Francesco, le interviste e la piccola storia di un grande equivocodi Paolo Fucili
Alla velenosetta insinuazione ormai ci ha fatto il callo. Una volta, ad esempio, a santa Marta si parlava di ricchi padroni che non pagano i poveri operai, li sferzava (“Piangete e lamentatevi per le sciagure che stanno per venire su di voi! … Vi siete ingrassati come bestie per il giorno del macello”) l'apostolo Giacomo. “Se uno sente questo”, commentò Francesco, “può pensare: 'ma questo lo ha detto un comunista!' … No, no, lo ha detto Giacomo! E' parola del Signore!”
Tutto in genuino “Bergoglio-style”, anche dar voce ad immaginarie (ma mica poi tanto) obiezioni di immaginari interlocutori. Espediente “rivelatore” di un tratto caratteristico, non da oggi, del suo predicare: prendere ovvero a man bassa spunti dal vissuto quotidiano fatto pure di contatti e discussioni con gente dalle idee non proprio collimanti con le sue. E la “letteratura” non è poca.
Nel mare magnum di internet c'è un vecchio video in cui l'allora vescovo di Buenos Aires tuona contro la Caritas diocesana per una festa in onore di un collaboratore in un lussuoso ristorante della città, proprio accanto ad una “villas miseria” di quelle in cui Bergoglio era di casa. “'Padre, lei è un comunista!'. Forse… ma credo di no! Soltanto interpreto ciò che la Chiesa chiede. Lavorare nella Caritas chiede rinunce, chiede povertà spirituale…”.
La questione è tutto fuorché nuova. L'intervista al Messaggero di domenica ha soltanto rinfocolato l'annosa polemica sul Papa appunto presunto “comunista, pauperista, populista”, panni in cui a detta di un magistero ecclesiastico ricco e severo (e pure di una lunga storia) non dovrebbe sentirsi proprio a suo agio, osservava Franca Giansoldati. “Io dico solo che i comunisti ci hanno rubato la bandiera. La bandiera dei poveri è cristiana”, ha tagliato corto lui citando il Vangelo alle pagine a lui care del Giudizio finale (in cui è noto, saremo “assolti” se ci saremo presi cura di affamati, assetati eccetera eccetera) e delle Beatitudini. “I comunisti dicono che tutto questo è comunista. Sì, come no?, venti secoli dopo! Allora quando parlano si potrebbe dir loro: ma voi siete cristiani!”.
Il predecessore san Giovanni Paolo II passò alla storia in 27 vulcanici anni di pontificato come il benemerito “rottamatore” ante litteram del sistema di potere di quella ideologia, che oppresse per decenni la Polonia e tutto l'est Europa. Altra storia, altro retroterra “biografico” (chissà quanto si diverte a mescolarli nei conclavi l'insondabile Provvidenza celeste!) rispetto a quelli di Jorge Bergoglio. Costui invece ebbe addirittura amici comunisti, che nell'Argentina dell'epoca eran loro gli oppressi, ad esempio un'insegnante, “comunista fervente”, menzionata mesi fa dal Papa in un'altra intervista, torturata e uccisa ai tempi della dittatura militare degli anni '70-'80. Il materialismo comunista non sedusse mai, parola sua, il futuro Papa. Ma conoscere il comunismo “attraverso attraverso una persona coraggiosa e onesta mi è stato utile, ho capito alcune cose, un aspetto del sociale, che poi ritrovai nella dottrina sociale della Chiesa”, ha rivelato ad Eugenio Scalfari.
Poi venne il cristallino rigore intellettuale del Papa-teologo Joseph Ratzinger a tracciare la più lucida diagnosi del marxixmo di cui si abbia finora nozione, allorché spiegò nella sua enciclica “Spe salvi” che Marx in sostanza “ha dimenticato che l'uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato l'uomo e la sua libertà. Ha dimenticato che la libertà rimane sempre libertà, anche per il male. Credeva che, una volta messa a posto l'economia, tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo: l'uomo infatti non è solo il prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solo dall'esterno creando condizioni economiche favorevoli”.
Ed ecco quindi il “rivoluzionario” Francesco, altra “patente” che la vox populi gli ha affibbiato. Del resto lui stesso, appena eletto, ebbe a dire che “un cristiano, se non è rivoluzionario, in questo tempo non è cristiano!”, spiegando in seguito in un'altra intervista ancora (il “comunista” sul soglio di Pietro ha solleticato tutti gli intervistatori) che “per me la grande rivoluzione è andare alle radici, riconoscerle e vedere ciò che queste radici hanno da dire al giorno d'oggi. Non c'è contraddizione tra l'essere rivoluzionario ed andare alle radici”, ha detto giorni fa a La Vanguardia spagnola. I rivoluzionari in genere sono abituati semmai a tagliarle, le radici. E per l'immaginario collettivo son proprio i comunisti i “rivoluzionari per antonomasia, che proprio in nome del dare un taglio col passato hanno oppresso la Chiesa e i cristiani sempre ed ovunque abbiano conquistato il potere con le loro “rivoluzioni”, narra una triste storia. Dove sta dunque la soluzione dell'intricato rebus del Papa “rivoluzionario” a suo dire, presunto “comunista” a detta di tanti?
Difficile rispondere se non con pochi e parziali cenni, partendo dall'idea stessa di “rivoluzione”, ma in senso cristiano. La rivoluzione del paradosso, l'affermazione stravagante o provocatoria che proprio contraddicendo il senso comune svela una profonda verità. Come il Vangelo e il suo protagonista, che si è fatto portavoce del più radicale sovvertimento di valori e logiche di potere e mondano “saper vivere”; ma non ha contrapposto se stesso e i suoi seguaci alle “forme” politiche che di quelle logiche si sono fatte forza. Ha strapazzato i ricchi pronosticando loro un ingresso a dir poco difficile nel regno dei cieli; ma neppure lui disdegnava di vestire “Armani”, come ha detto provocatoriamente (ma non del tutto a torto) un esperto vaticanista come Vittorio Messori sulla preziosa veste tessuta tutta di un pezzo che i soldati si giocarono a dadi. Ha esortato i discepoli vari a cogliere ovunque esso si trovi il bene, il vero, il bello; ma ha insegnato pure in tutte le salse che il Vangelo mai semplicemente si “adatta”, semmai esige che ci si adattiamo ad esso.
Cos'altro se non il paradosso conferisce al cristianesimo il suo sapore intenso e nuovo ad ogni assaggio? Quelle profondità di sapienza impossibile da scandagliare con categorie tutte terrene e materiali, specie quelle tanto labili quanto usurate della politica: conservazione e rivoluzione, destra e sinistra, comunismo e via discorrendo.
La dottrina sociale della Chiesa, quella che Bergoglio imparò ad apprezzare proprio grazie all'amica comunista, mette in guardia i cristiani da concezioni dell'uomo “accomunate dal tentativo di offuscarne l'immagine mediante la sottolineatura di una sola delle sue caratteristiche, a scapito di tutte le altre” (Compendio di Dottrina sociale della Chiesa, par. 124). Ecco quelle che Francesco e tanti altri prima di lui chiamano “ideologie”. Lui semmai è il primo a sentirsi tacciare spesso di comunismo. Ma “la povertà è una bandiera del Vangelo, non del comunismo: del Vangelo! Ma la povertà senza ideologia…”, aveva già detto lo scorso aprile conversando con dei giovani fiamminghi studenti di comunicazionie venuti a Roma a fare anch'essi la loro brava intervista a sua Santità; “io credo che i poveri sono al centro dell'annuncio di Gesù. Basta leggerlo. Il problema è che poi questo atteggiamento verso i poveri alcune volte nella storia è stato ideologizzato…”.
“Papa rivoluzionario” insomma va bene. Ma “Papa comunista”… a chi?