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Transessuali: il corpo umano mente?

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Bioéticaweb - pubblicato il 27/05/14
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Malgrado gli slogan ideologici, la scienza afferma che la natura umana richiede coerenza tra i geni e il sesso fisiologicoAssistiamo a un esperimento antropologico, che si basa sulla biotecnologia, che pretende di condurre verso un tipo di essere umano per il quale non esistono sessi, “solo ruoli”, e secondo il quale l'identità sessuale, essere maschio o femmina, è una questione di libera scelta. Significa che il legame psicologico tra “me e il mio corpo” non è importante, o perfino non necessario?

Viviamo una crescente preoccupazione per la salute, il benessere fisico e l'apparenza. Significa che è possibile comprendere noi stessi, ciò che accade dentro di noi, al margine del proprio corpo?

Quando qualcosa, o qualcuno, ci colpisce e risveglia un sentimento, lo notiamo proprio nel corpo. Il nostro corpo ci mette in comunicazione con gli altri, e l'inverso accade con quello altrui. Possiamo farci capire e capire gli altri se creiamo una situazione di “disincontro” tra “me”, la mia intimità e il mio corpo?

Le conoscenze attuali della biologia umana, soprattutto i dati delle neuroscienze, relative all'identità sessuale ci permettono di analizzare con serenità, senza pregiudizi e senza giudizi di alcun tipo, né transfobie, cosa può rappresentare il fatto che una persona si “allontani” dal proprio corpo.

Il sesso corporale è determinato nell'eredità biologica ricevuta dai genitori. In primo luogo, per le diverse informazioni genetiche della coppia di cromosomi XX della donna o XY dell'uomo. In secondo luogo, perché gli standard della femminilità o della mascolinità si mettono in marcia ordinatamente attraverso componenti specifiche del cromosoma Y, o della coppia XX. La stessa eredità genetica – 23 coppie di cromosomi – è presente in tutte le cellule dell'organismo.

I geni delle cellule che costituiscono le gonadi – ovaie o testicoli –, che generano a loro volta le cellule della trasmissione della vita, sia femminili – ovuli – che maschili – spermatozoi –, così come le cellule che formano i genitali, e le cellule del cervello, si attivano o si mettono a tacere a tempo degli ormoni sessuali, la cui sintesi dirige l'assenza di un cromosoma Y nella donna o la sua presenza nell'uomo.

Gli organi riproduttivi e il cervello hanno sesso. Solo un corpo di donna forma e matura ovuli, e solo il corpo di un uomo produce spermatozoi. Lo stato del DNA degli ovuli è diverso dallo stato che ha il materiale genetico degli spermatozoi. Questo stato del DNA specifico di sesso viene chiamato impronta parentale.

È ben noto che perché un individuo viva e si sviluppi si richiede che la dotazione genetica ereditata, composta da 23 coppie di cromosomi, abbia l'impronta materna in uno dei cromosomi di ogni coppia e nell'altro cromosoma impronta paterna. Nei primati esiste una barriera biologica per ora insuperabile, che esclude la possibilità che nasca un figlio da un padre senza una madre o da una madre senza un padre. Almeno oggi, e non sembra essere in altro modo, ogni persona umana deve essere figlio/a di un uomo e una donna. Per ora, e probabilmente per sempre, l'idea di una riproduzione asessuale, naturale o artificiale, o mediante la manipolazione di due ovuli o di due spermatozoi non è altro che fantascienza. La biotecnologia non è riuscita a superare i limiti della biologia.

La produzione artificiale di ovuli o spermatozoi da cellule staminali immature di una donna o di un uomo non ha dato risultati, almeno fino ad oggi. La riproduzione artificiale esige donatori umani nel cui corpo si siano formati i gameti, ovuli o spermatozoi, o i loro precursori.

È possibile che la biotecnologia salti la necessità che si formino nel corpo di una donna o di un uomo, rispettivamente. Ma non per questo smetterebbe di essere umanamente molto significativo il fatto che l'identità propria di ogni persona venga fornita necessariamente dal padre e dalla madre “biologici”. Tecnicamente, si possono immagazzinare gameti e fecondarli, ma l'eredità genetica ha la sua storia, viene da un “tronco” familiare, con le sue predisposizioni, la sua propensione a certe malattie, oltre all'etnia, ai tratti del volto, ecc. Da ciò deriva il fatto che ogni persona ha il diritto di sapere da chi proviene, e con questo quale sia la sua identità biologica.

L'identità sessuale fa parte dell'identità biologica di ogni persona. L'“io” si somatizza nel corpo, che è sessuato. Il sesso cerebrale, psicologico, coincide con quello corporale, e dà luogo a un ampio margine di stili dei maschi e delle femmine. Il cervello ha sesso.

Ciò non implica il fatto di ignorare che esistano persone transessuali, che si sentono del sesso opposto a quello del proprio corpo, né ignorare che esistano persona con un disturbo dello sviluppo gonadico – “ovotesticolare” -, che presentano ambiguità nelle strutture gonadiche e nei genitali.

Oggi sappiamo che la causa di entrambe le condizioni è genetica. L'alterazione di uno o più geni porta con sé la deficienza di qualcuno degli enzimi legati al metabolismo degli ormoni sessuali, e con questo un deficit, o un eccesso, nell'azione che questi esercitano sulla regolazione di altri geni.

Durante la fase prenatale, i geni dei cromosomi sessuali stabiliscono le strutture dei testicoli o delle ovaie fetali che fabbricano gli ormoni. Anche il cervello riceve e metabolizza gli ormoni, in momenti adeguati e diversi da quelli del consolidamento delle gonadi. Mantiene un delicato equilibrio ormonale che traccia le linee maestre dello standard cerebrale maschile o femminile.

A differenza di qualsiasi altro organo, il cervello è plastico per tutta la vita. Si struttura e funziona a colpi di ormoni in alcune fasi iniziali della vita, e soprattutto di esperienze, dipendenze e decisioni. L'azione degli ormoni è particolarmente intensa nell'infanzia – prima pubertà – e nella pubertà con cui inizia l'adolescenza.

Si può affermare che l'azione diretta degli ormoni sessuali sul cervello sia un fattore fondamentale nello sviluppo dell'identità di genere, maschile o femminile. Ad ogni modo, non è sufficiente. Di fatto, ci sono differenze nella sensibilità agli androgeni, ci sono diversi livelli ormonali e dei recettori, captati perché esercitino la loro azione specifica sulle cellule sia degli organi riproduttivi che del cervello.

Per questo, esistono persone transessuali alle quali il corpo non dice la stessa cosa del loro “io”, ed esistono persone, in passato chiamate “intersessi” o “ermafroditi”, ai quali il corpo dà un messaggio ambiguo, perché soffre di un disturbo dello sviluppo ovotesticolare.

Nel caso della transessualità, le conoscenze attuali puntano a una disfunzione nella percezione cerebrale del proprio corpo, che non è una semplice questione di preferenza che dipende dal contesto sociale o dall'apprendimento. Per questo, la ricerca biomedica mette in discussione il fatto che l'armonia psiche/corporalità si raggiunga con gli interventi chirurgici e i trattamenti ormonali che cambiano il sesso genitale e i caratteri sessuali secondari e a loro volta hanno effetti sul cervello.

Le persone con un disturbo genetico dello sviluppo gonadico hanno strutture corporali con ambiguità sessuale, senza effetti cerebrali. I bambini che nascono a livello genetico e ormonale come maschi si identificano fin dall'infanzia come maschi, pur essendo stati spesso allevati ed educati come donne, e anche pur essendo stati sottoposti a una chirurgia “femminizzante” e “demascolinizzante” alla nascita.

A loro volta, le bambine sottoposte ad alti livello di androgeni – che derivano dalle ghiandole surrenali – nella fase prenatale hanno genitali mascolinizzati e solo in casi estremi presentano transessualità. Oggi possiamo sapere cosa ha provocato l'ambiguità gonadica, ed educarle per come sono realmente. I tempi in cui di fronte al dubbio si diceva “è una bambina” sono fortunatamente passati.

È un principio generale che il corpo umano non mente, e avvisa sempre di ciò che accade. Al contrario, il cervello può sbagliare nelle sue percezioni. Ma anche allora, tutto ciò che accade nella psiche viene somatizzato dal corpo. Le informazioni sui progressi compiuti in questo campo dalla neuroendocrinologia e dalla neuroimmagine devono essere resi noti, e bisognerebbe tenerne conto nell'educazione delle nuove generazioni. Gli slogan come “non esistono sessi, solo ruoli”, imposti fin dall'infanzia, non riconoscono ciò che la scienza esprime chiaramente: la natura umana esige coerenza ai livelli genetico e gonadico, perché l'“io” è somatizzato in un corpo che è sessuato.

Da poco più di un decennio, questo slogan è diventato l'icona della modernità, e alcuni difendono che questa prospettiva deve essere accettata e trasmessa fin dall'infanzia. L'idea soggiacente è liberarsi delle esigenze del proprio corpo, essere autonomi e autocostruire se stessi. Il sesso, si dice, non è altro che una funzione fisiologica, che offre solo il fatto di essere uomo o donna come uniche possibilità, mentre il genere si riferisce alle preferenze, e queste sono realtà sociali soggette a tutti i cambiamenti che si desiderano.

Ad ogni modo, come l'uguaglianza di diritti della donna con l'uomo è una questione sociale, culturale e giuridica, il superamento dei sessi esige l'intervento della biotecnologia. Si tratta di realizzare una rivoluzione dell'umanità opposta ai processi dell'evoluzione biologica. Per questo c'è una notevole rottura nel prospettare questo esperimento sull'identità di genere. La biologia umana, che non è mera zoologia, esprime chiaramente la specificità di un essere vivo culturale.

La biologia, ad ogni modo, non è cultura e non si cambia facilmente, né senza pagare un prezzo elevato. La persona, ciascuno degli uomini e delle donne, è un essere vivo culturale. Il protocollo di questo esperimento richiede di superare il tribunale della scienza. Che cosa presuppone il fatto di contrapporre in una persona il sesso biologico e quello psicologico e sociale? Che cos'è innato in questo, e cos'è invece culturale? Cosa offre la biotecnologia, di fatto, al cambiamento di sesso? Che garanzie di successo ci sono?

E se risultasse che l'esperimento non è valido, come pallieremmo le conseguenze nelle possibili vittime alle quali non è stata data l'opzione di scegliere di partecipare o meno all'esperimento?

Pubblicato sul Quaderno di Bioetica XXIII, 2012/2ª

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

 

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