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San Francesco di Sales. Dall’antropologia alla mistica

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Dimensione Speranza - pubblicato il 19/05/14
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Alla scoperta di un grande santo

di Hélène Michon

Francesco di Sales, come tutti gli autori maggiori di un’epoca, gode di una doxa: quella di essere stato, all’indomani del Concilio di Trento, il promotore di una spiritualità dedicata ai laici – anche se si inserisce in un movimento più largo che compare all’alba del secolo classico – e quella di aver trasposto in un linguaggio che egli definisce nel Trattato dell’Amore di Dio come “ingenuo e senza fronzoli” i misteri della scienza teologica e mistica.[1] Ora questa trasposizione in “lingua ingenua”, se pur manifesta certamente il segno della premura di Francesco di Sales di scrivere per un pubblico più largo di quel che non sia quello degli specialisti della teologia, non è forse la causa principale della relativa trasformazione che egli fa subire alla “teologia mistica” quale poteva essere intesa fino al suo tempo. Prima di innovare mediante il lessico adoperato, Francesco innova mediante la prospettiva adottata: noi vorremmo impostare il nostro studio su alcuni punti significativi di ripresa e di spostamento.

Da una antropologia del combattimento a una antropologia della convenienza

 

L’antropologia cristiana si struttura tradizionalmente intorno al peccato originale: risultato del conflitto dell’uomo contro Dio, esso genera un conflitto in seno all’uomo stesso. Agostino è senza dubbio il Padre della Chiesa che ha formulato più chiaramente il nesso fra le due cose: nella Città di Dio egli analizza infatti continuamente la rivolta della carne contro lo spirito come la giusta punizione della rivolta dell’uomo contro Dio e vede nella seconda una conseguenza diretta della prima. Come la sottomissione genera la sottomissione[2], così la rivolta genera la rivolta[3]. Divisa fra un prima e undopo del peccato originale, la natura umana riceve delle ferite che continuamente deve cercare di far cicatrizzare. Per questo la vita cristiana si trova collocata, secondo san Paolo, sotto il segno del combattimento: si tratta di lottare contro l’uomo vecchio per far trionfare l’uomo nuovo ricreato da Cristo. Così l’ingiunzione socratica, come continuo richiamo alla conoscenza di sé per condurre in porto questo combattimento, è quella che apre la maggior parte delle opere che propongono un itinerario dell’anima fino a Dio. L’Imitazione di Cristo alla fine del Medioevo appare come il coronamento di questa letteratura che unisce indissolubilmente l’itinerario dell’anima verso Dio con la conoscenza di sé e la lotta ascetica, annunciando senza ambagi fin dal capitolo II:La scienza più alta e la più utile è la conoscenza esatta e il disprezzo di sé[4].

Per Francesco di Sales il migliore esempio di questo tipo di letteratura è senza alcun dubbio quello del suo libro prediletto, il Combattimento spirituale di Lorenzo Scupoli, pubblicato nel 1589, che si esprime in termini simili per affermare la medesima realtà: Aspirando tu all'altezza di tanta perfezione, devi fare continua violenza a te stessa per espugnare generosamente e annullare tutte le voglie, grandi o piccole che siano[…] Si combatta pure, perché qui è tutto![5]

La conoscenza di sé equivale a una conoscenza della propria miseria e conduce quindi immediatamente al combattimento ascetico.

Francesco di Sales si allontana su questo punto dall’opinione dei suoi predecessori: infatti l’Introduzione alla vita devota costituisce una soluzione di continuità, poiché segna il passaggio da una letteratura centrata sul combattimento a una letteratura centrata sulla devozione. Se il combattimento ascetico è senza dubbio riconosciuto come necessario, non funziona però come punto di partenza dell’itinerario che conduce l’anima a Dio. L’oggetto fondamentale della Introduzione è una definizione della devozione: È necessario, prima di tutto, che tu sappia che cos’è la virtù della devozione. Di vera ce n’è una sola, ma di false e vane ce ne sono tante; e se non sai distinguere la vera, puoi cadere in errore [6].

Questa nuova prospettiva dipende, sembra, da una duplice causa: da un lato dall’aspetto assolutamente pedagogico dello stile salesiano, che è quello di un pastore che crede più negli incoraggiamenti che nelle negazioni, e d’altro lato da una certa concezione ottimistica dell’uomo. Si può ben verificare questa nuova concezione nella sua opera che egli ha consacrato alla vita mistica: ilTrattato dell’Amore di Dio.

Il primo spostamento operato da Francesco di Sales riguarda l’antropologia: essa non si organizza intorno alla frattura del peccato originale, ma si appoggia su una dinamica fondamentale dell’anima verso Dio. Francesco di Sales utilizza questo termine in un primo momento per designare il rapporto della volontà con il bene: La volontà ha una tale convenienza con il bene, che appena lo scorge si volge dalla sua parte per compiacersi in lui[7].

 

Poi per designare il rapporto dell’uomo con Dio: Siamo creati a immagine e somiglianza di Dio: che cosa significa ciò se non che abbiamo una grande convenienza con la divina maestà[8]?

Il capitolo XV intitolato Della convenienza esistente tra Dio e l’uomo sintetizza il suo pensiero. Egli analizza dapprima una convenienza di somiglianza fra Dio e l’uomo: poiché la nostra anima è spirituale, indivisibile e immortale, essa è capace di giudicare, di discorrere e di sapere e in questo assomiglia a Dio. Il riferimento è allora chiaramente agostiniano: il libro II del De Trinitate non è infatti altro che una lunga meditazione sull’immagine della Trinità nell’uomo che compone la trilogia dell’anima, della sua conoscenza e del suo amore[9]. Questo paragone, però, che è assolutamente specifico nel Trattato[10], non riveste la posizione preponderante che gli riconosceva Agostino.

La convenienza è sinonimo di inclinazione, altro termine caratteristico dell’antropologia salesiana? Potrebbe sembrare che la convenienza sfugga alla sfera della coscienza, mentre l’inclinazione apparterrebbe al campo di ciò che si prova. Ma dobbiamo rispondere negativamente, perché l’autore non esita a qualificare questa inclinazione come segreta: Non è possibile che un uomo che pensa intensamente a Dio, anche soltanto per riflessione naturale, non provi uno slancio d’ amore, per segreta inclinazione della nostra natura, presente in fondo al cuore[11].

Questa segreta inclinazione si trova in noi, ma non viene da noi. Infatti l’aggettivo “segreto” possiedenella lingua classica (lo attesta Furetière) il doppio senso di ciò che si tiene nascosto e di ciò che non si conosce. Questa inclinazione può ben trovarsi in noi, pur restandoci segreta, sconosciuta. Il testo di Francesco di Sales ce lo conferma: “la nobile inclinazione che Dio ha messo in noi”[12]. Questa è dunque la traccia, il memoriale dell’azione di Dio in noi: c’è appunto nell’uomo una presenza di Dio sotto la forma di una inclinazione. La differenza allora fra convenienza e inclinazione non sarebbe dell’ordine di cosciente/incosciente, ma piuttosto una relazione di causa a effetto: la convenienza è fonte dell’inclinazione, l’una si avvicina all’essere e l’altra all’agire. Esse rappresentano in questo senso per loro conto l’oscillazione fra essere e agire sintetizzato dal sintagma “immagine di Dio” del versetto biblico: “L’uomo è stato fatto a immagine di Dio” (Gen1,26). La convenienza qui è più vicina all’ordine dell’essere: essa, da questo punto di vista, si allontana dalla convenienza psicologica della volontà verso il bene. Possiamo anticipare che Francesco di Sales qui non psicologizza un vocabolario ontologico o metafisico, ma che ontologizza un vocabolario psicologico. La convenienza della volontà è divenuta quella della stessa natura.

Ora utilizzare i termine di inclinazione per designare la traccia di Dio nell’uomo ci consente di caratterizzare sotto altri aspetti la spiritualità salesiana. La sua origine infatti non proviene da un movimento riflessivo; l’uomo non prende coscienza di questa inclinazione rientrando in se stesso, ma:al primo sguardo che getta verso Dio,alla prima conoscenza che ne riceve, la naturale e primaria inclinazione ad amare Dio che era come assopita e inavvertibile, si risveglia di colpo[13].

 

A questa prima relazione di proporzione fra l’uomo e Dio, che è la relazione stessa della creazione, se ne aggiunge una seconda, quella prodotta dall’amore, perché l’uomo ha conservato una inclinazione naturale ad amare Dio, nonostante il peccato originale: La convenienza, dunque, che dà origine all’amore non si trova sempre nella somiglianza, ma può trovarsi nella proporzione, nel rapporto e nella rispondenza tra l’amante e la cosa amata[14].

La proporzione è tale per Francesco di Sales fra il cuore umano e Dio, che non esita ad aggiungere:Do è il Dio del cuore umano[15].

Così l’amore nasce dalla proporzione e conduce alla proporzione. Inoltre, se l’inclinazione rimanda direttamente a un non-possesso – quello dell’oggetto – non è però denotata in termini negativi, come indicherebbero parole come “mancanza” o “vuoto”, o come potrebbe sottolineare l’immagine di “cavo” o di “baratro”, ma nel modo positivo di “movimento verso”, di una dinamica. Nulla nel testo delTrattato dell’Amore di Dio deve indicare una sproporzione o un abisso fra Dio e l’uomo, ma al contrario conviene sottolineare una segreta connivenza; da questo punto di vista, il termine di inclinazione ci sembra particolarmente evocatore della mistica salesiana, poiché viene a servire come punto di congiunzione fra antropologia e spiritualità.

Il luogo dell’inclinazione verso Dio: dal cuore alla punta dell’anima

 

Il secondo punto di congiunzione è quello del luogo di questa inclinazione dell’anima verso Dio, il cuore: “Dio è il Dio del cuore umano”. Francesco di Sales ritrova qui una lunga tradizione. Il cuore è una nozione complessa lungamente sviluppata dai mistici precedenti. L’interiorità dell’uomo è una interiorità abitata e nello stesso tempo sorpassata, tesa verso quel punto elevato che è l’al di sopra dell’anima dove si trova Dio. Nel Trattato dell’Amore di Dio Francesco di Sales sviluppa una prima topografia dell’anima, facendo del cuore il luogo dello spazio interiore. Questo è difatti citato continuamente nei tre capitoli 15, 16 e 17 del primo libro, quando Francesco di Sales intende sottolineare la convenienza dell’uomo con Dio e la inclinazione naturale di questi ad amarlo:  Se l’uomo pensa con un po’ di attenzione alla divinità, immediatamente sente una qual dolce emozione al cuore, il che prova che Dio è il Dio del cuore umano[16].

Il cuore è considerato come il luogo privilegiato di comunicazione con Dio: esso è insieme il luogo dell’inclinazione verso di lui – equivale allora in pratica al termine generico di anima: altrove Francesco di Sales ricorda “la nobile inclinazione che Dio ha messo in noi[17]” -, ma corrisponde anche al fondo dell’essere, che si pone come anteriore all’azione dell’intelligenza e della volontà. Per concludere il celebre confronto con la pernice ladra, l’autore del Trattato scrive: La stessa cosa avviene, Teotimo, per il nostro cuore; alla prima conoscenza che riceve di Dio, la naturale e primaria inclinazione ad amare Dio si risveglia e tocca la volontà[18].

Il cuore salesiano ritrova così una caratteristica del cuore agostiniano. Esso designa l’interiorità dell’uomo nel suo fondo più intimo, quasi al di qua della distinzione delle facoltà: È verissimo che questo fondo del cuore è riservato a Dio solo  e solo lui può penetrarlo[19].

Così si esprime il vescovo di Ginevra nella sua corrispondenza. Ma con questa differenza, che l’interiorità non è conosciuta come in Agostino da un rientrare in se stessi. Lo schema introspettivo è estraneo al Trattato: è il pensiero di Dio che risveglia il cuore. Il cuore è inclinato verso Dio per Francesco di Sales, era abitato da Dio per Agostino.

Ma nel Trattato dell’Amore di Dio opera una diversa topografia dell’anima, non più quella di uno spazio interiore ampio e concepito in maniera uniforme, ma quella di una architettura dell’anima che culmina con la “punta dello spirito[20]” Molto prima delle Dimore di Teresa d’Avila, i secoli XII e XIII vedono moltiplicarsi i simboli architettonici dei palazzi e dei templi per descrivere con minuzia l’interno dell’anima umana. Questa allora non è considerata tanto nel suo insieme, quanto nelle sue parti, e il compito e il luogo di ogni facoltà vi sono descritti lungamente in dettaglio. Si tratta di architettura più che di anatomia, perché l’insieme è pensato esattamente in maniera architettonica. Inseparabile da tale tematica, il lessico della cima o della punta dell’anima affiora dovunque, il più spesso sotto la denominazione di scintilla animae, che sarà così decisiva nella mistica eckartiana. Questa “cima dell’anima”, l’antica mens agostiniana, è concepita insieme come ciò che, nell’uomo, è sfuggito alla corruzione originale e come ciò che può costituire il punto di inserzione delle grazie mistiche[21].

Francesco di Sales si ritrova così tributario delle due tradizioni perché, nel libro I del Trattato dell’Amore di Dio, restituisce un immaginario architettonico dell’anima umana: il cuore è allora assente da tale presentazione. Nei capitoli 11 e 12 del libro I. il vescovo di Ginevra sviluppa infatti una architettura dell’anima assai classica. L’anima vi è paragonata al tempio di Salomone e si trova composta di diversi cortili: quello dei sensi, quello delle scienza umane e quello della fede; in fine alla sommità preside la cima dello spirito. L’autore consacra allora una cura particolare a non separare intelligenza e volontà: Infine c’è un’eccelsa e somma vetta della ragione e della facoltà spirituale, […]guidata da una semplice visione dell’intelletto e da un semplice sentimento della volontà[22].

Anche se la prospettiva generale del Trattato rimanda a una mistica più affettiva che contemplativa, Sales utilizza a varie riprese l’espressione “punta dell’anima” o “punta dello spirito” per prevenire ogni identificazione abusiva con l’una o l’altra facoltà e salvaguardare, in un’ottica indubbiamente agostiniana, l’unità dell’anima umana[23].

Attraverso l’allegoria del tempio, Francesco di Sales riprende la gerarchia delle facoltà esposta nel capitolo XI che egli completa: il primo cortile del tempio viene identificato con la parte inferiore dell’anima razionale, il secondo è quello della parte superiore illuminata dalla luce naturale, il terzo quello dell’anima illuminata dalla luce soprannaturale; infine al di là di questi tre cortili, si trova il “santo dei santi” che raffigura qui ciò che Francescodi Sales chiama: una eccelsa e somma vetta della ragione e della facoltà spirituale, che non è guidata dalla luce della riflessione, né dalla ragione, ma da una semplice visione dell’intelletto e da un semplice sentimento della volontà, in forza dei quali lo spirito aderisce e si sottomette alla verità e alla volontà di Dio[24].

Tre caratteristiche la definiscono: non si tratta di una facoltà propriamente detta, ma della “somma vetta della facoltà spirituale”; essa è considerata come essenzialmente non discorsiva; infine si riferisce sia all’intelletto che alla volontà. Essa è il luogo stesso della presenza di Dio nell’anima: per indicarla l’autore del Trattato la chiama più volentieri la “dimora delle tre virtù teologali” o ancora “la sede del santo amore[25]”.

Ma se egli precisa così l’operazione della punta dell’anima, si guarda bene però dal definire la sua natura. Essa si trova dunque a essere, come il cuore, il luogo dell’incontro dell’anima con Dio: come il fondo dell’essere – il cuore – e la sommità dell’anima – la punta dell’anima –  possono essere considerate equivalenti, così l’inclinazione che abita il primo e l’estasi che è sperimentata dalla seconda si congiungono nella vita spirituale.

La tre estasi

 

La sua concezione della vetta dell’anima gli permette infatti di conservare uniti la teologia e la mistica, perché per lui la teologia è già mistica. Una tale riconciliazione appare in maniera nettissima nella triplice definizione dell’estasi che propone: Nei libri VI e VII del Trattato egli segue infatti da vicino i gradi di orazione sviluppati da Teresa d’Avila, di cui riprende le tappe e il lessico: meditazione, contemplazione, raccoglimento, ferita d’amore e morte degli amanti. Dopo l’orazione di quiete compare l’orazione di unione ottenuta nelle quarte Mansioni che si suddivide in fidanzamento e matrimonio spirituale e costituisce l’oggetto delle quinte, seste e settime mansioni. In questa orazione di unione l’anima sperimenta diversi favori divini, fra cui il rapimento o l’estasi, che Teresa pone, nel racconto della sua Vita, ben al di sopra dell’unione: La nuvola divina risale al cielo portando l’anima con sé, e comincia a farle vedere le ricchezze del regno che le ha preparato[26].

La vetta dell’unione mistica è così costituita dall’estasi, secondo Teresa.

Il Dottore di Ginevra riconosce bene questo grado supremo, ma ne distingue tre modalità: l’estasi dell’intelletto, l’estasi della volontà e l’estasi della vita. Francesco di Sales nutre un vero sospetto verso l’estasi dell’intelletto, che egli chiama estasi dell’ammirazione: Ora l’estasi dell’ammirazione, se è sola, non ci rende migliori […].per cui lo spirito maligno può portare in estasi, se così si può dire, e rapire l’intelletto rappresentandogli meravigliose conoscenze che lo mantengono staccato e sospeso al di sopra delle sue forze naturali[27].

Invece egli loda, come la mistica castigliana, il secondo tipo di estasi: l’estasi affettiva, frutto della volontà: Ora questo rapimento d’amore si opera nella volontà in questo modo: Dio la tocca con attrattive di soavità […] così la volontà toccata dall’amore celeste si lancia e si porta in Dio, abbandonando tutte le sue inclinazioni terrene, entrando in tal modo in un rapimento non di conoscenza ma di godimento, non di ammirazione ma di affetto, non di scienza ma di esperienza, non di vista ma di gusto e di sapore[28].

 

Ma il punto veramente innovatore sta nella terza specie di estasi. quella delle opere o della vita, che indica allora non un favore mistico superiore, ma la vetta della vita di grazia, cioè la santità: […] vivere nel mondo […] con abituale rassegnazione, rinuncia e abnegazione di noi stessi, non è vivere secondo la natura umana, ma al di sopra di essa; non è vivere in noi, ma fuori di noi e al di sopra di noi: e siccome nessuno può uscire in questo modo al di sopra di se stesso se non lo attira l’eterno Padre, ne consegue che tale modo di vivere deve essere un rapimento continuo e un’estasi perpetua d’azione e di operazione[29].

Dunque, proponendo una terza specie di stato di estasi: quella di azione e di operazione, il mistico francese, anche quando riutilizza il lessico consacrato delle mistica dei gradi di orazione, modifica di conseguenza la prospettiva. Questa vita estatica che, al di là del compimento dei comandamenti, mira all’esecuzione di tutte le ispirazioni divine si dimostra come un cammino di santità. Con lo scegliere, per descrivere questa maniera eroica di vivere le virtù, i termini di “rapimento” e di “estasi” l’autore delTrattato dell’Amore di Dio manifesta chiaramente il suo desiderio di riconciliare non più la teologia e la mistica, ma proprio l’ascetica e la mistica. In questa specie di estasi diventa impossibile, di fatto, distinguere quel che viene da Dio e quel che viene dall’uomo: le virtù sono considerate come una via di estasi mistica. Francesco di Sales sfugge allora radicalmente a una mistica del puro amore che vorrebbe fare l’economia delle virtù. C’è, di fatto, in Francesco di Sales una definizione della mistica che equivale alla pienezza della vita di grazia o anche alla santità. E proprio la nozione di santità viene a unire in una medesima realtà ciò che la ragione  da parte sua non può che distinguere. Il Trattato dell’Amore di Dio raggiunge su questo punto l’Introduzione alla vita devotaCi sono alcune cose che molti considerano virtù e invece non lo sono affatto! Bisogna che te ne parli un po’. Sono le estasi, i rapimenti, l’insensibilità, l’impassibilità, l’unione deificante, le elevazioni, le trasformazioni e simili perfezioni su cui si dilungano alcuni libri, che promettono l’elevazione dell’anima fin alla contemplazione puramente spirituale, all’adesione essenziale dello spirito e alla vita superiore. Vedi, Filotea, queste perfezioni non sono virtù; sono piuttosto ricompense che Dio concede come premio alle virtù o, meglio ancora, saggi della felicità della vita futura[30]

Notiamo tuttavia che Francesco di Sales non introduce opposizione fra i favori mistici e gli atti virtuosi, ma pone una distinzione. Infatti i fenomeni straordinari sono le ricompense delle virtù. ma rimangono delle ricompense non dovute: come la grazia, esse dipendono dagli atti compiuti, pur rimanendo tuttavia gratuiti.

La teologia mistica salesiana si basa dunque su una triplice riconciliazione. La prima di ordine antropologico sposta l’accento dalla frattura fra l’uomo e Dio verso l’inclinazione dell’uomo verso Dio; il Dottore di Ginevra sostituisce così a una antropologia del combattimento una antropologia della convenienza. In un secondo tempo egli unisce due tradizioni mistiche, quella dello spazio interiore di cui il punto di appoggio è il cuore e quella dell’architettura interiore di cui il punto focale è la punta dell’anima: il primo, luogo di identificazione dell’uomo verso Dio, lungi dall’identificarsi con un “baratro cavo e vuoto” raggiunge il secondo, luogo dei favori mistici. Infine proponendo una definizione dell’estasi, che unisce l’ultimo scalino dei gradi di orazione e un compimento eroico delle virtù, riconcilia in maniera durevole la mistica ascensionale e la vita spirituale che si appoggia sull’esercizio delle virtù.

 


[1] Proprio questo egli afferma nella prefazione del Trattato: “Ho soltanto pensato a rappresentare semplicemente e ingenuamente e ancor più senza fronzoli, la storia della nascita, del progresso, della decadenza, delle operazioni, proprietà e vantaggi dell’amore divino”, Traité de l’Amour de Dieu, ed. di A. Ravier, Gallimard, coll. “Bibliothèque de la Pléiade”, 1969, prefazione p. 338-339. Per designare ilTraité useremo l’abbreviazione T.A.

[NdT: per la traduzione italiana dei testi di Francesco di Sales ci serviamo di: S. Francesco di sales,Trattato dell’amore di Dio, Milano, Paoline editoriale  Libri, 2001.]

[2] “Ora la scienza cristiana sottomette l’intelligenza a Dio perché egli la diriga e l’aiuti; e all’intelligenza essa sottomette le passioni perché essa le moderi e le rivolga a servizio della giustizia”. Agostino, La città di Dio, libro IX, V.

[3] “Il fatto è che per la giustizia di Dio Signore, al quale non abbiamo voluto essere sottomessi nell'obbedienza, la nostra carne, che era sottomessa, ribellandosi ci procura sofferenza”, Ibid. XIV XV.

[4] Imitazione di Cristo, libro cap. 2.

[5] Lorenzo Scupoli, Il Combattimento spirituale [1589], cap.I; cap. VI.

[6] Introduzione alla vita devota, 1parte, cap. I

[7] T. A., I, VII, p. 122.

[8] T. A. , I, XV, p. 157.

[9] S. Agostino, De Trinitate XIV. VIII, n°11: “ Ecco dunque che lo spirito si ricorda di sé, si comprende, si ama: se contempliamo ciò, vediamo una trinità, che non è certo ancora Dio, ma già è immagine di Dio”.

[10] “L’uomo conosce se stesso e si ama con atti prodotti ed espressi dall’intelletto e dalla volontà […] Così il Figlio procede dal Padre, come sua conoscenza espressa, e lo Spirito santo quale amore ispirato e prodotto dal Padre e dal Figlio”, T. A. I. XVI, p. 157.

[11] Ibid., p. 161,

[12] Ibid., p. 169.

[13] Ibidem, p 162.

[14] Ibidem, p. 129.

[15] Ibidem, p. 156.

[16] Ibidem, p. 156

[17] Ibid., p. 169.

[18] Ibid., I, XVI, p. 162.

[19] Francesco di Sales, “Sermon pour une vêture”, 17 octpbre 1620, Oeuvres complètes, édition établi per les soins des religieuses de la Visitation du premier monastère d’Annecy, J. Niérat, 1898, t. IX, p. 338.

[20] A proposito della tematica dei simboli architettonici del medioevo, rimandiamo alle pagine erudite del padre de Lubac, in Esegesi medievale, cap. VII.

[21] Per una cronistoria sostanziale della questione si veda Hieronimus Wilms, “De scintilla animae”, .Angelicum,, XIV, 1037, p. 195-211.

[22] Francesco di sales, T.A. I, XII, p. 149

[23] 2Non per questo bisogna concludere che nell’uomo co siano due anime o due nature”. Ibid., I, XI, p. 145

[24] T. A. ,I, XII, p.149

[25] T. A., I VI, p. 121.

[26] “Il rapimento supera di gran lunga l’unione”, Vita scritta da lei stessa, cap. XXX.

[27] T. A. VII, V, p. 521.

[28] T. A. VII, V, p. 520.

[29] T. A., VII, VI, p. 524.

[30] Introduzione alla vita devota, III, II.

 

(da La vie spirituelle, n. 783, juillet 2009, p. 315)

qui l'articolo originale 

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