La carta del cambiamento giocata dal PD non spaventa quanto le proposte di GrilloLa scarsa affluenza l’ha fatta ancora da padrone, in questa tornata elettorale. Meno di due italiani su tre si sono recati alle urne; tuttavia, coloro che l’hanno fatto hanno espresso in una percentuale che nessuno aveva previsto un forte consenso nei confronti del PD di Renzi. In calo, invece, il Movimento 5 stelle che resta comunque la seconda forza del Paese, seppur assai distante dal partito di maggioranza. L’interpretazione di questi dati elettorali, per molti versi anomale per il nostro sistema politico, si apre a diverse possibilità e spalanca scenari che potrebbero essere, ed è qui il paradosso, così innovativi da risultare decisamente “tradizionali”. Lo spiega ad Aleteia il prof. Francesco Bonini, docente di Storia delle Istituzioni Politiche presso la LUMSA.
L’ha sorpresa il trionfo del PD?
Bonini: L’affermazione del Partito Democratico è stata superiore alle aspettative ma è stata coerente con il tipo di campagna elettorale che il partito – e in particolare Renzi – ha condotto. Perché? Perché è stato molto enfatizzato il pericolo Grillo, e nello stesso tempo il governo e il suo leader si sono posti come l’unica credibile alternativa all’oggettiva, possibile deriva eversiva che lo stesso Grillo ha proposto nella fase conclusiva della campagna. Quindi Renzi da un lato è stato capace di porsi come alternativa al sistema, dall’altro come unica garanzia di governabilità. Grazie a questa sua capacità, possiamo dire, ha sparigliato.
I voti che Grillo ha perso sono andati al PD?
Bonini: E’ ancora presto per trarre delle conclusioni. L’unico dato quantitativo reale e fondamentale è che il Partito Democratico, rispetto a febbraio dello scorso anno, ha guadagnato 2,5 milioni di voti, Grillo ne ha persi 2,9, il centro ne ha persi 2,3, Forza Italia ne ha persi 2,7, e in generale si sono recati alle urne oltre 7 milioni in meno di elettori. Di fronte a tutti questi segni, l’unico dato che risalta maggiormente è quello del PD.
Quali sono le ragioni della flessione del Movimento 5 Stelle?
Bonini: Io credo che gli elettori più che per adesione votino per “paura”. Paradossalmente Grillo ha spaventato gli elettori, e ha creato un effetto di allontanamento: ovvero, non tutti coloro che avevano dato a Grillo un voto di protesta e per il cambiamento lo hanno confermato. Ha sempre ottenuto 5,7 milioni di voti, che comunque sono un patrimonio molto significativo: vale quanto il residuo del centro e di Forza Italia. E’ un capitale di voti notevole, ma che in questo momento non ha un preciso obiettivo politico e una precisa collocazione. Quindi risalta il disegno da parte di Renzi e del PD di essere l’unica forza catalizzatrice da un lato della governabilità, dall’altro delle oggettive istanze di cambiamento.
Forza Italia cala, ma rimane una forza decisiva nel quadro politico?
Bonini: Rimane una forza significativa. Per carità, le elezioni europee, che sono state fortemente politicizzate, restano delle elezioni di secondo ordine. Hanno votato 27,4 milioni di elettori, che sono una percentuale appena sufficiente, ed è stato un valore anche trainato dal fatto che in metà dei comuni italiani si votava; nell’altra metà il voto è stato veramente molto modesto. Quindi i risultati vanno presi con le molle. Certo, esiste una presenza consolidata di Forza Italia, 4,6 milioni di voti, come esiste una presenza consolidata della Lega Nord. Questi sono elementi da cui non si può prescindere. Certamente il patrimonio di voti e di consensi residui di Forza Italia giocherà un ruolo significativo nel processo di riforme ancora in atto, se decideranno di continuare a rappresentare un partner per le riforme, o se crederanno di avere troppo concesso alla oggettiva capacità di Renzi di sparigliare su tutti i tavoli. Indubbiamente si tratta di una presenza significativa in voto di una ristrutturazione del sistema politico italiano che queste elezioni certamente accelerano. Il cartello “lavori in corso” che era comparso sul sistema politico italiano nel febbraio del 2013 adesso è più che mai reale. Esiste questa proposta di ristrutturazione del sistema politico intorno al Partito Democratico che paradossalmente, in prospettiva, non ha neanche più bisogno di una legge maggioritaria, perché anche con un sistema di tipo proporzionale il PD è stato capace di porsi al centro e di fare da satellite per le altre forze di governo, ed in particolare per la galassia centrista.
Si parla di percentuali democristiane, anomale per un partito della sinistra: è il PD che si è spostato al centro, oppure è l’elettorato che è cambiato?
Bonini: Probabilmente queste elezioni, soprattutto la strategia di Renzi, dimostrano che la coppia antinomica “destra-sinistra” non ha avuto un ruolo significativo in questa campagna elettorale. Se è vero che gli elettori votano più per paura che per consenso, la paura non era quella dell’affermazione del PD, ma quella di un’affermazione di Grillo. L’indubbia capacità politica di Renzi, in un ruolo desolatamente vuoto di proposte di ampio spessore, è stata quella di accreditarsi come paladino del positivo nei confronti del pericolo. Anche con gli indirizzi social-moderati della sua politica, con l’abilità di venire incontro ad alcuni settori più disagiati della società ma nello stesso tempo guardarsi bene dal confliggere con i grandi poteri, come dimostrano le nomine fatte nei grandi enti pubblici, questa politica di equilibrio gli ha indubbiamente giovato. Ora bisognerà vedere da un lato la capacità del governo e dello stesso Renzi di rendere concreti i molti dossier e le molte prospettive di riforma aperte, e dall’altro anche l’evoluzione complessiva del dibattito politico. E poi, capiremo cosa sarà in grado di proporre Grillo a questi 5,7 milioni di italiani che gli hanno dato fiducia e che sono moltissimi, e se esisteranno residui sparsi nell’area “non protestataria” e non grillina per articolare qualcosa che possa essere se non alternativo almeno competitivo nei confronti di Renzi. Altrimenti, si andrà verso una situazione abbastanza classica di partito predominante con una serie varia di satelliti, che poi è stata la stagione del sistema politico italiano tra il 1948 e il 1992, e prima ancora la stagione dal 1882 fino al 1914, con una piccola appendice tra il 1919 e il 1922.
E’ la prima volta che il grande “partito aggregatore” è a sinistra?
Bonini: Non si dimentichi che l’Italia è stata governata dalla Sinistra storica con un sistema di tipo centripeto trasformistico dal 1882 al 1922. Nel momento in cui il Partito Democratico si caratterizzasse in maniera molto evidente verso sinistra, probabilmente tornerebbero quei riflessi di timore dell’elettorato.Chiamerei il fenomeno messo in evidenza dalle elezioni di ieri il “riflesso del partito della maggioranza”. C’è una ricerca di stabilità in questo momento e un riflesso di maggioranza, che non è quello che Ennio Flaiano definiva “l’andare in soccorso del vincitore”, quanto piuttosto il favorire forme di aggregazione. Ma queste forme di aggregazione devono essere moderate, cioè devono favorire un discorso il più ampio possibile, che utilizza un armamentario comunicativo di grande rinnovamento, ma che tranquillizza tutti quanti, in particolare coloro che detengono in Europa e sui mercati occidentali la sostanza delle leve economiche. Una retorica, nel senso tecnico del termine, tale da ottenere voti, e delle decisioni tali da garantire la stabilità del sistema.
Cosa l’ha colpita del voto negli altri Paesi europei?
Bonini: Dobbiamo sempre tener conto della bassissima affluenza alle urne, e questo garantisce mobilità a quelle forze che hanno più interesse ad esprimere posizioni radicali. Sono stato abbastanza impressionato dai dati inglesi, mentre il dato francese era abbastanza atteso. In Francia le due grandi famiglie politiche, i socialisti e gli ex gollisti, sono veramente esauste dal punto di vista della capacità politica e della qualità del personale politico. Era attesa dunque l’affermazione elettorale di Le Pen figlia. E’ l’espressione di un evidente malessere, e non è da escludere che ci sia un’evoluzione di questa forza in un senso più presentabile. Certo non è facile, e probabilmente anche il Movimento 5 Stelle oggi si ritrova davanti l’alternativa: ridefinirsi o scomparire.