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La bufala dei matrimoni gay cattolici nell’Ottocento

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La propaganda pro-matrimonio gay prosegue coi falsi storiciIl matrimonio fra omosessuali? C’è sempre stato, nell’Ottocento, in Toscana lo celebrava in chiesa un prete cattolico, e il vescovo chiudeva un occhio, anzi tutti e due. Lo annunciano i quotidiani di mezza Italia, in occasione della presentazione al Gay & Lesbian Film Festival di Torino di «Ubi tu Gaius ego Gaia», un film del regista Matteo Tortora che lo definisce un «documentario».

La tesi è questa: le coppie omosessuali ci sono sempre state – e giù fotografie, alcune peraltro di semplici amici – e la Chiesa per secoli le ha tollerate. Si va perfino a ripescare il vecchio libro di John Boswell secondo cui la Chiesa nei primi secoli celebrava unioni tra omosessuali, una tesi pseudo-storica da anni smentita dalla storiografia accademica. Si passa quindi al «documentario»: si intervistano persone anziane del Mugello le quali ricordano di aver sentito dire che nella seconda metà dell’Ottocento nella «parrocchia di Malarocca» il parroco, «don Riccardo Spanò», per molti anni aveva continuato a sposare coppie omosessuali. Se ne conclude che perfino la Chiesa ha già avuto in passato i suoi matrimoni gay, dunque può averli di nuovo, e che intanto solo i più bigotti e retrivi possono opporsi a che li celebri lo Stato.

Una storia interessante. Peccato che sia completamente falsa: una bufala, e delle peggiori. I lettori dei grandi quotidiani italiani non conoscono probabilmente neppure l’esistenza di un giornale locale chiamato «OK Mugello» su cui scrive Aldo Giovannini, rappresentante di una benemerita categoria italiana, gli storici dilettanti appassionati di cose locali, che molto spesso forniscono preziose notizie agli accademici. Dopo la presentazione in anteprima del film a Firenze, Giovannini ha consultato gli annuari delle diocesi toscane, e per buona misura anche di quelle emiliane confinanti, e non ha trovato nessun don Riccardo Spanò. Non ha neppure trovato una parrocchia di Malarocca. Ha consultato allora le carte geografiche – per la Toscana ce ne sono di accuratissime, le cosiddette «leopoldine», che risalgono a prima dell’unità d’Italia – e non ha trovato nessun toponimo né chiesa o chiesetta Malarocca.

Il regista afferma che si tratta di un «documentario» e che non ha usato pseudonimi. Se anche lo avesse fatto, è comunque impossibile che una storia così straordinaria non abbia lasciato traccia negli archivi diocesani o negli annuari di storia locale. Ma anche qui Giovannini non ha trovato nulla.

Un’ultima conferma viene dalle reazioni alle prime critiche dello stesso regista Matteo Tortora. Intervistato il 5 novembre 2013 per il «Corriere fiorentino», rispondeva così: «Attenzione, io non sono né uno storico, né un documentarista, sono un regista che narra una storia che lo ha affascinato. Non ho appurato la veridicità delle fonti, mi interessava raccontare una vicenda verosimile, il che non vuol dire che sia poi realmente accaduta. L’obiettivo è "disorientare" il pubblico», e – ammette il cineasta – fare propaganda a favore del «matrimonio» omosessuale.

Tuttavia, il film continua a essere presentato come «documentario», e il «disorientamento» del pubblico si risolve in un vero e proprio inganno. Che dà la misura dei mezzi con cui – tra l’altro, in un festival finanziato dai contribuenti – oggi in Italia si fa propaganda per il «matrimonio» omosessuale.

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