A 50 anni dalla ultima grande enciclica di Papa Roncalli, un nuovo volume ne riscopre la straordinaria attualitàImmanuel Kant, negli ultimi anni della sua vita, scrisse Per la pace perpetua, che tracciava la strada per la concordia tra le nazioni in un tempo in cui le guerre erano all’ordine del giorno. Pacem in Terris, l’ultima enciclica di papa Roncalli, redatta nei mesi in cui la crisi dei missili di Cuba aveva fatto assaggiare al mondo la paura per la catastrofe nucleare, illumina la stessa strada del saggio kantiano, ma questa volta la luce è quella dello Spirito Santo. È una luce che per la prima volta si diffonde dalla Santa Sede sulle questioni politiche internazionali e dei diritti civili degli individui e delle nazioni: primo fra tutti, quello della pace. È in uscita un volume che tocca le questioni varie e molteplici che quello scritto sollevò, da quelle storiografiche a quelle giuridiche, da quelle economiche a quelle filosofiche. Il volume La luce della ragione. A 50 anni dalla Pacem in Terris (ed. Bruno Mondadori), che sarà presentato mercoledì 21 maggio, ore 17.30, presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Torino, in collaborazione con l’Istituto Internazionale Jacques Maritain di Roma, è stato curato da Luigi Bonanate e Roberto Papini. Aleteia ha sentito il primo, che insegna Relazioni Internazionali presso l’Università di Torino.
Perché “luce della ragione”?
Bonanate: Perché trovo straordinaria questa espressione di Giovanni XXIII che compare due volte nel corso dell’Enciclica. Non è una espressione biblica, è sua. È chiaramente una frase di tipo “illuministico”. Certo non possiamo evocare l’illuminismo che è tendenzialmente ateo. Però non c’è dubbio che la luce della ragione sia lo stesso concetto: la luce, così come per gli illuministi, e la filosofia dei lumi, doveva far luce per capire la realtà, così fa in qualche modo anche Giovanni XXIII. Questo passo dell’enciclica io l’ho trovato poetico, e ha un contenuto di una potenza che innova straordinariamente il pensiero cattolico sulla realtà, inter-soggettiva in primo luogo, perché ovviamente la ragione è una cosa che abbiamo tutti, e poi perché veniva applicata al contesto internazionale. Non dimentichiamo che l’enciclica uscì sei mesi dopo la crisi dei missili di Cuba, che sembrò portare il mondo sull’orlo della catastrofe nucleare. E l’idea fondamentale che circola nella Pacem in Terris è l’accettazione reciproca tra le grandi religioni alla luce della ragione, ovviamente sempre nel solco della cattolica. La novità sta nella possibilità di capirsi anche con chi non ha una fede.
Che tipo di ricezione incontra?
Bonanate: La premessa necessaria per rispondere a questa domanda è dire che papa Giovanni fu molto amato e molto odiato. Fu odiato sul serio dai molti che videro in lui il “cavallo di Troia” del comunismo mondiale. Molti pensarono che fosse in fondo un comunista. Non tutti, naturalmente. Chi lo amava accettò la Pacem in Terris acriticamente. Non ci furono grandi dibattiti, né filosofici, né teologici, né politologici. Fu accolta e basta. La sinistra tradizionale, occidentale, sostenne che papa Giovanni allontanava il pericolo della guerra nucleare perché proponeva anche ai comunisti, anche all’Unione Sovietica, la comprensione reciproca che deve superare qualsiasi ostacolo. E poi c’erano i comunisti nudi e crudi che se ne interessarono molto poco. I comunisti in generale, dico, perché i comunisti italiani sono stati solamente cattocomunisti, abituati già a un’accettazione persino un po’ troppo elogiativa, senza tenere conto della realtà delle cose.
Quindi la sua importanza è cresciuta nel tempo?
Bonanate: Certo, tra le ragioni che hanno portato papa Giovanni a diventare santo c’è anche il fatto che ha scritto una delle cose più rilevanti del cattolicesimo impegnato in politica, e questa non è una cosa da poco. Io ricordo solo un altro grande papa che ebbe posizioni analoghe, e fu Benedetto XV, che giusto un secolo fa, nel ’15, lanciò quel famoso grido di dolore, “le nazioni non muoiono mai”, in cui chiedeva agli Stati ormai entrati in guerra da un anno di smettere, perché fino a quando le nazioni avrebbero combattuto, ci sarebbe stata sempre guerra. Quella fu la più grande, secondo me, tra le espressioni internazionalistiche del mondo cattolico. Dopo Benedetto XV arriva Giovanni XXIII. Il contenuto dell’enciclica non è che sia così sconvolgente: c’è questa cosa importantissima della priorità della pace sull’affermazione della propria superiorità. Giovanni XXIII evidenziava la necessità di accettarsi reciprocamente, pur partendo da posizioni diverse. Noi oggi parliamo normalmente di tolleranza o pluralismo, ma era la prima volta che a dirlo era il papa.
Era la prima volta che la Chiesa si avvicinava alla tradizione dell’egalitarismo laico?
Bonanate: In fondo era il trionfo dell’illuminismo, anche se non lo si può dire a voce alta perché il mondo cattolico non ama i riferimenti espliciti all’illuminismo. L’illuminismo ateo, libertino e ribellistico si incontrò con quello che potremmo chiamare l’illuminismo del diritto naturale, del pacifismo cristiano, che ha una sua grande tradizione che parte addirittura dai Vangeli. Il punto d’incontro poteva esserci: e il primo a legare i due fili è stato papa Giovanni.
Quindi ogni affermazione pacifista dei papi successivi viene da lì?
Bonanate: Direi che gli altri papi si sono fondati sempre su essa. La sua importanza è appunto in questa capacità di interpretare quelli che in questo testo vengono chiamati “i segni dei tempi”. E quali sono? Il rischio di una guerra nucleare, dell'annientamento dell'umanità. E i segni dei tempi, interpretati da noi cattolici, e poi da tutti gli altri, possono salvare l’umanità. Il mio maestro, ad esempio, che era Norberto Bobbio, in fondo diceva le stesse cose, partendo da un punto di vista completamente diverso. È questa la potenza e la bellezza di questo pensiero. Consente per la prima volta un incontro che non ha nulla di ambiguo o di opportunistico. È la forza della luce, che illumina tutti.