Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, un film sul fondatore di Solidarnoscdi Marianna Ninni
«I giovani dimenticano con grande facilità, e questo film l’ho girato apposta per loro, perché durasse la memoria di anni della nostra storia fondamentali per noi e per il destino dell’intera Europa». È con queste parole che il regista polacco Andrej Waida ha motivato la scelta di fare, oggi, un film sul leader politico e fondatore del sindacato di Solidarnosc, Lech Walesa. Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, il film sarà in sala da venerdì 6 giugno (a Milano è in programma presso il Cinema Palestrina) per celebrare anche la ricorrenza del 25° anniversario delle elezioni libere che si tennero in Polonia il 4 giugno del 1989 e segnarono la fine del regime comunista in carica fino ad allora.
Prendendo le mosse dall’intervista che la giornalista italiana Oriana Fallaci fece a Lech Walesa a Danzica nel 1981, Andrej Wajda racconta una pagina della storia del suo Paese che si apre con gli scontri e le rappresaglie dei primi scioperi di Danzica del 1970 e si chiude proprio nel 1989 con l’elezione di Walesa alle presidenza della Polonia (1990-1995). Di lì a poco, l’Europa dirà finalmente addio anche a quel muro di Berlino che per tanto tempo aveva diviso la Germania.
L’incontro tra queste due personalità dal carattere spigoloso e dall’atteggiamento quasi “dittatoriale”, come dice proprio Walesa, si sviluppa lungo l’intero arco narrativo del film e le domande pungenti della giornalista sono lo spunto per raccontare sempre qualcosa in più su quegli anni e svelare non solo gli avvenimenti storici ma soprattutto il ritratto di un uomo nella sua dimensione politico sociale così come in quella più intima.
Da un lato c’è il Walesa, leader indiscusso delle masse, elettricista dal temperamento risoluto, uomo presuntuoso, coraggioso nel dire sempre quello che pensa e determinato a non piegarsi nonostante i continui soprusi di un sistema che lo vuole in prigione un giorno sì e uno no. Dall’altro c’è il Walesa nella sua dimensione più quotidiana, marito amorevole e padre di sei figli, uomo sorretto dalla fede cristiana e dalla parola dell’allora Papa Giovanni Paolo II, in visita in Polonia nel 1979.
A commuovere nel film di Wajda è soprattutto la figura della moglie Danuta, una donna che lo accompagna in questa sua missione con pazienza e rassegnazione, nascondendo nelle pieghe del volto i segni di una sofferenza silenziosa. È lei a portare sulle spalle il peso di una situazione che diviene sempre più complicata a causa dei continui licenziamenti e arresti del marito e di una famiglia che diviene sempre più numerosa. Ed è lei a ritirare a Stoccolma, nel 1983, il Premio Nobel per la Pace assegnato a Walesa, assente proprio per il timore che quel regime non lo avrebbe fatto più rientrare in Polonia.
Attraverso una storia lineare e semplice, in cui le immagini di repertorio si mischiano a quelle della finzione cinematografica, Wajda dirige un film che poggia sulla bravura di interpreti somiglianti come Robert Wieckiewicz nei panni di Walesa, Maria Rosaria Omaggio nei panni della giornalista toscana, Agnieszka Grochowska in quelli della moglie Danuta, sul patrimonio e sulla memoria di un uomo che in un ventennio è riuscito a rivoluzionare un Paese senza mai rinnegare le sue origini di operaio e tenendo bene a mente che «Non c’è libertà senza solidarietà».
Quel motto forse risuona ancora nel ricordo di chi ha vissuto in prima persona quegli eventi tragici e importanti ma rischia di essere dimenticato e ignorato dalle generazioni più giovani. Forse non tutti i passaggi storici saranno chiari o comprensibili a chi, troppo giovane, di Solidarnosc non ha neanche mai sentito parlare, ma questo film di Andrej Wajda risuona come un monito morale a non dimenticare che la storia è fatta di uomini, piccoli grandi eroi, in grado di prendere un intero Paese per mano e guidarlo verso il cambiamento.