In un libro i testi sacri, salmi e sure, ma anche i diari che hanno accompagnato i viaggi della disperazione attraverso il Mediterraneo
Pagine strazianti. Bibbie e sure coraniche sottolineate, testi copto-ortodossi che hanno varcato il deserto e il mare. E poi diari, corrispondenze, inni d’amore e lamentazioni. Pagine rinvenute dopo gli sbarchi o i naufragi. Trovati addosso a chi ce l’ha fatta o a corpi senza vita restituiti dal mare. Quelli che a Lampedusa non sono mai arrivati. I destini dei migranti. “Sono partiti portandosi la terra / che sale come una preghiera, / nei passi e negli sguardi. / Raccontano al mare mestizia / e sventure. Terribili, scorrono / nelle ferite il Tigri e l’Eufrate. / L’amore per gli altri / è il loro domani: energia / sconfinata cui la morte sussurra / solo ciò che proclama la vita”. Così il grande poeta siriano-libanese Adonis che, con questi versi inediti, apre il libro Bibbia e Corano a Lampedusa, curato da Arnoldo Mosca Mondadori, Alfonso Cacciatore, Alessandro Triulzi, appena pubblicato dall’Editrice “La Scuola”. Un libro corale che racconta la vita sconosciuta di un’isola e testimonianze inimmaginabili come il diario di un diacono etiopico o il “glossario di sopravvivenza” di un migrante dal Bangladesh. Perché a Lampedusa arrivano non solo donne e uomini spinti da guerre, fondamentalismi e assenza di futuro, ma si incrociano destini umani e percorsi di fede che testimoniano il sofferto cammino dell’Uomo e le sue irrinunciabili ragioni del vivere insieme.
Il Mediterraneo non è solo luogo di smembramento e dispersione, ma anche richiesta di affratellamento e aggregazione di nuova umanità. Bibbia e Corano a Lampedusa segue la risacca di quel mare “che indebitamente e paradossalmente – scrive mons. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento – compie verso i naufraghi un ultimo gesto di pietà: ne seppellisce i morti. Lampedusa, “porta d’Europa”, è qui tratteggiata in tanti modi. Soprattutto nel suo essere “faro e pietra d’inciampo, scandalo e avvenimento illuminante”, teatro millenario di pellegrinaggi mutati nel tempo per forma e sostanza. L’isola si perde domandandosi i tanti “perché” di un’assurda emergenza che si trascina da troppo tempo. Per poi ritrovarsi, sofferente, tra i legni delle imbarcazioni affondate, tra gli avanzi salmastri – cartoline, rosari, glossari di sopravvivenza, appunti di viaggio – gonfi d’acqua e di muto smarrimento. Questo materiale, documentato in appendice nel volume, in attesa di potersi raccogliere in un’idea di Museo della condivisione, diviene, insieme ai testi sacri ritrovati, una traccia aperta che, passando da chi “partiva sognando la vita pur sapendo che la morte era in agguato”, riporta al centro di noi stessi. “Non si può piangere acqua nell’acqua”, racconta qui Zerit, giovane eritreo sopravvissuto al 3 ottobre, mentre il fratello periva a pochi metri della costa. Il lamento e la lode. Liturgie migranti.