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Care suore americane

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Costanza Miriano scrive alle suore della Leadership Conference of Women Religious, sotto osservazione della Santa Sede per alcune posizioni eterodosse
Care suore americane, siate più ambiziose per favore! Abbiate più fantasia, puntate più in alto. Smettetela di cercare di assomigliare agli uomini, rendetevi conto di quale bellezza vi è stata regalata (anzi, magari non la mortificate con i tailleurini: se dovete rifiutare l’abito tiratevi un po’ a lucido, sennò scoprite la meraviglia di vestirvi come vuole il vostro ordine, solo per gli occhi del vostro Sposo).

Noi donne siamo diverse. Io per esempio ora sto scrivendo questo pezzo mentre parlo con quattro figli: di curva nord (pardon, sud) all’Olimpico, del meraviglioso uso di Whatsapp per lo scambio dei compiti, e di merende e rose e ciabatte da mare e capelli tagliati con le forbici da pollo. Nel frattempo sfoglio Edith Stein e penso alla cena. Un uomo impazzirebbe. Io mi limito a sperare che lo Spirito Santo sia generoso, e mi ispiri qualche idea decente senza costringermi a scegliere tra articolo penoso e cena moscia. D’altra parte, come dice Madeleine Delbrel, le donne hanno una speciale amicizia con lo Spirito Santo, le donne soffiano dove vogliono, non amano la regola. Delle tre persone della Trinità il maschile è in rapporto ontico col Verbo, il femminile con lo Spirito, per parlare difficile.

Posso capire chi chiede che la dignità femminile non venga mortificata, ma non che le femmine vogliano essere maschi. Tanto meno se ad avere un sogno che vola così basso sono suore, che lo sguardo in alto lo dovrebbero puntare per vocazione. La donna è la nemica numero uno del serpente, lo dice la Bibbia, e ha una “particolare sensibilità per il bene e una inimicizia per ciò che è meschino e volgare, per evitare di venire travolta dalla vita istintiva”, lo dice un dottore della Chiesa (Edith Stein: sono riuscita a ritrovarla la frase, nonostante il delirio casalingo), mettendo in guardia le donne dal consegnarsi totalmente alla loro emotività.

Alla donna viene affidata la vita, di tutti: Dio affida l’umanità alla donna, scrive San Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem, e cosa c’è di più importante della vita? Per questo spesso preferiamo non perdere troppo tempo con i Consigli di amministrazione e le Consulte e le Commissioni e i posti poco fecondi. Noi maneggiamo il tesoro più grande, la vita. La vita biologica e la vita tout court, le persone. Non possiamo perdere tempo con le etichette, ci interessa il contenuto.

Un tempo, per secoli forse, abbiamo dovuto lottare contro la nostra inclinazione naturale a perderci nel regalarci a quelli che ci sono affidati. Oggi, però, oggi che abbiamo saldamente occupato il terreno sul quale appoggiarci per essere di sostegno ad altri, non possiamo dimenticare che l’unica cosa che ci fa veramente felici è dare la vita. La vita biologica ai nostri figli, la vita e basta, in qualsiasi modo diamo sostegno a qualcuno, soprattutto i più deboli. Una suora può essere feconda in moltissimi modi, ma una suora che per esempio non veda l’orrore dell’aborto e lo chiami diritto è una suora doppiamente sterile, invece che essere doppiamente feconda come può esserlo una donna che non è votata solo alla sua famiglia, ma a tutti i piccoli e deboli che incontra.lcwr
E infine l’obbedienza. Una suora disobbediente, disobbediente alla Chiesa come alcune delle americane, è una contraddizione in termini, è una condannata all’infelicità senza appello. Non è libera di fare ciò che vuole, perché comunque ha i vincoli del suo ordine, ma non ha la custodia dell’obbedienza, che è una garanzia di fecondità. L’obbedienza è la parola più offensiva alle orecchie dei contemporanei, che credono di potersi completamente autodeterminare (vedi teorie del gender) e pensano di essere funzionanti. Come se l’uomo non fosse fatto di fango, come se l’uomo si reggesse da solo. Noi cristiani invece pensiamo che fondamentalmente il nostro meccanismo è inceppato, che siamo stortignaccoli, bacati, fallati (trovate voi la parola che io devo andare a cucinare). È per questo che l’obbedienza a un Padre che ci ama alla follia – e che per i cattolici si esprime attraverso la voce della Chiesa, unica garanzia che quello in cui crediamo non è un parto della nostra fantasia – per noi non è qualcosa che costringe, non è una fregatura, non è un impedimento, ma un sostegno, e l’unica speranza che abbiamo di riuscire a funzionare meglio.

Qui l’originale

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