Mercoledì riparte in Senato l’esame del disegno di legge Scalfarotto sull’omofobia
Ci risiamo. Mercoledì riparte in Senato l’esame del disegno di legge Scalfarotto sull’omofobia. I nostri lettori sanno a memoria di che si tratta, ma magari qualcuno condividerà questo articolo con amici meno informati. Ecco dunque un riassunto. Capita che persone omosessuali – come tante altre persone – siano picchiate, minacciate o insultate. È giusto punire i responsabili. Sono già puniti dalle leggi in vigore. Si dice che è necessaria un’aggravante, per scoraggiare i teppisti che vanno in cerca di omosessuali cui «dare una lezione». Non si sa quanti siano questi teppisti, ma quello che si sa con certezza è che l’aggravante c’è già. Se una persona omosessuale è picchiata in un ristorante non perché non ha pagato il conto ma in odio alla sua condizione di omosessuale i nostri tribunali applicano l’aggravante dei «motivi abietti». Non è un’aggravante riferita specificamente agli omosessuali. Colpisce chi picchia un cattolico non perché non gli ha saldato un debito ma perché è cattolico, o un nigeriano non perché gli ha dato uno spintone ma in quanto nigeriano, conformemente alle convenzioni internazionali sui cosiddetti «crimini di odio» che anche l’Italia ha sottoscritto.
Dovrebbe essere, dunque, tutto chiaro. Picchiare, insultare, minacciare una persona omosessuale – come chiunque altro – è un crimine che va punito. Ma è già punito, e anche l’aggravante c’è già. Perché, allora, si chiede una legge contro l’omofobia? Che cosa prevede che nelle leggi attuali non ci sia già? Introduce un delitto di opinione: chiunque manifesta idee che «istigano alla discriminazione» nei confronti di omosessuali e transessuali è punito con la reclusione fino a un anno e mezzo. Se partecipa ad associazioni che promuovono queste idee, la pena sale fino a quattro anni, mentre chi addirittura fondasse o dirigesse tali associazioni rischia di rimanere in prigione sei anni. È vero che all’ultimo momento è stato introdotto un emendamento che dovrebbe proteggere chi esprime queste idee all’interno di chiese e sedi associative – non fuori -, ma l’eccezione è così vaga che l’interpretazione è lasciata al buon cuore dei giudici, e comunque in Senato già si propone di cancellarla.
Manifestare idee che «istigano alla discriminazione» è un tipico reato di opinione, una museruola messa alla libertà di espressione. Per esempio, sostenere che il «matrimonio» fra persone dello stesso sesso non va riconosciuto, o che i bambini non vanno consegnati per l’adozione a coppie omosessuali, è certamente una «discriminazione» nel senso letterale del termine, e di fatto è stata considerata tale dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. Ecco dunque spiegato a che cosa serve la legge Scalfarotto: a imbavagliare, con lo spauracchio di severissime pene detentive, chi osasse opporsi al «matrimonio» o alle adozioni omosessuali, o peggio continuare a sostenere che il comportamento omosessuale, come insegna il «Catechismo della Chiesa Cattolica» è «intrinsecamente disordinato» e «in nessun caso può essere approvato».
Timori eccessivi del nostro giornale, dei comitati "Sì alla famiglia" o delle Sentinelle in piedi che – incuranti delle provocazioni e degli insulti – continuano a manifestare in tutta Italia? Ma no, che le cose stiano così non lo dice «La Nuova Bussola Quotidiana» ma lo stesso Scalfarotto, il quale giorni fa lo ha ripetuto nel programma televisivo «Le invasioni barbariche». Dove ha spiegato come la legge sull’omofobia sia la prima tappa in un itinerario che porterà al «matrimonio» omosessuale – che all’inizio si chiamerà «unione civile» per lucrare l’appoggio di qualche cattolico e magari anche di qualche sacerdote – e poi, ma solo poi, alle adozioni dei bambini da parte delle coppie dello stesso sesso.
I rischi, però, sono ancora peggiori. Un modello sociologico – di cui confesso di essere all’origine, e che oggi è citato anche in documenti di organizzazioni internazionali – prevede che le minoranze sgradite a certi «poteri forti» siano vittima di una «spirale dell’intolleranza» che prevede tre tappe. La prima è appunto l’intolleranza, che è un fatto culturale: chi sostiene certe posizioni è offeso e messo in ridicolo dai media, e presentato come un ostacolo da rimuovere alla pubblica felicità. Segue la discriminazione, che è un fatto giuridico: contro chi osa affermare certe idee scattano le leggi e la prigione. Il terzo stadio è la cultura dell’odio, che va anche oltre le leggi. Senza bisogno di attendere i giudici – qualche volta, anzi, violando la legge – i privati si fanno «giustizia» da soli, escludendo dai posti di lavoro e qualche volta malmenando i sostenitori di idee considerate «tossiche» e pericolose.
In Italia, almeno per questa settimana, siamo ancora nella prima fase, l’intolleranza. Chi si oppone al «matrimonio» e alle adozioni omosessuali, o sostiene che gli atti omosessuali sono «intrinsecamente disordinati», è offeso e ridicolizzato sui media, escluso dai dibattiti televisivi, minacciato dagli opuscoli dell’UNAR, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali. Ma, per ora, non va in prigione.
Con l’approvazione della legge Scalfarotto passeremo anche noi alla seconda fase, la discriminazione. Chi manifesta idee contrarie all’ideologia di genere finirà in prigione. Gli esempi dei Paesi dove le leggi sull’omofobia ci sono già ci mostrano che basta molto poco. In Francia qualcuno è stato arrestato solo perché indossava una maglietta della Manif pour Tous, la manifestazione contro il «matrimonio» omosessuale. In Spagna il cardinale Sebastián è stato iscritto nel registro degli indagati per avere affermato che l’omosessualità è una forma «deficiente» – nel senso, e lo ha spiegato, che le «manca» (in latino «deficit») qualcosa – di esprimere la propria sessualità.
Le leggi creano clima e costume. Datele qualche mese, e la legge sull’omofobia genererà inesorabilmente la terza fase, quella della cultura dell’odio. All’estero è andata così. Perché in Italia dovrebbe essere diverso? Gli esempi arrivano al ritmo di uno al giorno. Eccone due, dell’ultima settimana.
Esempio numero uno: Stati Uniti. Brendan Eich è considerato uno dei migliori e più geniali manager del mondo di Internet. Grazie a lui il browser Mozilla ha sfidato con successo il colosso Internet Explorer. La sua azienda lo nomina amministratore delegato. Ma ha fatto i conti senza la cultura dell’odio creata dalle leggi sull’omofobia. Un sito di attivisti gay scova il nome del manager tra decine di migliaia di americani che hanno sostenuto con una donazione la campagna per il referendum che, in California, ha introdotto nella Costituzione dello Stato la nozione che il matrimonio è solo tra un uomo e una donna. La vittoria degli elettori californiani nelle urne è stata poi cancellata dai giudici della Corte Suprema. Ma non è questo che interessa ai gay. Per avere donato mille dollari ai promotori del referendum, Eich è stato attaccato come omofobo impenitente. Non gli è bastato dichiararsi contrario alla discriminazione degli omosessuali. Si voleva che chiedesse scusa e inneggiasse al «matrimonio» fra persone dell
o stesso sesso. Dimostrando che Mozilla non fa sempre rima con Barilla, ha tenuto la schiena dritta e non si è piegato. È stato buttato fuori, costretto a dimettersi in quarantotto ore. L’azienda ha emesso un comunicato da cui emerge che chi è contrario al «matrimonio» omosessuale in futuro non sarà più assunto non solo come dirigente, ma neppure come addetto alle pulizie dei gabinetti. Gli altri giganti della Silicon Valley – Google, Microsoft, Apple – hanno fatto sapere che loro queste politiche le applicano già.
Chi fa parte di una minoranza discriminata: il manager geniale che si ritrova senza lavoro o gli attivisti gay che lo hanno – come ha scritto un quotidiano americano – «scotennato»? Anzi, la domanda è mal posta. Quel referendum era stato votato dalla maggioranza dei californiani, referendum analoghi in altri Stati dalla maggioranza degli americani. Ormai non si discriminano neanche più le minoranze. Si discriminano le maggioranze, in nome della superiorità morale di minoranze dichiarate «illuminate» da una piccola élite di padroni del vapore.
Esempio numero due: Germania. Una regione, il Baden-Württemberg, introduce nelle scuole corsi obbligatori di educazione sessuale che esaltano l’omosessualità. Molti genitori cristiani non ci stanno e scendono in piazza. Del tutto pacificamente, talora anzi silenziosamente come le Sentinelle in piedi. Attivisti LGBT li aggrediscono, sputano loro addosso, li accecano con gli spray al pepe e, se tutto questo non basta a fermare le dimostrazioni, li picchiano fino a mandarli in ospedale. La reazione della polizia è piuttosto blanda, gli arresti e le condanne dei violenti praticamente inesistenti. Tutto documentato, anche con video, dall’autorevole Osservatorio dell’Intolleranza contro i Cristiani di Vienna (sito Internet:www.intoleranceagainstchristians.eu).
Sono i frutti inevitabili delle leggi sull’omofobia. Se chi si oppone al «matrimonio» omosessuale è un criminale che deve andare in prigione, come può un’azienda dargli lavoro? E come si può tollerare che dei criminali commettano il loro delitto – «istigare alla discriminazione», come dice la legge Scalfarotto – addirittura in piazza? Come stupirsi se «buoni» cittadini li riempiono di sputi e di botte, e la polizia e i giudici guardano dall’altra parte? Dopo tutto, se la mafia manifestasse in piazza a favore del racket e i cittadini picchiassero i mafiosi, la polizia da che parte starebbe? Con la legge Scalfarotto, la pena per chi promuove e dirige associazioni che «istigano alla discriminazione» – fino a sei anni di galera – è più alta di quella concretamente inflitta a molti mafiosi. Se la legge sarà approvata, sarà un messaggio chiaro per tutti – media, giudici, poliziotti – su quanto pericolosi lo Stato ritenga questi criminali che osano opporsi al «matrimonio» e alle adozioni omosessuali, o considerano l’omosessualità non una festa o qualcosa da promuovere ma un disordine e un disagio.
Qualche giorno fa l’Arcivescovo di Torino ha pubblicato una nota sulla «dittatura del ‘genere’» che si sta instaurando anche in Italia. Repubblica ha trovato, senza troppe difficoltà, due preti – uno, per la verità, ex prete – cui far dire in un’intervista che sono esagerate le preoccupazioni dell’Arcivescovo. Esagerate? Lo chiedano a Mister Eich o ai genitori del Baden-Württemberg. Forse è l’ultima settimana utile. Se non vogliamo perdere il lavoro, farci coprire di sputi e picchiare in piazza – come alternativa a finire «semplicemente» in prigione per qualche anno – fermiamo la legge Scalfarotto, e fermiamola adesso.