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Cesare Prandelli, la coerenza nel fallimento

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Giuseppe Granieri - Aleteia - pubblicato il 25/06/14
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Mentre si dimette il tecnico della Nazionale e si apre il toto-Ct, facciamo un primo bilancioFALLIMENTO – Diciamolo subito, a scanso di equivoci: l’eliminazione dell’Italia di Prandelli dal Mondiale brasiliano rappresenta un fallimento. Un fallimento di natura sportiva, ma anche politico, sociale ed economico. Tre punti in tre partite, con una vittoria contro l’Inghilterra e due sconfitte contro Costa Rica e Uruguay (due team non certo irresistibili, come abbiamo avuto modo di vedere); pochissimi tiri in porta; tre formazioni differenti in 270 minuti; tourbillon di giocatori prima inseriti, poi tolti, e poi nuovamente mandati in campo; almeno 4 moduli diversi (dal 4-4-2 con la coppia Immobile-Balotelli, al 4-1-4-1 con De Rossi schermo davanti alla difesa, passando al 4-2-4 con Insigne-Cassano-Balotelli-Cerci in attacco, fino al 3-5-2 di marca juventina visto ieri), non possono avere altro nome che: fallimento.

PRANDELLI – Subito dopo aver pronunciato la parola fallimento, tocca fare il nome di Cesare Prandelli, allenatore/selezionatore dell’Italia dal 2010. E sì, perché questa eliminazione porta il suo nome. È ovvio che insieme all’ex allenatore del Parma in molti hanno sbagliato, dirigenti e giocatori compresi, ma è vero anche che in sede di preparazione a questa rassegna iridata al tecnico di Orzinuovi è stata data carta bianca sul tutto il progetto Italia. Uomini, convocazioni, moduli, preparazione, esclusioni: tutto porta la firma di mister Cesare.

COERENZA – E però, nonostante la delusione difficile da smaltire, l’evidente voglia di prendere un aereo e di catapultarsi dall’altra parte del mondo, Prandelli ci ha messo subito la faccia. Appena finita la partita, dopo aver parlato ai suoi dirigenti e agli ormai suoi ex giocatori, si è presentato in conferenza stampa e ha detto: “Mi dimetto da commissario tecnico dell’Italia. Il progetto tecnico è responsabilità mia, così come l’organizzazione e la preparazione, se non abbiamo avuto occasioni da gol è perché abbiamo dei limiti tecnici che non sono strutturali ma di qualità, la responsabilità è mia sulle decisioni, sui cambi, mi assumo tutta la responsabilità”. Ed è qui che c’è da apprezzare Cesare, l’uomo: un uomo che ha capito di aver sbagliato, che decide di fare un passo indietro, che decide di fare subito un passo indietro, che lascia la poltrona. Non si è quasi mai visto in Italia un dirigente che straccia un contratto e si tira fuori da un progetto ammettendo le sue colpe.

I GIOCATORI? – Un allenatore cerca di gestire al meglio i suoi uomini, prova a forgiarne il carattere, dà indicazioni tecnico/tattiche. Però, poi, in campo ci vanno loro, i giocatori. Più di qualche calciatore, anche questo fattore va detto a chiare lettere, è mancato, non si è proprio visto. La difesa non è sembrata imperforabile, il solo Buffon sempre sul pezzo e se non ci fosse stato lui ieri sera contro gli uomini di Tabàrez il passivo sarebbe stato più rotondo. Retroguardia insicura, impacciata, colpevole di gol non certo irresistibili, e il pensiero va a Godìn (gol di nuca/spalla), ma anche alla Costa Rica, sempre con quel colpo di testa di Bryan Ruiz dimenticato da tutti. A centrocampo, Pirlo, comunque sempre sopra la sufficienza, non è stato quel faro e quel punto di riferimento come lo è nel centrocampo juventino. In attacco, poi, le note dolenti: Balotelli insufficiente, Immobile non pervenuto. E i vari Cerci, Insigne e Cassano, quando sono stati chiamati in causa, hanno dimostrato di non essere all’altezza della situazione. Ma è utile ed onesto sottolineare le buone prove di Darmian, Verratti e Candreva che, purtroppo, sono risultate essere vane ai fini del cammino mondiale.

A questa Italia è mancato il coraggio; il coraggio di provare ad osare, senza stare lì a puntare al pareggio, risultato che avrebbe permesso di accedere agli ottavi. A questa Italia è mancata la determinazione; quando sei determinato riesci nonostante tutto. E non serve, caro Prandelli, cambiare mille volte progetto tecnico, uomini, modulo. Si scende in campo per vincere, o per provare a farlo. Ma se non tiri verso la porta, come puoi sperare di segnare? Questa Italia non ci ha creduto.

RIPARTENZA – Servono nuovi uomini per un nuovo progetto. A delusione smaltita, ci si dovrà ritrovare tutti intorno ad un tavolo, a riprogrammare. Prandelli e Abete lasciano il posto ad altri, come è giusto che sia. Si fanno i nomi di Allegri, Mancini, Zaccheroni, Guidolin e Spalletti per la panchina. Contano gli uomini, conta il progetto. Ma conta soprattutto CREDERCI

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