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La carezza dolce di Francesco

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Vinonuovo.it - pubblicato il 20/05/14
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Chi cercava nelle parole del Papa ai vescovi italiani simboli di politica ecclesiale ha trovato invece la saggezza del padre che consola, consiglia, spronadi Gianni di Santo

Il soffio di papa Francesco è sceso sui vescovi italiani come una carezza dolce in una giornata di maggio quasi autunnale. "Seguitemi": basta questo monito. Come Pietro seguì Gesù. È l’invito iniziale che papa Francesco fa nella sua prolusione di apertura alla 66a Assemblea generale della Cei. Seguitemi. Non abbiate paura. Così, chi cercava nelle parole del papa simboli di politica ecclesiale da poter offrite all’uditorio affamato di guerre tra prelati, ha trovato invece la saggezza del padre che consola, consiglia, sprona.

Un papa Francesco molto "spirituale" questo visto all’Assemblea generale della Cei. Prodigo di consigli spirituali, perché in fondo fare il vescovo è mettersi a disposizione del proprio popolo, quel popolo di Dio che sa riconoscere il pastore buono, la Chiesa bella. Non reclama statuti da rinnovare il papa, anche se il presidente "uscente" Bagnasco ne accenna nel saluto di apertura. Spetta in ogni caso ai vescovi italiani decidere sul futuro della Chiesa italiana. Non dice cosa debbano fare nel dialogo con la società e con la politica. Non si impiccia di questioni che non sono di sua competenza. Eppure, quel "seguimi" è il più importante dei segni che si potevano ascoltare. Un "seguimi" che ha la suggestione della primizia di Pietro e la misericordia di chi si affida al Padre.

La carezza del papa così è scesa lieve e indolore, eppure fitta e condensata di messaggi forti. Una Chiesa di carità senza verità non va da nessuna parte. Seguire il Regno significa vivere decentrati rispetto a se stessi. L’unità nella collegialità è l’esercizio primario della profezia. La Cei deve essere uno spazio di comunione. La mancanza di unità è il peccato più grande della comunità ecclesiale. Le chiacchiere, le bugie, le lamentele, la durezza di chi giudica senza coinvolgere, la gelosia, l’invidia: quanto è brutto il cielo di chi è suggestionato da se stesso. Ritornare dunque all’essenziale, non alle adunate di piazza, sembra suggerire Francesco. Andate incontro a chiunque chieda ragione della speranza che è in voi. E poi ancora: i disoccupati, i migranti, la famiglia (tutta la famiglia, anche chi vive perché ferito negli affetti), l’abbraccio con l’umanità stanca e sola ma bisognosa di amore.

Tutto qui? Sì. Una carezza dolce, sulle orme del vangelo. La scialuppa di salvataggio per una Chiesa italiana orfana di valori non negoziabili e adunate di piazza, pienamente inserita in un tempo di riconciliazione e nuova speranza.
La carezza, non il bastone. Ma una carezza che rinfresca e si immerge dentro il volto di ogni prelato e laico, dove dimorano pianto e sorriso.

La presidenza della Cei farà il resto, sotto l’occhio attento e benevolo di Francesco, chiaro. Redimerà statuti, cambierà i suoi rappresentanti. Ma il lessico della nuova speranza oggi, stasera, in un pomeriggio di maggio autunnale, ha di nuovo solcato la vita degli uomini. Ha annusato il gregge di Dio. Per una nuova primavera della Chiesa italiana.

Qui l’originale

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