Nuovo attacco alla famiglia naturale
"Chi cambia sesso – e tale decisione provoca lo scioglimento del suo matrimonio – deve poter mantenere, nel caso in cui entrambi i coniugi lo richiedano, un rapporto di coppia giuridicamente regolato con un’altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalita’ da statuirsi dal legislatore". Lo ha sancito la Corte Costituzionale, con sentenza depositata (Agi, 11 giugno).
La questione era stata sollevata da una coppia di Bologna in cui il marito, dopo il matrimonio, aveva fatto richiesta per il cambio di sesso il quale, una volta registrato presso l’anagrafe, aveva automaticamente sciolto il matrimonio. La coppia si è opposta facendo ricorso e questo è l’esito di quel procedimento.
I giudici – riporta Repubblica – hanno dunque ritenuto la legge 164 del 1982, sulle norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso, incostituzionale perché, sciolto il matrimonio in conseguenza del cambiamento di sesso, non prevede la possibilità alternativa che intervenga un’altra forma di convivenza giuridicamente riconosciuta (come ad esempio i Pacs francesi). La Corte segnala quindi quello che secondo lei è un vuoto normativo e la sentenza contiene infatti un invito al legislatore perché provveda nella direzione delle unioni civili o altre soluzioni per regolare forme di convivenza al di fuori del matrimonio: il legislatore, si legge nel dispositivo, deve introdurre "con la massima sollecitudine", "una forma alternativa (e diversa dal matrimonio) che consenta ai due coniugi di evitare il passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione, su tal piano, di assoluta indeterminatezza" (Repubblica, 12 giugno).
Aleteia ha chiesto un parere all’avvocato Giancarlo Cerrelli, Vicepresidente Nazionale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani e Segretario nazionale del Comitato “Sì alla famiglia!”
Avvocato, la sentenza della Consulta era inevitabile visti i precedenti?
Cerrelli: La posizione che ha assunto la Consulta con la sentenza 170/2014 non era inevitabile. Tale sentenza, invero, dichiara incostituzionali gli artt. 2 e 4 della legge 14 aprile 1982 n. 164, con riferimento all’art. 2 Cost., nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che comporta lo scioglimento del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, la cui disciplina rimane demandata alla discrezionalità di scelta del legislatore. In parole povere, la Consulta afferma che il cambio di sesso di uno dei coniugi pur sciogliendo il matrimonio, deve lasciare aperta la possibilità per la coppia che volesse restare unita, di poterlo fare sotto altra forma giuridica e dà mandato al legislatore, come già aveva fatto con la sentenza n. 138/2010, di disciplinare una nuova forma giuridica.
Che effetti comporta – secondo lei – sul piano del costume e come dovrà intervenire il legislatore?
Cerrelli: La pronuncia della Consulta si pone in linea con quell’orientamento culturale e giuridico, che ravvisa nell’ideologia del gender un punto di riferimento fondamentale. Tale ideologia privilegia il genere inteso come costrutto culturale, al sesso inteso come dato biologico. Pertanto il gender tende a propiziare la costruzione di una società artificiale che rende liquidi i rapporti tra gli individui, anche dal punto di vista sessuale. Tale sentenza, sollecitando il legislatore a creare un’alternativa giuridica, anche se diversa dal matrimonio e che consenta ai due coniugi di evitare il passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione di assoluta indeterminatezza, si pone in tale linea.
La Corte non sembra – tuttavia – aver equiparato matrimonio e unioni civili, cioé non ha detto al legislatore di allargare la definizione di matrimonio, ma solo di tenere conto di altri tipi di coppia. Si a Pacs e no ai cosiddetti "matrimoni egualitari"?
Cerrelli: La Corte pur non equiparando il matrimonio e le unioni civili registrate, pone le basi per la creazione di un nuovo istituto giuridico di cui non si capisce bene il senso. La Corte ritiene che sia diritto dei ricorrenti il mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata; ma mi chiedo che funzione sociale dovrebbe avere tale rapporto di coppia? Certamente non si può considerare la base di questo rapporto l’affetto, che non ha alcuna rilevanza giuridica nel nostro ordinamento. Ritengo, pertanto, che tale sentenza sia alquanto pericolosa perché si innesta in quel solco che mira al depotenziamento dell’istituto familiare. La pronuncia della Consulta, aprendo ad altre forme di famiglie, di fatto depotenzia la famiglia.