Alcune sorprese da un’indagine sull’uso tra sacerdoti, religiosi e seminaristi del social network più notoUn desiderio crescente di evangelizzare attraverso la rete bussa sempre più insistentemente alla nostra porta. È quello di sacerdoti, in particolare i più giovani, di seminaristi e di religiosi, uomini e soprattutto donne, le più aperte a cercare nei social media uno strumento pastorale utile ad ampliare la propria rete di relazione. A rivelare questa realtà inaspettata è una lunga ricerca, cominciata addirittura nel marzo del 2011, condotta dal Cremit dell’Università Cattolica di Milano e del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Perugia, ma partita da una richiesta di WeCa (Associazione Webmaster Cattolici Italiani). Lo studio si è svolto in due fasi: la prima ha prodotto una raccolta di dati quantitativi, la seconda ha messo in evidenza profili e modalità di utilizzo del mezzo. Ne è uscita una mappa molto significativa rispetto al linguaggio che i pastori finalmente hanno cominciato a parlare nella quotidianità della loro missione. Se ne parlerà al convegno “Churchbook. Tra social network e pastorale” che si terrà il prossimo 29 maggio presso l’Università Cattolica di Milano. Uno dei ricercatori protagonisti, la dottoressa Rita Marchetti, docente di Teoria e Tecnica dei Nuovi Media all’Università di Perugia, nonché vicepresidente WECA presso la diocesi di Perugia, ha anticipato ad Aleteia alcuni dei dati più sorprendenti.
Cosa l’ha sorpresa di questi risultati?
Marchetti: La ricerca ha mostrato che c’è un uso abbastanza diffuso di Facebook sia tra i consacrati, in particolare i sacerdoti diocesani, sia tra i religiosi e le religiose soprattutto delle famiglie Salesiana e Paolina, dunque quelle che hanno nel loro DNA una vocazione alla comunicazione. E poi c’è grande diffusione tra i seminaristi: ovviamente la componente anagrafica è un fattore che determina un maggiore utilizzo del social network. Questa ricerca, al di là del dato quantitativo – quanti religiosi usano Facebook – è andata soprattutto nella seconda fase a chiedersi come viene utilizzato lo strumento, quindi con due approcci di ricerca diversi. Il primo è andato a vedere quali sono le reti di relazione che vengono instaurate nel social network, e si è visto che c’è una stretta relazione con la vita offline: quindi il fatto di avere un’identità del soggetto conta, dato che il social network è fatto per rafforzare i legami con persone che già si conoscono e per mantenere rapporti a distanza, in alcuni casi anche per creare nuove occasioni di incontro. Col secondo approccio siamo andati ad analizzare anche le discussioni, in particolare che cosa dicono nelle bacheche Facebook i consacrati e i seminaristi, e lì siamo arrivati ad individuare diversi usi, dal più tradizionale ai più innovativi, svelando che esistono coloro che utilizzano Facebook per un’attività più pastorale ed altri che hanno un utilizzo di tipo più personale.
Ci descrive i profili che avete identificato?
Marchetti: Questi profili sono stati definiti proprio a partire da cosa viene detto nelle bacheche. Ci sono quelli che utilizzano Facebook per pubblicare citazioni dal Vangelo, altri che lo utilizzano per intervenire su temi che sono già più all’attenzione del dibattito pubblico, per proporre dei frame tipici sui temi in discussione. Ecco, i quattro profili che abbiamo identificato – confessori, attivisti, esegeti e predicatori – nascono proprio dalle analisi dei contenuti di quello che viene detto nei profili Facebook.
Cosa è risaltato rispetto alle religiose?
Marchetti: Le religiose erano quelle che nella prima fase avevamo visto essere quantitativamente le meno attive su Facebook. Il 9,3% rispetto al 20% dei diocesani e quasi al 60% dei seminaristi. Ci siamo chiesti come mai: certamente l’aspetto anagrafico conta perché le religiose sono quelle più anziane. Quando siamo andati però nella seconda fase ad analizzare i profili delle religiose ci siamo accorte che sono quelle che presentano un maggior numero di amici, quelle a cui il social network permette di creare nuove relazioni online indipendentemente da una conoscenza pregressa? Probabilmente ciò si deve al fatto che le religiose che hanno un profilo Facebook sono quelle anche più giovani all’interno del gruppo analizzato. Ma qui forse non conta soltanto l’aspetto anagrafico quanto il diverso compito pastorale, perché ad esempio questa dimensione che loro hanno definito – le religiose stesse – di internauti, quelle che non si conoscevano già online, non è presente tra i seminaristi, dove si riscontra un uso dei social network più simile a quello dei loro coetanei fuori dal seminario.
Quindi in generale si può dire che la base della comunità ecclesiale dialoga molto su Facebook?
Marchetti: Questa è una cosa che emergeva già dalla prima ricerca che avevamo fatto con WeCa, sempre con l’Università di Perugia nel 2007-2008. Lì eravamo andati ad analizzare le parrocchie, parroci ed internet. Già allora si vedeva una grande diffusione di questo mezzo, e con nostra grande sorpresa nonostante l’età media dei sacerdoti fosse superiore ai 60 anni e molti si trovavano a gestire più di una parrocchia, ci siamo accorti che il web – in quel caso non era solo Facebook ma si analizzava la presenza a tutto tondo dei parroci in rete – era molto utilizzato. Probabilmente questo si deve al fatto che coloro che vivono la parrocchia, che è il livello ecclesiale più a diretto contatto con la vita quotidiana nella quale ormai internet è entrato prepotentemente, sono anche quelli che hanno saputo cogliere direttamente le opportunità che la rete offre.
C’è anche un grande uso di immagini, a scopo pastorale?
Marchetti: Noi siamo andati ad analizzare soprattutto l’aspetto testuale, i testi più che le immagini. Comunque c’è sicuramente. Nella prima parte, quando abbiamo fatto una mappatura delle presenze in Facebook, per ciascun soggetto nel social network abbiamo compilato la scheda d’analisi e siamo andati a vedere anche che tipo di foto utilizzavano, qual era la rappresentazione del proprio sé nel social network. Ci sono quelli che si presentano come sacerdoti con la foto che li ritrae direttamente, mentre più bassa la percentuale di coloro che preferiscono non utilizzare la propria foto nel profilo. Consideri anche che i dati che noi forniamo vanno letti necessariamente per difetto, perché noi siamo riusciti a rintracciare sono quelli utilizzano il loro nome e cognome.
C’è quindi ancora un po’ di diffidenza a rivelare troppo della propria identità?
Marchetti: Dai dati che forniamo sembrerebbe che il social network sia maggiormente utilizzato senza nascondersi, anche laddove c’è magari una foto che ritrae gabbiani o paesaggi. Ad esempio tra i Salesiani molti utilizzano l’immagine di Don Bosco, e questo dimostra una forte carica identitaria. Bisogna anche dire che questa ricerca è durata quasi tre anni perché abbiamo utilizzato delle tecniche abbastanza innovative, dalla Social Network Analysis all’analisi dei testi, quindi mettendo insieme diverse tecniche. Bisogna rendersi conto che utilizzare i profili Facebook su Facebook non è banale, dato che i dati non sono disponibili: quindi, per scaricare ad esempio le reti dei soggetti studiati abbiamo dovuto utilizzare un’applicazione Facebook realizzata da ricercatori dell’Oxford Internet Institute. Gli stessi sacerdoti hanno dovuto scaricare le loro reti, fidandosi dei ricercatori. C’è stata una collaborazione davvero fattiva, che per queste ricerche è difficile da trovare.