzi, è proprio dei pessimisti cercare di aggrapparsi come possono alla felicità ogni volta che la trovano. Perché per primi sanno quanto possa essere rara e preziosa».
Così scrive su un social network Sabrina, studentessa in vacanza del liceo scientifico e animatrice in oratorio.
La felicità non è la risata facile o l’ilarità smodata, non è la vittoria della propria squadra né una vincita alla lotteria, non è però neanche il pensare di aver trovato tutte le risposte ai propri problemi e ritenere di essere tanto nella verità che l’importante è che noi siamo felici e che magari la felicità dell’altro possa dipendere da noi. E per un cristiano che cos’è la felicità? Mi piace allora riportare una frase che mi ritorna in mente costantemente: Chi ha incontrato Gesù Cristo è felice, ma se non lo è, vuol dire che ha incontrato qualcun altro!
Un cristiano, dunque, può essere pessimista ed infelice? Può sempre lamentarsi? L’incontro con il Cristo della gioia ci richiama al dovere di impegnarci per una società che non trascuri le relazioni significative di ogni genere. Cosa fare dunque? La risposta è nel nostro quotidiano, l’impegno innanzitutto è quello di prendere coscienza del Battesimo e della Cresima ed essere testimoni veri e gioiosi dell’amore di Dio. Ciò significa non fare cose straordinarie, ma rendere tali quelle ordinarie. Proviamo a cambiare la nostra vita familiare, il rapporto con gli amici, quello con i più lontani, il nostro modo di studiare o lavorare, di fare volontariato, di vivere nella Chiesa; nel mutare queste cose, confrontiamoci costantemente con la Parola di Dio e con le Beatitudini.
Non mancheranno le difficoltà: si combatte con la crisi vocazionale, economica, educativa e dei valori; si lotta con la stanchezza, contro la routine, con gli insuccessi educativi, con le debolezze umane. Tutto ciò non si nasconde ma va offerto quotidianamente, alla luce del sole, con il sudore di ogni relazione importante e la costanza della preghiera. Qualcuno, forse un po’ sfiduciato, dirà: «Una volta era diverso, belli i tempi antichi, invece ora…». Da cristiani si sa, però, che "fare memoria" non è un nostalgico e malinconico ricordo, non è fissare le lapidi e le statue erette un tempo, ma è celebrare la vita, illuminare una storia che continua, che risorge sempre "il terzo giorno", pronti a perdere ciascuno qualcosa, magari a cambiare tutto, ma fiduciosi nell’annuncio della speranza. Nella società del "tutto e subito" vogliamo essere ancora testimoni credibili, apostoli attenti ai giovani e alle loro famiglie, coinvolgenti nelle proposte vocazionali, coraggiosi nella spinta missionaria, ricchi di forte spiritualità.