Esiste invece l’incapacità umana di spiegare tutto. Così dice la scienza empirica.di Giorgio Masiero
La scienza empirica non può dimostrare l’azione del caso né l’assenza d’intelligenza in nessun fenomeno naturale. Perché? Perché né l’uno né l’altra sono grandezze misurabili nel Sistema internazionale di unità di misura, taglierebbe corto Galileo Galileo. Per questo basilare motivo, la diatriba “Darwinismo contro Intelligent Design” (reale nei Paesi anglosassoni e inventata in Italia dai darwinisti per evitare il confronto epistemologico) è sul lato scientifico una gigantesca perdita di tempo.
Ai nostri giorni molti credono di sapere e nessuno ammette volentieri d’ignorare, cosicché la scappatoia del caso va di moda. È la parolina magica con cui molti divulgatori scientifici celano una verità sgradevole per il loro mestiere: la conoscenza imperfetta che ogni disciplina scientifica ha dei fattori in gioco in ogni fenomeno, per definizione di metodo scientifico. Quando questa imperfezione è determinante a impedirci predicibilità evocano il caso, allo stesso modo in cui gli antichi evocavano un nume per ogni fenomeno inspiegato, piuttosto che riconoscere la loro ignoranza.
Possiamo predire dove cadrà la pallina della roulette? No, perché è impossibile per dimostrazione matematica misurare, con la precisione necessaria a predire dove si fermerà, la velocità iniziale, la direzione e lo spin impressi alla pallina dal croupier, nonché tutte le forze e gli attriti che questa incontrerà durante il suo moto. Anche il fil di fumo della sigaretta d’un giocatore, o il respiro d’un altro, o le micro vibrazioni provocate dal passaggio di un’auto davanti al casino influiscono decisivamente sull’esito. La fisica, pur avendo le equazioni necessarie a calcolare la traiettoria, ha predicibilità zero e ciò i credenti postmoderni chiamano caso.
Aristotele definì il caso come intersezione di due linee indipendenti di causalità, riferendosi all’incontro di due effetti causati da due libere volontà. Io decido di andare a teatro, un amico decide autonomamente la stessa cosa e così c’incontriamo casualmente al teatro. Nell’Universo fisico però, quello della scienza naturale, non esistono linee causali indipendenti. Un asteroide colpì la penisola dello Yucatan 65 milioni di anni fa: la sua traiettoria, risultata dall’esplosione d’una supernova lontana, finì con l’intersecare l’orbita terrestre, risultata dalla contrazione della nebulosa all’origine del sistema solare. Anche la casualità di quell’evento – che ha solleticato la fantasia di tanti biologi evoluzionisti – è un eufemismo per velare la nostra incapacità predittiva.
La parola “caso” non è tabù, basta intendersi: mai siamo in presenza d’un Agente onnipotente occulto (il “caso assoluto”), né d’un mistero, ma solo dei limiti della scienza empirica. Misteriosa semmai è la testardaggine di coloro che si rifiutano di riconoscere quei limiti, ben stabiliti da Galileo e poi da Kurt Gödel, Karl Popper, Thomas Kuhn, ecc.; o che addirittura equiparano l’ignoranza alla somma sapienza, come ha fatto un biologo deboluccio in fisica e in epistemologia scrivendo che il caso è “la risposta soddisfacente per antonomasia” nei fenomeni dove “è dimostrato [sic!] che il caso è il motivo” del loro accadimento. Al contrario, il caso assoluto è la massima irrazionalità: l’essere che viene dal non essere. S’è mai udita contraddizione logica più grande?