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Chiesa e media: quando Paolo VI fondò e difese Avvenire

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia - pubblicato il 03/06/14
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Un libro racconta una battaglia sconosciuta di Montini, primo sostenitore dell’idea di un quotidiano cattolico nazionaleIl rapporto tra Chiesa e media è più datato di quanto non si pensi. Se è negli anni ‘80, grazie alle intuizioni di san Giovanni Paolo II, che l’immagine si impone come strumento di comunicazione della Chiesa cattolica, il bisogno di evangelizzare attraverso i mass media, ed in particolare attraverso la parola scritta, fu avvertito già durante i primi anni del pontificato di Montini. Fu proprio lui, anche grazie alle sue esperienze giovanili da giornalista, a comprendere il beneficio che una voce unica estesa sul territorio nazionale avrebbe procurato – sono parole sue – alla “diffusione della parola di Verità”. Ma l’iniziativa che egli volle perseguire fu aspramente contrastata all’interno degli organi diocesani, ed il papa dovette far sentire con forza la propria voce. La storia, finora pressoché inedita, è stata raccontata da Eliana Versace in Paolo VI e Avvenire. Una pagina sconosciuta nella storia della Chiesa italiana (Studium, 2014), presentato il 29 maggio nell’aula magna dell’università LUMSA, a Roma. Aleteia ha intervistato la professoressa Versace, docente di Storia della Chiesa Contemporanea presso il medesimo ateneo.

Ci racconta brevemente la storia?

Versace: Quello del 1968 è un punto di arrivo, anche perché la tensione di Montini per la stampa cattolica c’era stata fin dalla sua giovinezza. Lui era giornalista, figlio di un giornalista, suo padre era il direttore di un giornale, ma lui stesso scriveva, sui periodici cattolici e soprattutto della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana). Successivamente segue i giornali cattolici da Sostituto in Segreteria di Stato: già in quegli anni gli viene in mente l’idea di allargare l’area di diffusione dei giornali cattolici maggiori, e cioè L’Italia di Milano e l’Avvenire d’Italia di Bologna. Quando diventa arcivescovo di Milano ha la responsabilità del giornale L’Italia, lo segue costantemente, s’interessa costantemente dei problemi della stampa cattolica, “auspicando un giornale cattolico nazionale”, così si esprime già negli anni di Milano, dicendo che un giornale cattolico è “organo di diffusione della parola di Verità”. Queste sono le sue parole. Quindi, nella sua ottica, un giornale è strumento di evangelizzazione. Quando diventa papa, nel 1963, ci sono grosse difficoltà finanziarie soprattutto all’Avvenire d’Italia di Bologna, che è finanziato principalmente dalla Santa Sede. Questa non può più ripianare il grosso deficit che si è creato nelle casse del giornale bolognese, circa un miliardo, e quindi viene avanzata la proposta di unificare quel giornale e L’Italia di Milano, creando così un quotidiano nazionale. I vescovi sono molto riluttanti, in particolare quelli delle due località dei due giornali di origine, e quindi la volontà del papa si deve imporre.

Quali sono i motivi di questa riluttanza?

Versace: L’episcopato italiano è molto giovane, la CEI nasce nel 1952, ma è solo nel 1964 con Paolo VI che tutti i vescovi italiani si riuniscono per la prima volta e vengono rappresentati da questo organismo. I vescovi sono legati alle loro realtà diocesane, ma anche alla stampa diocesana che è fiorente. Fanno fatica dunque ad accettare un giornale cattolico nazionale, perché ognuno presta attenzione al suo particolare. Questo è quello che Paolo VI vuole vincere, anche per compattare l’episcopato, per renderlo più unito e vicino al papa e formare così un episcopato nazionale. In più i vescovi di Milano e di Bologna vogliono che i loro episcopati vadano avanti, non vogliono rinunciare per un quotidiano nazionale di cui non si ha ancora idea, del quale non si sa quali saranno gli esiti.

Era la prima volta che un pontefice interveniva in modo diretto nel mondo dei media?

Versace: In questa maniera, assolutamente sì. Lo stesso Montini si era interessato, ma da Sostituto in Segreteria di Stato, dell’Osservatore Romano: era lui il referente per quanto riguardava le questioni di quel giornale, ne conosceva benissimo i giornalisti, molti dei quali erano i suoi ex amici “fucini”, che erano stati suoi assistenti. Mai un papa si era interessato così tanto di un giornale, in prima persona, neanche dell’Osservatore Romano. Non solo lo ha fondato, ma lo ha sostenuto economicamente, sentiva molto frequentemente il direttore, gli ripeteva “il primo giornale che io leggo al mattino è l’Avvenire”, chiedeva costantemente al segretario e al presidente della CEI di parlargli di Avvenire, faceva convocare riunioni in Segreteria di Stato per parlarne.

E il lettorato cattolico, come si comporta nei confronti del nuovo quotidiano?

Versace: L’Avvenire fatica proprio perché c’è una certa riluttanza da parte delle aree che avevano perso le loro testate. Soprattutto a Bologna c’è molta diffidenza verso questo giornale. Tuttavia, Avvenire si diffonde via via soprattutto nelle aree dove quei giornali erano diffusi: tutto il Nord e il Centro. Al Sud invece stenta molto ad affermarsi: anzi, è stato il papa a spingere perché si creasse un’edizione meridionale di Avvenire. I vescovi meridionali fecero una riunione nel ’71 proprio per prepararla, perché questo giornale diventasse veramente nazionale.

È con il ’68, quando le idee dei giovani cominciano a circolare su carta? Paolo VI si mostra all’altezza dei tempi?

Versace: Certamente. Lui in quell’anno tra l’altro fu contestato come mai era successo a un papa per l’Humanae Vitae, anche sulla stampa, e anche nel mondo cattolico subì critiche che lo turbarono tantissimo. Il direttore Narducci, che dal 1969 guidò Avvenire per 10 anni, disse che il suo giornale in quegli anni aveva fatto un’opera di “controinformazione” rispetto a tutta la stampa, facendo venir fuori a dispetto della Chiesa del dissenso, come si chiamava allora, la Chiesa del consenso, che non trovava spazio negli organi di stampa e nei mezzi di comunicazione.

Quell’atteggiamento di Paolo VI verso i media è poi proseguito negli anni successivi?

Versace: Certamente l’opera di sensibilizzazione nei confronti dei mezzi di comunicazione per la Chiesa, ma in particolare per la comunicazione del Vangelo, è avvenuta soprattutto grazie a Paolo VI. Intanto il Concilio aveva già promulgato un decreto, l’Inter Mirifica, ma già durante la Commissione preparatoria del Concilio, Montini era intervenuto proprio in merito allo schema sulle comunicazioni sociali. Egli chiese che il Concilio producesse un messaggio per raccomandare l’uso retto degli strumenti della comunicazione sociale. E quello che cercava di far capire lui, lo diceva in vari discorsi, era che la stampa cattolica era un’alleata del papa nel difficile compito di evangelizzare. Diceva: siate apostoli: dite parole, siano severe, siano facili, siano amichevoli, siano divertenti, siano solenni, ma che facciano del bene. Questo naturalmente, grazie alle nuove tecnologie, ha trovato un’espansione poi anche nell'ambito della televisione e dei nuovi media. 

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