Intervista a Azam Abed Alkhatib Altamimi, responsabile della spianata delle moschee a Gerusalemmedi Andrea Avveduto
“E’ una visita storica, aspetto con gioia di vederlo lunedì prossimo, quando avrò il privilegio di accompagnarlo sulla spianata delle moschee.” Azam Abed Alkhatib Altamimi, responsabile amministrativo della spianata delle moschee a Gerusalemme, sta preparando con cura ogni dettaglio per rendere la visita di papa Francesco un momento eccezionale. Osservato speciale dallo Stato d’Israele, spesso è sulle cronache locali per i suoi discorsi contro il governo di Netanyahu. Conciliante con i cristiani (palestinesi) ma critico nei confronti di Benedetto XVI (pochi musulmani a Gerusalemme gli “perdonano” il famoso discorso di Ratisbona), ha guardato con simpatia all’elezione di papa Francesco. “Mi ispira fiducia, speriamo che i rapporti tra cristiani e musulmani possano tornare a essere buoni”, disse appena eletto il nuovo Pontefice. Lunedì lo accompagnerà – assieme al Gran Muftì e allo Sheik di Gerusalemme, sulla spianta delle Moschee.
Cosa si aspetta dalla visita di Papa Francesco?
Consideriamo questo viaggio – parlo a nome di tutto lo staff che dirigo – come un gesto di autentica fraternità, pace e dialogo tra cristiani, musulmani ed ebrei. Riceveremo il Santo Padre con ogni rispetto e onore, come si addice a una personalità come lui. L’aspettativa che respiriamo a Gerusalemme è grande. E personalmente spero che questa visita rappresenti l’inizio di una pace giusta e duratura nella Città Santa.
Il fatto che scelga di farsi accompagnare – oltre che da un imam – anche da un rabbino alla Spianata delle moschee può rappresentare un rischio secondo lei?
No, perché noi diamo il benvenuto a tutti gli ospiti che arrivano con papa Francesco, chiunque essi siano. In un’occasione come questa vogliamo riaffermare con forza con il messaggio dell’islam è un linguaggio di pace e desideriamo per tutto il mondo un futuro di libertà e fraternità. A cominciare da questo luogo che ha diviso – e divide – i cuori.
I fatti dell’ultimo periodo però lasciano intendere il contrario…
La nostra posizione è stata da sempre molto chiara: non siamo affatto contro gli ebrei in quanto ebrei, e nemmeno contro la religione ebraica. Noi crediamo in Abramo e rispettiamo tutti i credo, ma è bene distinguere la politica che in questo paese gioca spesso con le vite e i destini delle persone, e la religiosità tout-court. Noi consideriamo le tre grandi religioni monoteiste come base della pace, e se il dialogo vuole rimanere duraturo deve allontanarsi da una politica contraria alla pace e dall’occupazione che mette in ginocchio il popolo.
Per questo il pellegrinaggio di papa Francesco è stato annunciato come un viaggio di pace?
Questo è il messaggio che vuole dare il Papa e sappiamo che è un messaggio importante per il popolo che abita in questa terra. Vogliamo seguire gli insegnamenti di questo Papa, affinché gli abitanti di Gerusalemme possano finalmente vivere la pace giusta che questa città sogna da troppo tempo. E’ ora che vengano rispettati i diritti per tutti e specialmente per il popolo palestinese. La libertà religiosa deve essere garantita, e con questo intendo la possibilità per il mio popolo di essere proprietari dei loro luoghi santi.
Gli atti vandalici di questi giorni rivolti agli arabi possono incrinare il pellegrinaggio di papa Francesco?
Il fondamentalismo è cieco, e spesso colpisce anche chi non ha colpa. Sono convinto che queste piccole ombre non screditeranno il pellegrinaggio del Papa, ma coloro che hanno compiuto questi atti non dovrebbero poter stare ancora in Israele. Abbiamo condannato più volte l’atteggiamento di questi gruppi di fanatici. Ultimamente questi fatti sono aumentati e – come musulmani – abbiamo il dovere di combattere per sradicare le radici dell’odio da questa società.
Concretamente, cosa pensa che cambierà nel dialogo interreligioso dopo la visita di papa Francesco?
Il rapporto tra cristiani e musulmani è molto particolare, specialmente a Gerusalemme e in Giordania. E’ da sempre un dialogo ricco e affascinante. A Gerusalemme siamo una famiglia unica, e quando cammino per le strade quasi non ne riconosco la differenza. Appartenere al popolo palestinese fa di noi un’unica famiglia e nell’unità le differenze si assottigliano molto. Noi siamo fratelli e collaboriamo insieme, tra difficoltà uniche e sofferenze quotidiane. Ma sappiamo anche gioire, come adesso gioiremo assieme per la visita del Papa.