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Perché dopo la confessione sacramentale resta una pena da espiare?

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padre Angelo Bellon, o.p. - Aleteia - pubblicato il 05/06/14
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Il peccato ferisce e indebolisce il peccatore stesso, come anche le sue relazioni con Dio e con il prossimo

Quesito

Caro Padre Angelo,
io direi "carissimo" per riguardo e riconoscenza versi chi, come Lei, prodiga ed ha prodigata la sua vita per il bene degli altri. Fatto questo doveroso preambolo vorrei chiederLe una cosa che mi sta a cuore. Leggendo il "Trattato del Purgatorio" di Santa Caterina da Genova ed il relativo commento su internet mi sono imbattuto in una considerazione quella cioè che il pentimento e la confessione hanno sì il potere di redimere l'anima ma la pena ovvero la colpa resta e va comunque espiata. Corrisponde al vero od ho capito male io?
Grazie. 
Franco

Risposta del sacerdote

Carissimo Franco, 
1. mi scrivi: “il pentimento e la confessione hanno sì il potere di redimere l'anima ma la pena ovvero la colpa resta”. Il motivo della confusione che provi sta nel fatto che identifichi la pena con la colpa. Scrivi infatti: “ma la pena ovvero la colpa resta”. Con l’assoluzione del sacerdote la colpa viene rimessa, ma non viene del tutto rimessa la pena.
 
2. La pena resta in base al grado di pentimento o contrizione. Vi può essere un pentimento che rinnova nel più profondo una persona. Come è stato ad esempio il pentimento dei propri peccati avvertito una volta da  Santa Caterina da Siena prima di fare la Santa Comunione. Il beato Raimondo da Capua, confessore della Santa e poi Maestro generale dell’Ordine domenicano, scrive: “La notte avanti, mentre la vergine stava pregando e nella preghiera si accendeva di desiderio della santa Comunione, le fu rivelato che con certezza la mattina avrebbe fatto la santa Comunione… Avuta la rivelazione, subito si diede a supplicare il Signore, che si degnasse di purificare l'anima sua e la disponesse a ricevere degnamente un tanto venerabile Sacramento.
Mentre pregava e chiedeva con maggiore insistenza, sentì rovesciarsi sull'anima una pioggia abbondante a guisa di un fiume, ma non era né acqua né altro liquido comune: era sangue mescolato col fuoco. Per mezzo di questa pioggia sentì che l'anima sua si purificava con tanta veemenza, che anche il corpo subiva la stessa sensazione, e si sentiva purificare non già dalle sozzure, ma dalla corruzione del fomite” (B. Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena, Legenda maior, n. 188. La corruzione del fomite indica le cattive inclinazioni che ognuno di noi eredita dal peccato originale e che di fatto rimangono nella nostra anima anche dopo la confessione sacramentale.

3. Ebbene: se il nostro pentimento fosse come quello di S. Caterina da Siena non rimarrebbe alcuna pena da scontare. Ma ordinariamente questo non succede e proprio per tale motivo viene data la penitenza da compiere.

4. Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice: “Molti peccati recano offesa al prossimo. Bisogna fare il possibile per riparare (ad esempio restituire cose rubate, ristabilire la reputazione di chi è stato calunniato, risanare le ferite). La semplice giustizia lo esige. Ma, in più, il peccato ferisce e indebolisce il peccatore stesso, come anche le sue relazioni con Dio e con il prossimo.
L’assoluzione toglie il peccato, ma non porta rimedio a tutti i disordini che il peccato ha causato. Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora recuperare la piena salute spirituale.
Deve dunque fare qualcosa di più per riparare le proprie colpe: deve «soddisfare» in maniera adeguata o «espiare» i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche «penitenza» (CCC 1459).

5. Scrive il Catechismo Romano del Concilio di Trento: “Ascoltiamo su questo punto i Padri della Chiesa. È ancora san Bernardo ad ammonirci che nel peccato si riscontrano la macchia e la piaga; la prima è cancellata dalla divina misericordia, ma a risanare la seconda è indispensabile la medicina della penitenza. Come quando si rimargina una ferita rimangono delle cicatrici bisognose esse stesse di attenzione e di cura, così quando nell'anima si condona la colpa rimangono ancora tracce del peccato bisognose di rimedio. San Giovanni Crisostomo aveva già osservato che non basta estrarre dal corpo la freccia che ha colpito, ma bisogna curare la ferita che si è formata. Allo stesso modo, anche dopo il perdono, nell'anima rimane da curare la piaga che il peccato ha prodotto. Sant'Agostino, a sua volta, insegna espressamente che nel sacramento della Penitenza occorre distinguere la misericordia divina dalla giustizia divina; la prima rimette le colpe e la pena eterna meritata, la seconda infligge al peccatore le pene temporali dovute per la riparazione” (Catechismo Romano, 260).

Ecco dunque che è fatta chiarezza.
Ti saluto, ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

qui l'articolo originale

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