Si rincorrono le voci sulla sorte del gesuita rapito in Siria nel luglio scorso mentre il governo indice le elezioni presidenziali
La liberazione nei giorni scorsi di quattro giornalisti francesi che erano stati rapiti nel giugno scorso in Siria dai miliziani qaedisti dell’Isis ha portato nuova speranza sulla vicenda di padre Paolo Dall’Oglio, scomparso il 27 luglio 2013 nei pressi di Raqqa nella parte settentrionale del paese mediorientale. Secondo fonti dell’Esercito libero siriano (Els), l’opposizione armata contro il regime siriano, interpellate da Aki-Adnkronos International (21 aprile) Dall’Oglio "e’ vivo e in mano ai miliziani dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante" (l’Isis).
Sulla rivelazione non si sbilancia il ministero degli Esteri italiano. "’L’Unità di crisi della Farnesina segue la vicenda del padre gesuita Paolo Dall’Oglio con massimo impegno e, come per tutti gli altri casi, è opportuno mantenere il massimo riserbo". Questo il commento di alcune fonti del ministero degli Esteri a proposito del gesuita che è uno dei 5 italiani rapiti nel mondo (La Repubblica.it, 21 aprile)
A favore della liberazione del religioso romano di 59 anni che per trent’anni e fino alla sua espulsione nell’estate 2012 ha vissuto e lavorato in Siria in nome del dialogo islamo-cristiano, da mesi sarebbero in corso, nel paese e all’estero, contatti a vari livelli. Secondo l’agenzia Ansa (21 aprile) riferiscono questa notizia fonti vicine ai negoziati, che chiedono di rimanere anonime. Le stesse precisano che due settimane fa "vi erano notizie confortanti sullo stato in vita di Dall’Oglio" ma che "su questo non vi era e non vi può essere alcuna certezza assoluta, vista la difficoltà di penetrare la struttura che lo tiene prigioniero".
Le fonti dell’Els sostengono, a loro volta, che "secondo le informazioni in nostro possesso, non sono in corso trattative per la liberazione del gesuita Italiano" (Avvenire 21 aprile).
Nella serata del 21 aprile sulle voci circolate è intervenuta anche la sorella di Dall’Oglio: "Noi non abbiamo notizie di Paolo da mesi". "Ho letto anch’ io questa news – ha affermato la signora Immacolata Mauri – ma confermo che noi non abbiamo notizie" (La Repubblica.it 21 aprile).
Intanto, nonostante la guerra civile ancora in corso che continua a causare centinaia di vittime e l’esodo di milioni di siriani verso i paesi confinanti, il governo ha annunciato che il prossimo 3 giugno si svolgeranno le elezioni presidenziali.
Il presidente Bashar al Assad non ha ancora annunciato la sua candidatura, ma la sua vittoria appare scontata. La nuova costituzione introdotta nel 2012 ha formalmente ammorbidito il monopolio del partito Ba’ath sul sistema politico, ma prevede che i candidati debbano avere il sostegno scritto di almeno 35 parlamentari e che abbiano vissuto in Siria negli ultimi dieci anni, il che esclude tutti i leader dell’opposizione che sono fuggiti all’estero. A ciò si aggiunge che è verosimile che i seggi saranno istituiti solo nelle aree sotto il controllo dell’esercito siriano, escludendo quelle dove il sostegno all’opposizione è più forte. Secondo il governo i 2,7 milioni di profughi del conflitto potranno votare il 28 maggio nelle ambasciate siriane (Internazionale.it 22 aprile).
La decisione di indire le elezioni è stata criticata dal segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon perchè giudicata pregiudizievole dei tentativi di trovare una soluzione diplomatica al conflitto, anche se l’organizzazione di una nuova conferenza sulla Siria dopo il fallimento dei colloqui di gennaio a Ginevra sembra ancora molto lontana.
Entrambe le parti in conflitto si rimpallano l’accusa circa l’uso di armi chimiche di cui rimangono vittime anche i civili. Negli ultimi giorni Stati Uniti e Francia hanno nuovamente accusato l’esercito siriano di aver usato armi chimiche contro il villaggio di Kfar Zeita, dove almeno due persone sarebbero morte ma per Damasco ad usare il gas sarebbero stati i ribelli (Internazionale.it 22 aprile).