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Un libro racconta la congiura di Hitler contro il papa

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Roberta Sciamplicotti - Aleteia - pubblicato il 08/05/14
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Il dittatore tedesco pensò di occupare il Vaticano e portare in Germania Pio XIINel 1942, Adolf Hilter mise a punto un progetto per deportare papa Pio XII e alcuni membri della Curia vaticana in Germania. Si tratta di un episodio storico fino ad ora poco noto all’opinione pubblica, venuto alla luce da diversi documenti, fra cui le lettere informative che arrivavano al papa da varie fonti, anche militari, su quanto stava accadendo a Roma e non solo.

Cosa c’è di vero? Come si svolse realmente la vicenda? Perché fallì? E ancora, perché questo episodio è pressoché sconosciuto al grande pubblico?

A queste e altre domande cerca di rispondere il libro di Mario Dal Bello “La congiura di Hitler” (Città Nuova), che verrà presentato il 9 maggio nell'ambito del XXVII Salone del Libro di Torino.

Il testo presenta un’avvincente narrazione degli eventi drammatici della II Guerra Mondiale attraverso gli “occhi” di Pio XII e del suo grande antagonista Adolf Hitler, ripercorsi nel consueto stile che collega la solida ricostruzione storica al fascino del racconto.

Papa Pacelli, messo al corrente dai nunzi sulle deportazioni degli ebrei da parte dei nazisti dopo che Hitler aveva deciso di sterminarli, cercò di fare il possibile per salvarli.

Nell'agosto 1942, in una grande stufa di metallo nella cucina al terzo piano del Palazzo Apostolico, in Vaticano, bruciavano fogli fitti di appunti. “Accanto”, si legge nel testo, “papa Pio XII, alto e diafano: in mano tiene due grandi fogli di carta, scritti con la sua grafia precisa e minuta. Li sta gettando uno ad uno nel fuoco. Controlla attentamente che ciascuno si bruci. Le tre suore tedesche che gestiscono la vita dell’appartamento papale osservano a distanza, silenziose”.

“Suor Pascalina Lehnert, la sola che abbia una confidenza rispettosa con Pacelli, ha il coraggio di intervenire. 'Santo Padre – dice, spalancando lo sguardo azzurro –, perché bruciate quei fogli?'. 'Qui – risponde il pontefice, guardandola diritta negli occhi, come usa fare – c’è la mia protesta contro la crudele persecuzione degli ebrei in Olanda. Stavo per farla pubblicare sull’Osservatore Romano'”.

Era una lettera molto più dura di quella dei vescovi olandesi contro le rappresaglie naziste letta nelle chiese il 26 luglio di quell’anno, che aveva scatenato l’arresto di migliaia di persone, per alcuni ben 40.000. “La mia – spiegò Pio XII – potrebbe forse costare la vita a 200mila”. “Meglio non parlare in forma ufficiale e lavorare in silenzio per questo popolo”. La frizione tra il papa e Hitler era quindi evidente.

Dopo l’8 settembre 1943, l’Italia cadde nel caos. Il governo di Badoglio aveva dovuto firmare un armistizio con gli Alleati, il re e i suoi erano scappati a Brindisi, Mussolini era di fatto prigioniero del Führer in nord-Italia, dove ricostituì un governo fascista, la Repubblica di Salò.

Karl Wolff, capo di stato maggiore di Himmler, ricevette da Hitler – infuriato per “l’infame atto del generale italiano Badoglio”, che si era “consegnato agli Alleati” – un compito importante. “A Roma c’è il Vaticano e c’è il papa. Non devono cadere nelle mani degli Alleati o subire la loro influenza. Sarebbe un grave danno per la Germania”, ricostruisce Dal Bello. Per questo, le truppe tedesche dovevano occupare il Vaticano, salvando le opere d’arte e gli archivi e “preoccupandosi della salute del papa”, trasportandolo in Germania, per poi pensare a tutta la cria.

“La notizia gira: si vuole portare via il papa. La radio della Repubblica di Salo l’ha detto chiaramente già il 7 ottobre 1943: 'In Germania si stanno preparando gli alloggiamenti per il papa'”.

“'La notizia delle intenzioni dei nazisti è seria – dice Pio XII a Cesidio Lolli, vicedirettore dell’Osservatore Romano –. Ma io non lascerò mai il Vaticano e Roma'. 'Neanche se mi incatenano, me ne andrò via da qui', ripete al gesuita Paolo Dezza”.

A quanto sembra, Hitler voleva quindi mettere in atto “un’autentica congiura antipapale, un piano come quello che era riuscito il secolo prima a Napoleone nei confronti di Pio VI e di Pio VII”.

Come insegnano i fatti, non ci riuscì. “Il papa ha lottato: prigioniero, di fatto, in Vaticano, stretto fra le forze tedesche e quelle degli Alleati. Come Benedetto XV ha voluto essere al di sopra delle parti: pronto più ad ascoltare le ragioni delle vittime che quelle dei potenti. È stato alto e solo, con gli occhi scavati dal dramma e dalla morte che si avvicinava anche a lui”. E il libro di Dal Bello aiuta a gettare una nuova luce su una pagina della storia che dovrebbe essere più conosciuta.
 

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