E’ possibile una convivenza rispettosa tra cristianesimo, ebraismo e islamNella terza e conclusiva giornata del suo viaggio apostolico in Terrasanta, Papa Francesco ha ripreso uno dei grandi temi del suo pellegrinaggio – l'altro, ripetutamente sottolineato nei primi due giorni di viaggio, è la richiesta di piena libertà religiosa per i cristiani del Medio Oriente – cioè l'invito e la preghiera per la pace tramite il dialogo tra le religioni, chiamato a superare gli odi nati dai fondamentalismi e dalle ideologie, che hanno seminato nella storia una scia di sangue.
Il Papa ha incontrato anzitutto il Gran Muftì e i musulmani di Gerusalemme, cui ha ricordato che cristiani, ebrei e musulmani riconoscono tutti la figura di Abramo come padre della loro fede, anche se – a evitare facili assimilazioni – ha precisato che lo fanno «ciascuno in modo diverso». Come Abramo, ha detto il Pontefice alla delegazione islamica, «non possiamo mai ritenerci autosufficienti, padroni della nostra vita; non possiamo limitarci a rimanere chiusi, sicuri nelle nostre convinzioni. Davanti al mistero di Dio siamo tutti poveri, sentiamo di dover essere sempre pronti ad uscire da noi stessi, docili alla chiamata che Dio ci rivolge, aperti al futuro che Lui vuole costruire per noi».
Con i musulmani, ha affermato Francesco, possiamo «percorrere insieme un tratto di strada». Sappiamo che un tratto non è tutta la strada, e che c'è sempre il rischio che qualcuno «strumentalizzi per la violenza il nome di Dio». Nello stesso tempo, «non possiamo dimenticare […] che il pellegrinaggio di Abramo è stato anche una chiamata per la giustizia», e possiamo trovare un terreno di collaborazione in elementi di dottrina sociale che, al di là delle differenze religiose, possiamo riconoscere insieme.
Al presidente israeliano Shimon Peres il Pontefice ha detto che «va respinto con fermezza tutto ciò che si oppone al perseguimento della pace e di una rispettosa convivenza tra Ebrei, Cristiani e Musulmani: il ricorso alla violenza e al terrorismo, qualsiasi genere di discriminazione per motivi razziali o religiosi, la pretesa di imporre il proprio punto di vista a scapito dei diritti altrui, l’antisemitismo in tutte le sue possibili forme, così come la violenza o le manifestazioni di intolleranza contro persone o luoghi di culto ebrei, cristiani e musulmani». È noto quanto alla Santa Sede stia a cuore il libero accesso ai luoghi di pellegrinaggio della Terrasanta che, ha affermato Francesco rivolgendosi a Peres, «non sono musei o monumenti per turisti», ma luoghi di fede che «vanno perpetuamente salvaguardati nella loro sacralità».
Riprendendo l'espressione riferita agli ebrei da san Giovanni Paolo II (1920-2005), Papa Francesco ha lasciato una dedica ai «miei fratelli maggiori» sul libro d'onore del Muro del Pianto. In una fessura del Muro ha deposto una busta con un foglio su cui aveva scritto di suo pugno il «Padre Nostro» in lingua spagnola. Il Papa ha poi visitato il memoriale delle vittime del terrorismo – di cui ha rinnovato la severa condanna – e il mausoleo del fondatore del movimento sionista, Theodor Herzl (1860-1904). A proposito di quest'ultima visita, Radio Vaticana ha precisato che «la sosta è avvenuta in base al nuovo protocollo previsto da Israele per le visite ufficiali dei capi di Stato», sottolineando così implicitamente che essa non implica un'adesione del Papa o della Chiesa Cattolica alle idee politiche di Herzl.
Incontrando i due rabbini capo di Israele, di rito rispettivamente ashkenazita e sefardita, il Papa ha detto che «non si tratta solamente di stabilire, su di un piano umano, relazioni di reciproco rispetto: siamo chiamati, come Cristiani e come Ebrei, ad interrogarci in profondità sul significato spirituale del legame che ci unisce. Si tratta di un legame che viene dall’alto, che sorpassa la nostra volontà e che rimane integro, nonostante tutte le difficoltà di rapporti purtroppo vissute nella storia». «Da parte cattolica vi è certamente l’intenzione di considerare appieno il senso delle radici ebraiche della propria fede». Come è noto, l'interesse per il cristianesimo non è invece sempre incoraggiato negli ambienti ebraici. Il dialogo presuppone però, anche da questo punto di vista, una certa reciprocità. «Confido, con il vostro aiuto – ha detto il Pontefice ai rabbini – che anche da parte ebraica si mantenga, e se possibile si accresca, l’interesse per la conoscenza del cristianesimo, anche in questa terra benedetta in cui esso riconosce le proprie origini e specialmente tra le giovani generazioni».
Al memoriale e museo dello Yad Vashem, che commemora l'Olocausto, Papa Francesco ha nuovamente condannato l'antisemitismo, e ha ricordato il grido di Dio nel libro della Genesi: «Adamo, dove sei?». «In questa domanda – ha detto – c’è tutto il dolore del Padre che ha perso il figlio. Il Padre conosceva il rischio della libertà; sapeva che il figlio avrebbe potuto perdersi… ma forse nemmeno il Padre poteva immaginare una tale caduta, un tale abisso!». E quel grido di Dio risuona di nuovo di fronte all'«abisso senza fondo» delle tragedie scatenate dalle ideologie del XX secolo: «Uomo, chi sei? Non ti riconosco più. Chi sei, uomo? Chi sei diventato?Di quale orrore sei stato capace? Che cosa ti ha fatto cadere così in basso?».
Francesco ha fatto cenno anche allo Yad Vashem a un tema su cui torna spesso, quello dell'azione del Diavolo nella storia. «Questo abisso – ricorda Dio all'uomo – non può essere solo opera tua, delle tue mani, del tuo cuore… Chi ti ha corrotto? Chi ti ha sfigurato? Chi ti ha contagiato la presunzione di impadronirti del bene e del male? Chi ti ha convinto che eri dio? Non solo hai torturato e ucciso i tuoi fratelli, ma li hai offerti in sacrificio a te stesso, perché ti sei eretto a dio».
Ma l'azione del Diavolo non cancella la responsabilità degli uomini e la loro vergogna. «Dacci la grazia di vergognarci di ciò che, come uomini, siamo stati capaci di fare – ha chiesto a Dio il Pontefice -, di vergognarci di questa massima idolatria, di aver disprezzato e distrutto la nostra carne, quella che tu impastasti dal fango, quella che tu vivificasti col tuo alito di vita. Eccoci, Signore, con la vergogna di ciò che l’uomo, creato a tua immagine e somiglianza, è stato capace di fare».
Nella Messa al Cenacolo il Papa si è rivolto ai cristiani, invitandoli come gli è consueto a fare la loro parte, a «uscire», a essere missionari anche quando le condizioni esterne sono difficili. «Qui è nata la Chiesa, ed è nata in uscita. Da qui è partita, con il Pane spezzato tra le mani, le piaghe di Gesù negli occhi, e lo Spirito d’amore nel cuore. Gesù risorto, inviato dal Padre, nel Cenacolo comunicò agli Apostoli il suo stesso Spirito e con la sua forza li inviò a rinnovare la faccia della terra» «Uscire, partire, non vuol dire dimenticare – ha precisato il Pontefice -. La Chiesa in uscita custodisce la memoria di ciò che qui è accaduto; lo Spirito Paraclito le ricorda ogni parola, ogni gesto, e ne rivela il senso». Il Cenacolo ci ricorda il servizio, il sacrificio, l'amicizia. «Ma il Cenacolo – ha affermato Papa Francesco – ricorda anche la meschinità, la curiosità – “chi è colui che tradisce?” – il tradimento. E può essere ciascuno di noi, non solo e sempre gli altri, a rivivere questi atteggiamenti, quando guardiamo con sufficienza il fratello, lo giudichiamo; quando con i nostri peccati tradiamo Gesù».
«Il Cenacolo infine – ha concluso il Papa – ci ricorda la nascita della nuova famiglia, la Chiesa, la nostra santa Madre Chiesa gerarchica, costituita da Gesù risorto. Una famiglia che ha una Madre, la Vergine Maria. Le famiglie cristiane appartengono a questa grande famiglia, e in essa trovano luce e forza per camminare e rinnovarsi, attraverso le fatiche e le prove della vita».