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Toccare Dio

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Fabio Bartoli - La Fontana del Villaggio - pubblicato il 25/06/14
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Il senso della relazione: il tatto.
Dei cinque sensi il mio preferito è sicuramente il tatto.

Mi è sempre sembrato un po’ il parente povero tra i cinque.

La vista e l’udito si prendono quasi tutta la nostra attenzione, al gusto dedichiamo perfino trasmissioni televisive di successo, in cui cuochi rinomati si insultano come carrettieri, e l’olfatto è quello per cui spendiamo forse più denaro in creme deodoranti e profumi.

Eppure se sentiamo di essere vivi è perché qualcuno ci tocca.
Ricordo ancora come fosse ieri il giorno in cui, venticinque anni fa, posai le mani sulla spalle di una donna con un alzhaimer talmente avanzato da essere incapace di riconoscere perfino i figli e lei si girò di scatto e fissandomi negli occhi disse: “lei mi ha toccato con amore”.

Dei cinque sensi il tatto è quello che comunica meno informazioni, ma sono le più basilari, quelle indispensabili: ci sono, ti amo…

E’ anche però il senso che ha la più forte connotazione emotiva: nessuna immagine, nessun suono, nessun profumo ci commuoverà mai quanto una carezza, ci ferirà quanto uno schiaffo.

Non è forse vero che quando vogliamo dire che una cosa ci ha emozionato profondamente diciamo che ci ha “toccato”?
Deve essere per questo che mi sembra che la gente abbia sviluppato una sorta di fobia del contatto fisico.

Sarà perché passiamo ore e ore pressati come sardine nella Metro, abbracciati a perfetti sconosciuti, sarà perché le emozioni forti ci fanno paura e le desideriamo al tempo stesso, ma mi sembra che nessuno più si faccia toccare volentieri.

Ricordo ancora quanto mi impressionò a New York notare l’attenzione con cui la gente evitava di toccarsi in ascensore.
Ricordo un episodio gustoso, quando uscendo dall’ascensore quasi abbracciai una signora, la quale si ritrasse in maniera decisamente eccessiva (quasi mi dava uno schiaffo) e per scusarsi dopo un istante di imbarazzo si mise a ridere dicendo: “not without flowers and dinner”.
Come se toccarsi in ascensore fosse il preludio all’andare a letto insieme.
Per questo mi commuove nel profondo dell’animo il fatto che Gesù mi voglia toccare.

Gesù amava toccare la gente, i Vangeli ce lo mostrano continuamente che tocca.
Tocca tutti, uomini, donne, bambini, anziani.

Perfino gli intoccabili, i lebbrosi.

Per tutti ha una carezza, spesso impone le mani in segno di benedizione.
Ed io non posso fare a meno di chiedermi come sarà stato essere toccati da Lui?
Se è vero che il tatto è il senso che comunica le emozioni più forti, quelli che Lui ha toccato come hanno potuto sopravvivere? Come non sono caduti di schianto sopraffatti dalla gioia?
Nel libro dell’Esodo si dice che nessuno può vedere Dio e restare vivo e non sarà questo ancor più vero per quelli che lo toccano?

Eppure Gesù toccava tutti.

E tutti potevano toccarlo.

Non si sottraeva al contatto.
A volte si concede alla folla al punto che la gente lo spinge e lo preme da ogni parte.
Precisamente la situazione che io detesto, lo confesso.
Eppure Lui sembra trovarcisi perfettamente a suo agio.
Gesù vuole essere toccato anche da Tommaso: stendi qua la mano, toccami, sentila questa carne ferita, ancora sanguinante, calda d’amore.
Gesù si è inventato un modo per essere toccato da me.

Ogni giorno prendo il suo corpo tra le mani.
Lo accarezzo, lo bacio.
E’ pane, certo, ed è il suo corpo, la sua carne, la sua presenza.
E si consegna a me. Totalmente. Irrevocabilmente.
E anche da te vuole essere toccato.
Vuole sentire attraverso il tuo tocco che ci sei, che lo ami.
Pensa a questo la prossima volta che lo prenderai tra le mani.

Qui l’originale

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