Siamo sempre più consapevoli che la vita è una, tanto nell’ambiente fisico quanto in quello digitale. Ma proprio per questo c’è uno stile di vita da ricercare anche sui social
Dei risultati della ricerca sull'uso di Facebook tra sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi presentati nel corso di "Churchbook. Tra social network e pastorale", il convegno svoltosi lo scorso 29 maggio presso la Cattolica di Milano, ha già riferito
Diego Andreatta. Il medesimo appuntamento è stato tuttavia ricco anche di altri spunti di riflessione che non sarà inutile, anche se brevemente, richiamare per sommi capi.Essenziale, a questo riguardo, è la realtà del Web 2.0, basato sul superamento delle tradizionali forme di intermediazione e fondato invece sulla partecipazione e sulla condivisione. Al centro, è stato sottolineato, c'è l'io e tutto intorno un mondo fatto di reti concentriche. È in questo contesto che è possibile affermare che l'abbondanza informativa imperante attualmente (tanto da poter affermare che il vero potere è costituito dalla conoscenza) se da un lato è un fenomeno da valutare positivamente perché può favorire la trasparenza, rischia tuttavia di trasformarsi in opacità. L'ambiente digitale (anche questo è stato un tema dibattuto) è estremamente importante anche per costruire ed ampliare un proprio spazio relazionale e quindi per offrire a se stessi notevoli opportunità di crescita personale.
Se questi sono stati i punti positivi emersi durante la giornata milanese, non sono mancate neppure le criticità, o meglio, le attenzioni da porre in atto per vivere al meglio nel mondo digitale e in particola modo dei social network. Il primo rischio da evitare è quello di chiudersi in "bozzoli confortevoli" cercando il contatto solo con chi la pensa come noi. Rischio presente anche nella vita fisica ma che rischia di essere ampliato in quella digitale. Altro rischio da evitare è quello di considerare la rete unicamente come un mezzo per fare proselitismo. È essenziale, invece, proporre uno stile di vita che sia il più possibile coinvolgente e condivisibile evitando anche che la religione sia vista come un prodotto da smerciare al pari di un altro. Anche la velocità, così connaturata all'ambiente digitale e fenomeno sostanzialmente positivo, può essere un'arma a doppio taglio se impedisce lo sviluppo del pensiero e della capacità espressiva e narrativa. Altra attenzione va posta a che in rete (vista in questo caso come un palcoscenico) non emerga unicamente l'aspetto emozionale e narcisistico, visto che siamo noi stessi i manager della nostra identità sociale.
Se un appunto può essere fatto all'interessantissima giornata milanese, è di aver trascurato completamente il mondo della messaggistica, in particolare applicazioni tipo WhatsApp, così ampiamente diffuse, specie tra le nuove generazioni, e considerate alla stregua di veri e propri social network. Ma magari il tutto sarà oggetto di altri appuntamenti. Per il momento, il convegno del 29 maggio ha già fornito ampio materiale di riflessione alla Chiesa italiana e alla società intera.
(si ringrazia Simona Borello per la collaborazione)