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Rapporto Save the Children: a rischio povertà 27 milioni di minori in Europa

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Radio Vaticana - pubblicato il 15/04/14
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Le condizioni difficili in tutti i paesi dove le condizioni dei genitori si ripercuotono pesantemente sul benessere dei più piccoli
E’ stato diffuso oggi, in vista delle elezioni europee, il primo Rapporto di "Save the Children" sulla povertà e l’esclusione sociale minorile in Europa. Dai dati si rileva che attualmente sono 27 milioni i bambini a rischio, un milione in più rispetto al 2008. Da qui, il richiamo dell’organizzazione ai governi perché pongano tra le loro priorità l’attenzione ai più giovani. Causa dell’incremento delle condizioni di disagio la crisi, ma anche la mancata ridistribuzione delle risorse. Una realtà che riguarda tutti i Paesi europei, anche i più ricchi.  Adriana Masotti, ne parla Valerio Neri, direttore generale di Save the Children Italia.

R. – Notiamo che addirittura Paesi decisamente ricchi, come la Norvegia, hanno un tasso di povertà infantile che oggi si aggira intorno al 12%. Cosa sta succedendo quindi anche nei Paesi più ricchi? Che si divarica sempre più la forbice tra poveri e ricchi.

D. – A pesare sui bambini è naturalmente la mancanza di lavoro dei genitori, ma anche l’insufficienza dei servizi del welfare e poi anche molto la casa…

R. – Sì, questo è un dato nuovo, che colpisce molto. Mediamente in Europa l’11% dei nuclei familiari destina più del 40% del reddito familiare alla casa, dall’affitto a qualsiasi tipo di costo dell’abitazione. Questo è un dato, però, molto significativo, perché fa vedere quanto del reddito familiare delle famiglie più povere, ovviamente, vada nella casa. E quanto rimane per le spese che soprattutto per giovani e bambini sono fondamentali per il loro sviluppo? Perché andare a scuola è fondamentale, ma non è meno fondamentale potersi connettere su Internet, potere andare al cinema, poter comprare un libro, potere andare a fare dello sport. Vedere, quindi, che famiglie già in difficoltà economica spendono così tanto per la casa è comprensibile per un verso, ma sviluppa un senso di pericolo e di preoccupazione per i ragazzi.

D. – Ma c’è una ragione di questo?

R. – Certo. I genitori, purtroppo, si trovano in difficoltà economiche e quindi cercano ovviamente di dare priorità a ciò che il genitore percepisce come fondamentale: fondamentale è mangiare e fondamentale è avere un tetto sotto il quale ripararsi. Poi, via, via rimangono i soldi per il resto. Ora, l’educazione, soprattutto quella informale dei bambini, cioè quella che non viene vissuta nella scuola ma intorno alla scuola, è quella che ovviamente ne fa le spese maggiori. E difatti, in tutta Europa sta aumentando l’abbandono scolastico, perché tra “scuola” e “fuori dalla scuola” c’è una relazione molto stretta: un ragazzo molto interessato, che fa molte attività, anche sportive, è di solito un ragazzo attivo e a scuola andrà più o meno bene, ma sarà attivo e frequenterà. Un ragazzo che fuori dalla scuola non ha stimoli, è depresso, è deprivato, anche a scuola pian piano comincerà a essere meno partecipe. E infatti sta crescendo in Europa il fenomeno dell’abbandono scolastico.

D. – Quindi, la povertà non va vista solo in termini di denaro, ma di possibilità che poi aprono a un futuro diverso che vengono a mancare…

R. – E’ esattamente il nostro punto centrale. Noi dobbiamo stare molto attenti, perché dietro e insieme alla povertà economica è crescente un’altra povertà, che possiamo chiamare “educativa” e che tarpa le ali ai ragazzi che, se anche di famiglia povera, magari hanno dei talenti personali. Tra l’altro, noi in Italia come Save the Children stiamo per lanciare – ma questa sarà una notizia del 12 maggio – una nuova campagna esattamente su questo, che chiameremo “Illuminiamo il futuro”.

D. – Insomma, in vista anche delle prossime elezioni, voi dite ai governi di fare attenzione all’infanzia nelle loro politiche…

R. – Assolutamente sì. Tecnicamente, noi sosteniamo da anni che molte spese che i governi fanno per l’infanzia dovrebbero essere messe fuori dal famoso calcolo del 3% del debito pubblico, perché quelli sono investimenti nell’utilità di tutti i Paesi. Comprimere quegli investimenti per l’infanzia significa invece veramente lasciare indietro intere generazioni di ragazzi europei, e questo è gravissimo per il futuro dell’Europa.

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