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Giovanni Paolo II, il papa che ha scritto di più sulle donne

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Enrique Chuvieco - Aleteia - pubblicato il 28/04/14
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La giornalista Florinda Salinas sottolinea la valorizzazione della donna da parte della Chiesa
Florinda Salinas, giornalista spagnola che collabora con vari mezzi di comunicazione, rivendica “il diritto a che un’incompetente” si inserisca in un consiglio d’amministrazione o in un Governo “grazie a una quota mal utilizzata. Perché quanti incompetenti hanno occupato per decenni i Consigli dei Ministri?”. La Salinas si allinea con il diritto delle donne sul proprio utero, ma non su ciò che “vi ‘alloggia’, perché è un essere diverso da me, un feto umano, non un brufolo”.

Di fronte al femminismo ideologico che spinge per l’aborto come diritto, ne reclama un altro per il XXI secolo, perché il vero “cavallo di tutte le battaglie è che gli uomini assumano la propria paternità da pari a pari con la donna”, perché anche se Christine Lagarde presiede il Fondo Monetario “è circondata da banchieri”. La Salinas approfondisce questa e altre questioni nel suo ultimo libro La mujer visible. Feminismo para el siglo XXI (La donna visibile. Femminismo per il XXI secolo, Digital Reasons).

Perché ha intitolato il suo libro “La donna visibile”?

Come mi ha detto il Premio Nobel Octavio Paz durante un’intervista alla fine degli anni Novanta, l’evento più importante del XX secolo è stata l’irruzione massiccia della donna nella vita pubblica: ambito lavorativo, politico, economico, culturale, sociale. Fino a quel momento, la donna aveva agito solo in ambito privato, ovvero in famiglia, come moglie e madre. Questo ruolo, che ritengo molto importante, non era un’opzione per lei: si capiva che, per natura, costituiva la sua unica missione al mondo.

Nel corso del XX secolo, le donne hanno riconosciuto il proprio diritto e il desiderio di partecipare attivamente alla società, apportando le proprie conoscenze e attitudini e la loro preparazione accademica o professionale. In base all’espressione della filosofa tedesca Hannah Arendt, le donne si consideravano persone, e quindi avevano diritti nel mondo: potevano reclamare di voler vedere ed essere viste, di voler parlare ed essere ascoltate. Nessuno può essere relegato alla vita privata contro la propria volontà; siamo tutti chiamati a partecipare alla vita pubblica. È in questo doppio ambito, vita privata/vita pubblica, che noi esseri umani sviluppiamo il nostro progetto personale e costruiamo un mondo più giusto e sostenibile.

Che tipo di femminismo postula per il XXI secolo?

Più che postulare un femminismo concreto, quello che mi sembra importante è segnalare l’uguaglianza radicale di uomo e donna: l’uomo e la donna sono ontologicamente uguali. Ma uguaglianza non è sinonimo di egualitarismo, non bisogna rinunciare alla differenza arricchente che esiste tra i due sessi e che tutti sperimentiamo nella nostra vita. Come afferma la filosofa Blanca Castilla, autrice di importanti studi sul tema, “bisogna costruire un’antropologia che includa la differenza sessuale nell’uguaglianza radicale tra i sessi”.

Noi donne sappiamo di non essere uguali agli uomini, ma non vogliamo nemmeno rinunciare a ciò che abbiamo ricevuto dalla genetica: la nostra condizione di donne. Questo sarebbe il nostro grande errore: mimetizzarci con l’uomo, rinunciare a noi stesse. Per come siamo, svilupperemo le nostre capacità e i nostri talenti nel mondo, fianco a fianco con l’altro sesso, in condizioni uguali, come persone libere. In questo progetto personale, ogni donna ha diritto di definire quale tipo di vita desidera condurre e che posto occuperanno le linee di forza che configurano la nostra mappa esistenziale: studi, professione, lavoro, famiglia, figli…

Nelle prime fasi del femminismo, la donna voleva essere identica all’uomo, quell’“essere” che si dedicava esclusivamente al lavoro e alla vita pubblica, e per questo ha pensato di essere costretta a rinunciare alla famiglia e ai figli, che incolpava del fatto di essere messa da parte. Oggi, però, la donna vuole tutto: essere professionista e madre. Perché rinunciare alla maternità, che è tanto gratificante ed è qualcosa di esclusivo della donna? Un’altra cosa è che sia difficile restare su tutti i fronti, ma questa è la grande sfida del femminismo del XXI secolo: che i padri si facciano carico del proprio ruolo, che si inizi a parlare e a coltivare l’“istinto paterno”, almeno con la stessa intensità con cui si invoca quello materno.

Qual è stato il ruolo del cristianesimo nella rivalutazione della donna e nella sua promozione nella società?

Quando Carmen Iglesias è entrata nella Real Academia de la Historia l’ho intervistata per la rivista Telva. Abbiamo parlato molto del ruolo della donna nella storia, e le ho chiesto in quale momento la donna abbia trovato il suo paladino migliore. La nota storica non ha esitato un secondo: “L’irruzione del cristianesimo e della sua cultura ha presupposto, a lungo termine, un grande progresso, grazie all’importanza che si dava all’individualità nella dottrina della salvezza. Questo ha comportato un enorme beneficio per la donna, alla quale prima dell’avvento del cristianesimo venivano negate entità e autonomia”.

Non bisogna nemmeno dimenticare che l’antropologia cristiana è basata sui testi della Genesi: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gn 1,27). Purtroppo, da questa nitida manifestazione della consapevolezza dell’uguaglianza tra uomo e donna rivelata nella Genesi non sono state tratte nella società, per secoli, conseguenze giuridiche pratiche, né si è elaborato un pensiero filosofico proprio che sostenesse questa uguaglianza.

Giovanni Paolo II, il papa che ha più scritto sulle donne, ha affermato che “il testo biblico fornisce sufficienti basi per ravvisare l’essenziale uguaglianza dell’uomo e della donna dal punto di vista dell’umanità. Ambedue sin dall’inizio sono persone” (Lettera Apostolica Mulieris Dignitatem). Papa Wojtyła ha anche sottolineato che Gesù è stato il promotore della vera dignità della donna. Fin dal primo istante, Cristo ha rivolto il suo messaggio sia agli uomini che alle donne, che considerava intelligenti e capaci quanto gli uomini di seguire le sue spiegazioni e la sua dottrina.

In un contesto storico e culturale in cui la donna mancava di diritti, poteva essere ripudiata dal marito senza che questi le dovesse delle spiegazioni ed era lapidata se commetteva adulterio, Gesù ha puntato su di lei. Ha eliminato il ripudio, le ha restituito la dignità nella coppia e ha lasciato senza argomenti quanti avevano condannato a morte l’adultera del Vangelo. Egli si rivolgeva direttamente alle donne, rispondeva alle loro domande e dava loro un protagonismo che non avevano in una società che riteneva impura la donna che aveva appena partorito o aveva il ciclo mestruale. Non ha mai lasciato senza risposta alcuna richiesta da parte di una donna, ebrea o gentile. E quando è risorto, Cristo è apparso a Maria Maddalena e all’altra Maria, e i discepoli hanno dovuto dare credibilità al sesso femminile in una questione di importanza capitale – anche se con qualche reticenza, a dire la verità.

Crede che la donna dovrebbe adottare un ruolo di maggior protagonismo all’interno della Chiesa cattolica?

Non sono una teologa, né una canonista o un’ecclesiologa, per cui la mia risposta è quella di una semplice credente interessata a leggere i documenti degli ultimi papi sulla donna e sul suo ruolo nel mondo e nella Chiesa. Giovanni Paolo II, che ha coniato la definizione “genio femminile”, ha dedicato molte energie del suo pontificato a rispondere alle domande chiave: “Cos’è la donna? Che signific
a essere donna?”

Di recente, nell’intervista che ha concesso alla rivista La Civiltà Cattolica, papa Francesco ha affermato: “C’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa (…). Il genio femminile è necessario nei luoghi in cui si prendono le decisioni importanti. La sfida oggi è proprio questa: riflettere sul posto specifico della donna anche proprio lì dove si esercita l’autorità nei vari ambiti della Chiesa”. Ricevere l’ordinazione sacerdotale può essere importante per alcune donne, ma in ogni caso è una questione soggetta a ragioni di tipo fondativo sulle quali non mi sento capace di opinare.

Ciò che mi sembra realmente rilevante è quello che segnala papa Francesco: esercitare questa presenza nella Chiesa, stare dove si prendono le decisioni importanti, incluso l’esercizio dell’autorità in determinati ambiti. È ciò che noi donne professioniste cerchiamo nel mondo dell’impresa, dell’economia e della politica: influire sul processo decisionale, risultare visibili negli organi in cui si elaborano le cose. A me personalmente interessa più questa linea d’azione che essere sacerdotessa. Forse perché non ho la vocazione al sacerdozio, ma quella di donna professionista.

Il femminismo al quale tende il suo libro potrà superare il femminismo ideologico che ritiene che la donna sia padrona del suo corpo?

La donna, come persona, deve essere padrona e responsabile di se stessa, del suo corpo, del suo essere razionale, della sua coscienza. La rivendicazione del proprio corpo è quella che facevano gli schiavi, che non avevano proprietà né dominio su di esso. Gli esseri liberi non sentivano la necessità di rivendicare il proprio corpo. Nella nostra società occidentale, nel XXI secolo, rivendicare il corpo manca di senso, e ancor più se sei materialista: siamo il nostro corpo. Se siamo il nostro corpo, risulta strano che un gruppo di attiviste pro-aborto si presenti all’anagrafe per “registrare” il proprio corpo.

In realtà volevano rendere visibile l’idea (l’ideologia) per cui l’embrione o il feto fa parte del corpo della madre e quindi questa è in grado, nell’esercizio della proprietà sul suo corpo, di eliminare ed espellere dal proprio utero quel “tumore” che lo invade. Ma come mi ha detto una volta Montserrat Caballé, “si dà il caso che se lascio che il ‘tumore’ cresca per nove mesi quello che esce dall’utero per impulso della natura è un bambino, non un tumore”.

È chiaro che il mio utero mi appartiene! Non ho bisogno di passare per l’anagrafe per saperlo e perché gli altri lo sappiano, ma ciò che si trova nell’utero è un essere diverso da me, è un embrione, un feto umano, non un brufolo.

È favorevole a stabilire quote di partecipazione delle donne nella direzione di imprese e partiti politici o bisogna lasciare la questione alle capacità personali?

La sua domanda è un’alternativa e non so perché la pone così. Per cominciare le dirò che sono una convertita delle quote, nell’impresa e nelle istituzioni pubbliche. Ad oggi, con l’irruzione massiccia della donna in tutti i campi del sapere, delle professioni, della cultura, dell’economia e della politica, la sua presenza negli organi direttivi delle grandi compagnie e delle istituzioni di governo dovrebbe avere una proporzione superiore a quella che si constata. Se ci sono donne tanto preparate come gli uomini da occupare un posto vacante in un consiglio d’amministrazione di un’impresa dell’Ibex, perché il loro numero è inferiore? Se ci sono politiche competenti come i loro colleghi di partito per integrare una lista elettorale nei primi posti, perché sono sempre relegate agli ultimi?

Ed è qui che la sua domanda mi sorprende: non si tratta di includere una donna incompetente mettendo da parte un uomo competente. Si tratta del fatto che le donne competenti possano stare fianco a fianco con gli uomini competenti. Perché finora quegli spazi sono stati monopolizzati esclusivamente dagli uomini, competenti o meno, che è un’altra cosa. Mi fa ridere che quando un Ministro donna si rivela un fiasco la gente dica “Chiaro, è entrata perché è una donna”. Altolà! Era nella quota, d’accordo, ma l’incompetente è il Presidente di gabinetto: sicuramente ne aveva dieci o venti più adatte e ha fatto la scelta sbagliata. E mi azzardo a dire di più: rivendico il diritto a che un’incompetente si sia inserita nell’Esecutivo grazie a una quota mal utilizzata. Perché quanti incompetenti hanno occupato per decenni i Consigli dei Ministri, sapendo che lo erano e imponendosi sulle loro omologhe più capaci di loro per il semplice fatto di essere uomini?

Lei è una professionista e madre di quattro figli. Constata nel mondo imprenditoriale una maggiore sensibilità per accogliere e favorire la maternità della donna e renderla conciliabile con il lavoro?

Constato una maggiore sensibilità, ma non è sempre volontaria. Risponde a quella lotta secolare delle donne per i loro diritti sociali e lavorativi. La legislazione europea e nazionale ha progredito molto e le imprese, a forza, devono adattare la propria cultura e la propria realtà a quelle legislazioni che sono in continuo miglioramento. Ma mi vedo nuovamente nella necessità di mettere in discussione un aspetto della sua domanda: perché la sensibilità dell’impresa deve accogliere e favorire la maternità delle proprie impiegate e renderla compatibile con il lavoro? Solo con loro? Suppongo che abbiano anche impiegati che sono padri, e quindi devono accogliere e favorire anche la paternità e renderla compatibile con il lavoro. O la paternità non richiede tempo, attenzione e cure? Ciò che accade è che i padri non progrediscono nelle proprie responsabilità, continuando a pensare che i figli siano una cosa della madre.

Credo che l’asse centrale del movimento femminile non sia l’aborto, come pensa erroneamente un settore importante di femministe radicali. Il cavallo di tutte le battaglie è che gli uomini assumano la propria paternità da pari a pari con la donna. Il figlio ha bisogno di un padre e di una madre. Bisogna rivendicare le cure e l’educazione di quel figlio in questa società dura e competitiva. Le madri hanno bisogno di padri che condividano con loro l’allevamento e l’educazione dei figli, e che sostengano la professione della propria moglie.

Quanto alle imprese, a forza di leggi si stanno vedendo costrette a favorire la conciliazione familiare, ovviamente non solo delle madri, ma anche dei padri. E se fossero più intelligenti, comprenderebbero che quando le loro impiegate e i loro impiegati riescono a conciliare la vita familiare con quella lavorativa si sentono più soddisfatti e il lavoro è più gratificante per loro, e quindi molto più produttivo, oltre a favorire una maggiore fedeltà e stabilità nella compagnia.

Crede che l’ideologia di genere abbia influito sulla posizione dell’uomo, la cui identità sembra essersi diluita?

Non vedo da nessuna parte un diluirsi dell’identità maschile. Guardandomi intorno, constato che la mascolinità gode di ottima salute e che gli uomini continuano a dirigere il mondo. È vero che nei vertici del G20 appaiono alcuni Presidenti donna. Nel G7 c’è Angela Merkel. Christine Lagarde gira con la sua pelle abbronzata e il foulard di Hermès al collo, da brava francese, ma è circondata di banchieri, che si sono s
empre mossi sui soffici tappeti del potere finanziario ed economico. Non sorridono tanto come la Lagarde! Non hanno bisogno di risultare simpatici! Sono sempre stati lì! Basta aprire un quotidiano o vedere il telegiornale: quelli che occupano i titoli sono i maschi.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

 

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