Conosciamo da vicino il luogo di cui tutti i media parlano ma che va ben oltre la presenza di Silvio Berlusconi. E che porta Cristo vicino alle periferie dell’umanoFra Giuseppe è un frate minore cappuccino ed è coordinatore pastorale della Sacra Famiglia di Cesano Boscone dal settembre 2005. Aleteia lo ha intervistato per capire lo scopo dell'Istituto e il ruolo dei cappuccini all'interno di quest'opera, una grade casa che si prende realmente cura degli "ultimi".
In queste settimane c'è stato tanto vociare sull'opera della Sacra Famiglia, soprattutto in seguito alla condanna di Silvio Berlusconi ai servizi sociali. Ci può dire esattamente lo scopo della struttura e più nello specifico l'attività che voi fate?
La Fondazione nasce nel 1896 a Cesano Boscone quando il Parroco, Don Domenico Pogliani (attualmente in via di beatificazione), fonda l’Ospizio Sacra Famiglia per accogliere e assistere i “bisognosi della campagna milanese”.
Con spirito di fedeltà verso i valori Cristiani originali dell’Opera, riassunti efficacemente nel motto “Super Omnia Charitas” (al di sopra di tutto la Carità), la Fondazione ha recentemente riprecisato la propria mission che è in sostanza prendersi cura, nello spirito del fondatore, di persone con disabilità cognitiva e di anziani non autosufficienti, offrendo loro prestazioni e servizi di eccellenza, nel rispetto della dignità e libertà di ciascuno.
E i frati cappuccini…
I frati cappuccini che da 33 anni vivono all'interno della fondazione Istituto Sacra Famiglia, svolgono il loro servizio religioso facendo propria la "mission" del fondatore con lo stesso spirito che animò S.Francesco d'Assisi: vivere con i poveri in fraternità. Gli elementi fondamentali che hanno spinto i primi frati e ora noi a vivere questa stupenda esperienza sono che tutto parte da un presupposto di Fede: ogni cosa appartiene a Dio in Cristo morto, risorto e vivo oggi. Se tutto appartiene a Gesù, anche queste persone così come sono, uniche e irripetibili, appartengono a Lui.
In questo consiste la sfida di una catechesi nella Sacra Famiglia: vivere e far vivere ai nostri amici ospiti l’esperienza della Chiesa mettendo in comune la fede, condividendo la loro condizione. Tutto ciò ha richiesto e richiede il “vivere con” loro, anziché semplicemente un “fare per” loro.
"Vivere con" cosa significa concretamente?
Significa "stare con" è il "con-dividere la vita" con i nostri amici che vivono nella struttura della Sacra Famiglia.
Per noi la liturgia diventa la prima forma di “catechesi” e di condivisione. Anzitutto la Liturgia Eucaristica, come sintesi delle attività svolte durante la settimana. La S. Messa domenicale delle ore 10.00 è proposta, come “fonte e culmine” di tutta la vita: è il momento centrale di tutta la comunità cristiana che vive qui. Anche da questo punto di vista non abbiamo avuto bisogno di inventare nulla: la liturgia è già ricca di contenuti e forme simboliche.
C'è poi la catechesi “mirata” o di reparto che è un occasione settimanale molto attesa dai nostri amici, della durata di circa un’ora, e si svolge a piccoli gruppi, in ognuno dei reparti.
Infine abbiamo anche la catechesi chiamata “espressiva”. Definiamo così una modalità particolare di catechesi nel corso della quale un gruppo considerevole di ragazzi (in media un centinaio), insieme a volontari ed al personale dell'Istituto, si impegnano nella recitazione di alcuni testi scritti appositamente. Chiamiamo queste rappresentazioni a tema “Recital”. Due volte all’anno, a Natale e a Pasqua, i ragazzi vivono il “Recital” in Chiesa, davanti ai loro amici.
Ci sono diversi gruppi che prestano attività di volontariato presso la struttura per portare la compagnia di Cristo agli ultimi e ai malati, seguendo di fatto l'invito di Papa Francesco di andare alle periferie dell'umano. Lei cosa vede in questi ragazzi che passano delle ore con gli anziani e i malati? Perché secondo lei lo fanno?
Interessarci degli altri è un'esigenza di ogni uomo. La nostra natura umana ha un bisogno: interessarci degli altri.Quando c'è qualcosa di bello in noi, ci sentiamo spinti a comunicarlo agli altri; quando vediamo qualcuno che ha bisogno cerchiamo di aiutarlo con qualcosa di nostro. Tale esigenza è talmente originale e naturale, che è in noi prima ancora che ne siamo coscienti: è una legge dell'esistenza, e vivere questa esigenza realizza noi stessi.
E questo desiderio viene sorretto dal nostro maestro Gesù: "Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi" (Gv 13:15) Cristo ci fa comprendere il perché profondo di tutto rivelandoci che la legge ultima dell'essere e della vita è la carità. Solo Gesù Cristo può dirci tutto questo, perché solo Lui sa chi è il Dio da cui nasciamo e l'uomo che noi siamo. Riusciamo a comprendere e vivere la «carità» quando siamo consapevoli che il Figlio di Dio si è fatto misero come noi, ha «condiviso» la nostra nullità.
La Sacra Famiglia è un esempio unico nel panorama italiano, come mai strutture di questo genere faticano a trovare spazio in Italia? Ci si sta progressivamente dimenticano del bisogno?
Occorrerebbe fare una riflessione più profonda sul tema del "bisogno" e del desiderio. Sinteticamente posso affermare che occorre rimuovere un pregiudizio che si sente spesso: il servizio religioso è "qualcosa" di secondario rispetto alla moltitudine di bisogni primari che hanno i nostri amici “ospiti” e che sia una perdita di tempo perseguire qualsiasi strada cognitiva e morale per i nostri amici della Sacra Famiglia (tanto è come “scrivere nell’acqua”).
Tutti siamo uniti l’uno all’altro nella partecipazione ad una stessa novità di vita: Gesù, che riempie il cuore di ogni uomo di felicità perché realizza il suo vero bisogno, anche quello che la voce non dice, che la ragione nasconde ma che il cuore cerca.
Padre, ci può raccontare la sua esperienza personale?
Vivere con i nostri amici della Sacra Famiglia è un’esperienza coinvolgente, fatta di trepidazione e di gioia, di timore e di coraggio di andare oltre le proprie difficoltà o la propria indifferenza.
Ci sentiamo piccoli di fronte a un cammino così complesso, ma certamente vale la pena percorrere questa strada. In questo lavoro, infatti, non è solo qualcosa “per loro”, ma è un’esperienza che innanzitutto chiede a noi una maggiore consapevolezza di fede, una più profonda conversione, una maggiore disponibilità ad essere docili a Cristo ed alla vita della Chiesa.
Occorre mettersi continuamente in un atteggiamento profondo di ascolto per imparare ogni giorno a comunicare ciò che Dio fa accadere nella vita di ogni persona, nella nostra vita.