Il Papa in due diversi interventi di ieri
Il 20 giugno 2014 Papa Francesco ha ricevuto in udienza prima i partecipanti all’International Drug Enforcement Conference, poi i congressisti del convegno internazionale «La libertà religiosa secondo il diritto internazionale e il conflitto globale dei valori», pronunciando due importanti discorsi.
Ai partecipanti al convegno sulle droghe il Papa ha rivolto un accorato discorso nel quale ha ribadito sia la famosa affermazione del suo predecessore san Giovanni Paolo II (1920-2005) secondo cui la droga non si vince con la droga, sia la posizione del Magistero cattolico che contesta ogni legalizzazione o liberalizzazione come risposta inadeguata a un problema drammatico.
Con la droga – ha detto il Papa – non si viene a patti, non si negozia, non si cede, perché brucia la giovinezza di chi ha pensato di trovarvi un momentaneo conforto. «Il flagello della droga – ha aggiunto Papa Francesco – continua a imperversare in forme e dimensioni impressionanti, alimentato da un mercato turpe, che scavalca confini nazionali e continentali. In tal modo continua a crescere il pericolo per i giovani e gli adolescenti. Di fronte a tale fenomeno, sento il bisogno di manifestare il mio dolore e la mia preoccupazione».
La preoccupazione del Magistero, però, non è mai stata generica. Richiamando i Papi suoi predecessori, Francesco ha voluto «ribadire con molta chiarezza: La droga non si vince con la droga! La droga è un male, e con il male non ci possono essere cedimenti o compromessi. Pensare di poter ridurre il danno, consentendo l’uso di psicofarmaci a quelle persone che continuano ad usare droga, non risolve affatto il problema. Le legalizzazioni delle cosiddette “droghe leggere”, anche parziali, oltre ad essere quanto meno discutibili sul piano legislativo, non producono gli effetti che si erano prefisse».
Ci sono Paesi come l’Italia che hanno scelto la strada, mai approvata dal Magistero cattolico, della legalizzazione. Altri insistono nel somministrare ai tossicodipendenti «droghe sostitutive», che per il Papa non sono però una soluzione ma solo «un modo velato di arrendersi al fenomeno».
Di fronte a tanti politici, anche sedicenti cattolici, che utilizzano giri di parole o cedono alla pressione della mentalità dominante, la Chiesa – ha ribadito il Pontefice – dice «no ad ogni tipo di droga. Semplicemente. No ad ogni tipo di droga». Ma «per dire questo no, bisogna dire sì alla vita, sì all’amore, sì agli altri, sì all’educazione, sì allo sport, sì al lavoro», affrontando anche le cause della tossicodipendenza. «Pensiamo ad un giovane: né, né. Né studia né lavora. Entra in questa mancanza di orizzonte, di speranza e la prima offerta sono le dipendenze, tra le quali la droga». La prevenzione della droga passa per il lavoro, l’educazione, lo sport e anche una generale «sanità di vita». Quando si dice sì all’amore di Dio e all’amore per gli altri, «non c’è posto per la droga», come per altre dipendenze.
La Chiesa e altre agenzie, ha affermato il Pontefice, fanno molto bene nel lavoro di recupero dei tossicodipendenti. Ma nello stesso tempo «bisogna lavorare sulla prevenzione. Quello farà molto bene. L’esempio di tanti giovani che, desiderosi di sottrarsi alla dipendenza dalla droga, si impegnano a ricostruire la loro vita, è uno stimolo a guardare in avanti con fiducia». Senza farsi tentare dalle scorciatoie della legalizzazione.
Un mondo che afferma un paradossale diritto alla droga oggi spesso nega la libertà religiosa. Nell’incontro con i partecipanti al convegno su questo secondo tema, Papa Francesco ha definito la dichiarazione «Dignitatis humanae» «uno dei documenti più importanti del Concilio Ecumenico Vaticano II», richiamandone l’affermazione secondo cui «ogni essere umano è un “cercatore” della verità circa la propria origine e il proprio destino. Nella sua mente e nel suo “cuore” sorgono interrogativi e pensieri che non possono essere repressi o soffocati, in quanto emergono dal profondo e sono connaturati all’intima essenza della persona. Sono domande religiose e hanno bisogno della libertà religiosa per manifestarsi pienamente».
L’uomo vivrebbe nell’oscurità se non si ponesse queste domande. «Esse cercano di far luce sull’autentico significato dell’esistenza, sul legame che la connette al cosmo e alla storia, e intendono squarciare il buio da cui sarebbe circondata la vicenda umana se tali quesiti non fossero posti e rimanessero senza risposte». Eppure, oggi c’è chi opera perché queste domande non siano neppure poste.
«La ragione – ha affermato il Papa – riconosce nella libertà religiosa un diritto fondamentale dell’uomo che riflette la sua più alta dignità, quella di poter cercare la verità e di aderirvi, e riconosce in essa una condizione indispensabile per poter dispiegare tutta la propria potenzialità». A fronte di equivoci correnti nel mondo islamico, che vorrebbero restringere la libertà religiosa alla sola sfera privata – libertà di pregare e di celebrare il culto, non di testimoniare e predicare fuori delle chiese –, il Pontefice ha ribadito che «la libertà religiosa non è solo quella di un pensiero o di un culto privato. È libertà di vivere secondo i principi etici conseguenti alla verità trovata, sia privatamente che pubblicamente». Il problema si pone anche in Occidente: «questa è una grande sfida nel mondo globalizzato, dove il pensiero debole – che è come una malattia – abbassa anche il livello etico generale, e in nome di un falso concetto di tolleranza si finisce per perseguitare coloro che difendono la verità sull’uomo e le sue conseguenze etiche».
La persecuzione di chi annuncia verità etiche che discendono dalla ragione e dalla fede, specie in tema di vita e di famiglia, è all’ordine del giorno anche in Europa e anche in Italia. Ecco allora il Papa affermare che la libertà religiosa è «un indicatore di una sana democrazia e una delle fonti principali della legittimità dello Stato». Se ne evince che la legittimità di uno Stato che neghi la libertà religiosa è per lo meno dubbia. «Alla luce delle acquisizioni della ragione, confermate e perfezionate dalla rivelazione, e del progresso civile dei popoli, risulta incomprensibile e preoccupante che, a tutt’oggi, nel mondo permangano discriminazioni e restrizioni di diritti per il solo fatto di appartenere e professare pubblicamente una determinata fede. È inaccettabile che addirittura sussistano vere e proprie persecuzioni per motivi di appartenenza religiosa! Anche guerre! Questo ferisce la ragione, attenta alla pace e umilia la dignità dell’uomo».
Queste persecuzioni – ha ricordato ancora una volta Papa Francesco – colpiscono soprattutto i cristiani. «È per me motivo di grande dolore – ha concluso – constatare che i cristiani nel mondo subiscono il maggior numero di tali discriminazioni. La persecuzione contro i cristiani oggi è addirittura più forte che nei primi secoli della Chiesa, e ci sono più cristiani martiri che in quell’epoca. Questo accade a più di 1700 anni dall’editto di Costantino, che concedeva la libertà ai cristiani di professare p
ubblicamente la loro fede». Occorre denunciarlo pubblicamente: e ricordare che la retta ragione «obbliga ogni ordinamento giuridico a rispettare e difendere la libertà religiosa». Solo in un mondo alla rovescia si riconosce un presunto diritto a drogarsi e si nega quello dei credenti a professare liberamente la verità naturale e religiosa, anche nelle sue conseguenze etiche.