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Quando l’arte spiega la Scrittura

La Vocation de saint Matthieu (en italien Vocazione di san Matteo) est un tableau de Caravage peint entre 1599 et 1600 pour la chapelle Contarelli de l'église Saint-Louis-des-Français de Rome, où il est conservé depuis.

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Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 21/05/14
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Inizia a Vicenza “La linfa dell’Ulivo” che apre alla XIV Edizione del festival biblico. Sara Magister e il caso “La vocazione di san Matteo” di Caravaggio

"Le Scritture, Dio è l'uomo si raccontano" è il tema dell'edizione 2014 del Festival biblico di Vicenza che si aprirà il 22 maggio con la tre giorni dell'iniziativa Linfa dell'ulivo ideata dall'Ufficio pellegrinaggi diocesano per offrire un focus sulle terre bibliche. Fino a sabato 24 maggio studiosi, teologi e archeologi si alterneranno per ripercorrere testi biblici e luoghi nei quali si è compiuta la narrazione di Dio all'uomo e attuata la promessa dell'alleanza. Tra i relatori la storica dell'arte Sara Magister, alla quale Aleteia ha chiesto di anticipare alcuni dei contenuti dell'intervento su arte e interpretazione del racconto evangelico e il "caso" del dipinto "La vocazione di San Matteo" di Caravaggio.

 

L'arte e l'immagine hanno avuto un ruolo fondamentale nella divulgazione delle Scritture tanto che si parla di "Bibbia dei poveri": è così?

 

Magister: "Bibbia dei poveri" è un'espressione di Gregorio Magno in una fase precoce della storia della Chiesa, ma l'arte aveva questa funzione anche nel mondo antico, in particolare in quello romano. Si può considerarla tra i migliori mezzi di comunicazione di massa, un linguaggio che si può modulare a seconda del pubblico previsto all'interno di un determinato contesto. Oggi non capiamo più quale fosse il potere incredibile dell'arte nel parlare alla gente. Questa straordinaria funzionalità dell'arte riconosciuta dalla Chiesa è, tra l'altro, il motivo per cui il contesto religioso cattolico, in Italia soprattutto, è caratterizzato da una grande quantità di immagini che possono essere di maggiore o minore qualità, ma sempre di forte efficacia. "Bibbia dei poveri", appunto, ma non solo perchè, al di là del fatto che dopo la caduta dell'impero romano sempre meno persone avevano la capacità di leggere e scrivere e con l'arte si potevano raggiungere più facilmente le persone illetterate, tuttavia l'arte ha una sua peculiarità di linguaggio che riesce a cogliere dei significati, a volte con una maggiore capacità di sintesi rispetto all'espressione scritta, e quindi va bene anche per livelli culturali e sociali più alti.

 

Gli artisti e i pittori avevano qualche margine di libertà artistica nell'interpretare il soggetto evangelico o in genere delle Sacre Scritture che veniva loro richiesto di rappresentare?

 

Magister: Parlare di libertà artistica significa applicare un concetto moderno pressochè sconosciuto prima dei nostri tempi. Gli artisti dovevano tener conto dell'interpretazione delle Scritture da parte della Chiesa e delle specifiche intenzioni della committenza, anche perchè se lo scopo delle opere era quello di insegnare, qualsiasi errore poteva risultare fatale e portare a confusioni dottrinali. Agli artisti era richiesto di tradurre – ed è questa la loro libertà- quanto veniva richiesto nel linguaggio loro proprio nel modo più efficace possibile per coloro che avrebbero guardato l'opera. E' chiaro che alcuni artisti hanno avuto una maggiore capacità di penetrare, secondo la propria sensibilità e formazione, nelle intenzioni della committenza e nella diversa focalizzazione dello stesso passo evangelico. L'Ultima cena rappresentata da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova mostra Cristo con tutti i discepoli e la testa di Giovanni evangelista reclinata sul suo petto: qui viene fissato l'attimo successivo all'annuncio di Gesù che qualcuno dei suoi lo avrebbe tradito, quando Giovanni si china per chiedergli chi fosse il traditore, e la tristezza che ha pervaso i discepoli. Nella sua Ultima cena, Leonardo da Vinci concentra l'immagine sull'offerta che Gesù fa del suo corpo e sangue attraverso la presentazione del pane e del vino e contemporaneamente coglie il momento stesso dell'annuncio del tradimento: Gesù allunga la mano verso la coppa e così fa anche Giuda. Leonardo si prende una libertà – ma probabilmente ha seguito il suggerimento del suo committente, il signore di Milano Ludovico il Moro -, e si concentra sulla reazione emotiva degli apostoli. La rappresentazione di Leonardo è rivoluzionaria perchè è forse uno dei primi casi di Ultima cena in cui si cerca di rappresentare delle emozioni cogliendo la tragedia quando accade, come in una fotografia. Rispetto a Giotto, l'episodio evangelico è lo stesso ma l'interpretazione completamente diversa, più umanizzata, ma non dipende solo dall'artista, anche dal contesto.

 

A proposito di interpretazioni diverse, lei ha proposto di recente una interpretazione nuova del celebre quadro di Caravaggio "La vocazione di S. Matteo" conservato nella Chiesa di S. Luigi dei francesi di Roma…

 

Magister: In realtà non sono la prima a proporla. C'è una zuffa tra gli storici dell'arte su quale personaggio del quadro sia san Matteo. Fin dal 1600, epoca del dipinto, si è identificato Matteo nel personaggio barbuto al centro del tavolo e questa continua ad essere la corrente di pensiero maggioritaria. Dagli anni '80, invece, una nuova interpretazione lo identifica nel giovane a capo chino che raccoglie i soldi. Non è irrilevante, perchè a seconda di chi è Matteo cambia l'interpretazione dell'opera. La "nuova" interpretazione si giustifica completamente nel contesto documentario, culturale e religioso nel quale si inseriva il lavoro di Caravaggio e dà anche di lui una visione di artista molto più "ortodosso" nei confronti della Chiesa rispetto al mito negativo che gli è stato costruito addosso dai suoi nemici. Il dipinto coglie il momento nel quale Cristo ha già pronunciato il suo invito a seguirlo, ma Matteo non ha ancora deciso, per questo ha il capo chino a raccogliere le monete. Caravaggio rappresenta l'attimo tra la chiamata e la risposta e si giustifica perfettamente nel contesto di una committenza – quella della Chiesa di san Luigi dei Francesi – che nell'anno giubilare del 1600, nel clima della Controriforma e delle dispute con i protestanti, vuole evidenziare il ruolo del libero arbitrio nella salvezza. La rappresentazione di Caravaggio sta ad indicare che la grazia chiama, ma sta all'uomo rispondere, per il bene o per il male. Tutto il peso della decisione è sulle spalle curve di Matteo. Si tratta di un'opera formidabile che non ha avuto un seguito iconografico perchè non è facile rappresentare un momento di conflitto interiore: è più facile cogliere Matteo nel momento in cui si alza perchè ha deciso di seguire Gesù.

 

C'è qualcuno molto autorevole che pur non essendo un critico d'arte la pensa come lei…

 

Magister: Ho scoperto nell'intervista rilasciata alla Civiltà cattolica che anche Papa Francesco, che in passato si è recato molte volte a guardare il dipinto quando veniva a Roma, pensa che Matteo sia il personaggio giovane. Ha raccontato di sentirsi coinvolto nella figura di Matteo in quanto peccatore, inchiodato sul suo peccato, tanto che continua a raccogliere i soldi e, nonostante questo, Gesù gli dà una possibilità che dipende da lui cogliere. Papa Francesco afferma che allo stesso modo, confidando nella misericordia di Dio, accetta il ruolo di pontefice nonostante il suo peccato. E' una chiave di lettura che dice come l'interpretazione di chi guarda l'opera possa cambiare o non cambiare dopo quattrocento anni.

 

 

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