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Debito di gratitudine verso gli armeni

Picture showing Armenians killed during the Armenian Genocide. Image taken from Ambassador Morgenthau's Story, written by Henry Morgenthau, Sr. and published in 1918.

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Il genocidio armeno è una vicenda drammatica del ‘900 al pari della Shoah, il Papa ne coglie il significato teologicoIl 24 aprile 2015 sarà commemorato in tutto il mondo il centesimo anniversario del massacro di almeno tre milioni di armeni in quello che era allora l’Impero Ottomano. La data del 24 aprile 1915, ricordata dalle comunità armene in tutto il mondo, commemora l’inizio della seconda fase dei massacri, che si protrassero per gran parte del 1916, mentre la prima fase risale agli anni 1894-1896.

L’intera vicenda è al centro di complesse contese sul piano politico e simbolico. L’Armenia chiede che sia usata l’espressione «genocidio», la Turchia la rifiuta, anche se all’interno del mondo turco ci sono posizioni diverse. Tra i sostenitori dell’attuale governo islamico coesistono chiusure rigide al riconoscimento del massacro e aperture – pur senza mai usare la parole «genocidio» – da parte di chi però tende ad attribuire il primo massacro del 1894-1896 soprattutto a milizie curde e il secondo a decisioni politiche del movimento laico e massonico dei Giovani Turchi, le cui posizioni ideologiche erano antitetiche rispetto a quelle dell’attuale governo della Turchia. È difficile però negare che un certo clima anticristiano diffuso nella popolazione islamica abbia contribuito alle spaventose dimensioni del massacro, le cui cifre finali sono a loro volta un contestato terreno di scontro politico.

L’8 maggio 2014 Papa Francesco ha ricevuto in Vaticano Sua Santità Karekin II, Catholicos di tutti gli Armeni. L’incontro fa seguito alla visita di san Giovanni Paolo II (1920-2005) in Armenia nel 2001 e all’incontro dello stesso Catholicos con Benedetto XVI nel 2008. Nel suo discorso, il Papa non ha usato la parola «genocidio» – che pure la Santa Sede aveva menzionato in un documento del 2000 – e si è tenuto lontano dalle controversie storiografiche e giuridiche, ricordando però con grande forza il «martirio» del popolo armeno che sarà commemorato nel 2015, mettendolo pure in relazione alla persecuzione dei cristiani che tuttora continua in molte parti del mondo.

«In verità, il numero dei discepoli che hanno sparso il loro sangue per Cristo nelle tragiche vicende del secolo scorso – ha ricordato il Papa rivolgendosi al Catholicos – è certamente superiore a quello dei martiri dei primi secoli, e in questo martirologio i figli della nazione armena hanno un posto d’onore. Il mistero della croce, Santità, così caro alla memoria del vostro popolo, rappresentato nelle splendide croci in pietra che adornano ogni angolo della vostra terra, è stato vissuto da innumerevoli vostri figli come diretta partecipazione al calice della Passione. La loro testimonianza, tragica e alta insieme, non deve essere dimenticata».

«Le sofferenze patite dai cristiani negli ultimi decenni – ha detto il Pontefice – hanno portato un contributo unico ed inestimabile anche alla causa dell’unità tra i discepoli di Cristo. Come nella Chiesa antica il sangue dei martiri divenne seme di nuovi cristiani, così ai nostri giorni il sangue di molti cristiani è diventato seme dell’unità». Ci sono certo molte forme di ecumenismo, ma ci si può chiedere – ha affermato Papa Francesco – se «l’ecumenismo della sofferenza, l’ecumenismo del martirio, l’ecumenismo del sangue»  non sia oggi il più persuasivo.

Il Pontefice ha voluto ricordare «il debito di gratitudine che abbiamo verso la sofferenza» e la testimonianza degli Armeni. E ha concluso citando una preghiera del mistico armeno san Gregorio di Narek (951-1003): «Accogli il canto di benedizione delle nostre labbra e degnati di concedere a questa Chiesa i doni e le grazie di Sion e di Betlemme, perché possiamo essere degni di partecipare alla salvezza».

Qui l’originale

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