La nostra epoca in genere vola basso. La Pasqua ci invita a pensare in grande
Il prossimo 3 agosto sarà il cinquantesimo anniversario del “passaggio” di Flannery O’Connor, per usare l’immagine biblica utilizzata da Giovanni Paolo II per descrivere il viaggio cristiano attraverso la morte fino alla vita eterna. Nei 50 anni trascorsi da quando il lupus erythematosus se la portò via a 39 anni, il genio letterario della O’Connor è stato ampiamente celebrato. Poi, con la pubblicazione, nel 1979, di The Habit of Being, la sua raccolta di lettere, ci si è concentrati su un altro aspetto del suo genio: Mary Flannery O’Connor era un’apologeta eccezionalmente dotata, una persona che spiegava la fede cattolica combinando insieme un notevole approfondimento dei misteri del Credo e una pietà profonda e mai sentimentale, un realismo impassibile sulla Chiesa nel suo aspetto umano, un umorismo vivace e un pungente apprezzamento dell’acido che sferza l’anima del secolarismo moderno.
Per quanto ne so, non c’è mai stato uno sforzo per avviare la causa di beatificazione di Flannery O’Connor. Se dovesse essere introdotta, The Habit of Being (e le conferenze trovate nell’edizione delle sue opere della Library of America) dovrebbe essere la prova documentaria principale per considerarla un esempio di virtù eroica, meritevole di essere additata come esempio per tutta la Chiesa.
L’idea della O’Connor per cui la nostra è un’epoca di nichilismo – un’epoca che soffre di un’acidità scontrosa relativa al mistero di essere se stessa – la rende un’apologeta particolarmente adatta per il momento attuale, non da ultimo per il fatto che comprese bene la sterilità evangelica del cattolicesimo tutto sorrisi e feste che avrebbe dilagato poco dopo la sua morte. In una lettera del 1955 all’amica Betty Hester, Flannery O’Connor andava dritta al mistero oscuro del Venerdì Santo, e in quattro frasi spiegava perché il mondo moderno ritiene spesso difficile credere:
“La verità non cambia in base alla nostra capacità di digerirla a livello emotivo. Un paradosso più alto confonde l’emozione e la ragione, e ci sono lunghi periodi nella vita di tutti noi, e dei santi, in cui la verità come rivelata dalla fede è tremenda, emotivamente fastidiosa, completamente ripugnante. Pensate alla notte oscura dell’anima attraversata dai santi. Attualmente il mondo sembra attraversare una notte oscura dell’anima”.
Quell’oscurità è resa ancora più cupa dal rifiuto della modernità di riconoscere i propri bisogni più profondi. Come ha affermato la O’Connor in un intervento del 1957, “la redenzione non ha senso a meno che non abbia senso nella vita reale che conduciamo, e negli ultimi secoli nella nostra cultura ha operato la convinzione secolare per la quale una causa di questo tipo non esiste”.
Un mondo indifferente alla sua necessità di redenzione non è indifferente alla possibilità di redenzione; è un mondo ostile a quella possibilità. Nel corso dei secoli, la derisione subìta da Cristo sulla croce può porsi come espressione paradigmatica di quell’ostilità.
La Chiesa incontra questa ostilità per via della sua convinzione che le verità che professa siano davvero vere e rivelino la verità più profonda sulla condizione umana. Dice ancora Flannery O’Connor:
“La nascita vergine, l’Incarnazione, la resurrezione sono le vere leggi della carne e del fisico. Morte, decadenza, distruzione sono la sospensione di queste leggi… Non sarebbe stato mai possibile convincere la coscienza umana della purezza se non avessimo guardato alla resurrezione del corpo, che sarà carne e spirito uniti nella pace, come lo sono stati in Cristo. La resurrezione di Cristo sembra il punto più elevato della legge della natura”.
Non si può essere più controculturali di così. Ciò che la O’Connor ha scritto a livello speculativo nel 1955 è ciò che i Padri del Concilio Vaticano II hanno affermato solennemente un decennio dopo, nella Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo moderno: “…nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo… Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione”.
La nostra epoca in genere vola basso. La Pasqua ci invita a pensare in grande. Perché Cristo è risorto, e così farà il suo popolo fedele.
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George Weigel è Distinguished Senior Fellow dell’Ethics and Public Policy Center di Washington, D.C.
[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]