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L’uomo politico pro-vocato dagli insegnamenti del Battista

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I tre pilastri della predicazione dell’ultimo profeta della Bibbia: dare, ritorno all’onestà, non far piangere i deboli
Giovanni Battista è il santo più raffigurato nell’arte cristiana. Riconoscerlo è facile: porta un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; si cibava di locuste e miele selvatico; il suo nome (dall’ebraico Iehóhanan), significa: “Dio è propizio”. Lo si raffigura sempre con un agnellino.

È l’ultimo profeta dell’Antico Testamento. La Chiesa lo ricorda sia nel giorno della sua morte (29 agosto) sia nel giorno della sua nascita terrena (24 giugno) per richiamare i sei mesi prima della nascita di Gesù, secondo le parole dell’arcangelo Gabriele a Maria.
Secondo una tradizione del IV sec. è nato ad Ain Karim a circa sette km ad Ovest di Gerusalemme; appartiene a una famiglia sacerdotale, suo padre Zaccaria era della classe di Abia e la madre Elisabetta, discendeva da Aronne. “Si chiamerà Giovanni”, affermò suo padre.
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio (28-29 d.C.), inizia la sua missione lungo il fiume Giordano: predica e battezza; è da qui che viene il nome di Battista.

Quando battezza Gesù, Giovanni svela l’identità di Dio: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato dal mondo!”. Annuncia che Dio è debole, fragile e buono come un agnello, il suo sacrificio salverà l’uomo dalla morte. Da quel momento Giovanni confida: “Ora la mia gioia è completa. Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv. 3, 29-30).
Muore decapitato. La sua testa è chiesta da un capriccio di Salomé, figlia di Erodiade moglie illegittima del re d’Israele Erode Antipa († 40 d.C.).

La sua vita non trova pace nemmeno in morte. Nel 361-362 ai tempi dell’imperatore Giuliano l’Apostata, il suo sepolcro è profanato e bruciato. Le sue ceneri (per la tradizione) si trovano nella cattedrale di S. Lorenzo a Genova, portate dai crociati nel 1098. Questa è la storia del nostro che custodisce anche le città di Torino, Firenze, Genova, Ragusa ecc.
Cosa puoi dire oggi ai credenti e ai non credenti?

Egli rilancia un verbo forte: “dare”. È il verbo che scolpisce un futuro nuovo. La nuova legge di un mercato diverso e umano: invece dell’accumulo, il dono; invece dello spreco la sobrietà, invece del successo fare spazio ad un Altro.
Di sé offre tutto: tempo, presenza, denaro, affetto, correttezza, trasparenza.
Il Battista dice: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto» (v. 11). Qui possiamo vedere un criterio di giustizia, animato dalla carità. Ha affermato Benedetto XVI: “La giustizia chiede di superare lo squilibrio tra chi ha il superfluo e chi manca del necessario; la carità spinge ad essere attento all’altro e ad andare incontro al suo bisogno, invece di trovare giustificazioni per difendere i propri interessi. Giustizia e carità non si oppongono, ma sono entrambe necessarie e si completano a vicenda”.

«L’amore sarà sempre necessario, anche nella società più giusta», perché «sempre ci saranno situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il prossimo« (Enc. Deus caritas est, 28).
Poi ci insegna il ritorno all’onestà, ricominciare dalla legalità a partire da me e dai miei comportamenti più semplici: onesto perfino nelle piccole cose.
Il suo terzo insegnamento è per coloro che governano: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno”. Non approfittate del ruolo per umiliare e far piangere.
È sempre lo stesso principio: prima le persone, poi le leggi. La misericordia prima della punizione. E quando si punisce farlo umanamente.

E’ per lui che è stata scritta la poesia “Il viaggio”

Non mi siederò inerte pensandomi
Ma ti seguirò
In viaggio
Senza tregua:
il tempo è breve
e non regala favori.

 Qui l’originale

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