Secondo il cardinale Brandmüller non vi era un regolare riconoscimento delle seconde nozze e quindi l’ammissione all’EucaristiaI Padri della Chiesa non hanno mai ammesso all'Eucaristia i divorziati risposati. Il cardinale Walter Brandmüller lo ha ribadito nel corso dei dibattiti sulla questione dell'accostamento ai sacramenti dei divorziati che hanno contratto un nuovo matrimonio, uno degli argomenti che verranno trattati nel Sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia che si celebrerà a ottobre in Vaticano sul tema “Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell'evangelizzazione”.
È soprattutto un’opera di Giovanni Cereti, sacerdote della diocesi di Genova che ha studiato Patristica e Teologia Ecumenica e continua tutt’oggi a lavorare in questi campi, a riportare una serie di testimonianze dell’era patristica che deporrebbero a favore di un'ammissione dei divorziati risposati all’Eucaristia.
Nel suo libro Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva, del 1977 (riedito da Aracne nel 2013), Cereti “intende perseguire un interesse ecumenico e pastorale: il riconoscimento delle seconde nozze dei divorziati da parte della Chiesa e il loro accesso alla comunione eucaristica”, ritenendo che ciò sia stato una prassi già nella Chiesa primitiva, ha spiegato il cardinale (Avvenire, 5 aprile).
La tesi di fondo del sacerdote è tuttavia “insostenibile”: “sebbene alcuni Padri abbiano manifestato una certa tolleranza in riferimento a singole situazioni difficili”, infatti, “né nell’Occidente, né nell’Oriente si può però parlare di un regolare riconoscimento delle seconde nozze dopo il divorzio e di una ammissione all’Eucaristia dei divorziati risposati”.
Secondo Cereti, quando nella Chiesa primitiva si parlava di seconde e terze nozze si intendevano quelle dopo un precedente divorzio. Per il cardinal Brandmüller, però, bisogna “stare bene attenti a non proiettare sulla Chiesa primitiva la disinvoltura con la quale la società odierna accetta il divorzio e le seconde nozze”, perché già l’antichità precristiana trattava queste due pratiche “in modo molto restrittivo”.
“Un secondo matrimonio simultaneo, cioè contratto mentre era in vita il primo coniuge, veniva considerato come un adulterio perpetuo e mai era preso in considerazione come una scelta cristiana”, così come “non risulta nessuna iniziativa dei Padri per regolare pastoralmente un tale matrimonio. Solo la separazione poteva essere, eventualmente, permessa”.
Quando invece nei testi ecclesiastici si parla di seconde, terze o quarte nozze, si intendono le nozze dei vedovi, delle quali si parlava “perché erano permesse, ma non viste di buon occhio”.
Per Cereti, i Sinodi del IV secolo, che riammettevano nella Chiesa i digamoi (coloro che contraevano un secondo matrimonio) dopo un periodo di penitenza, intendevano con ciò sia il caso delle seconde nozze simultanee (un secondo matrimonio mentre il primo coniuge è in vita) che di quelle successive (un secondo matrimonio dopo la morte del primo coniuge). In questo senso, anche i divorziati risposati avrebbero potuto essere ammessi all’Eucaristia.
In realtà, però, in nessun Padre della Chiesa si può trovare un riferimento alla parola digamoi nel senso di un’equiparazione tra le seconde nozze simultanee e quelle successive dei vedovi, e “a maggior ragione nessun testo sinodale, che di per sé esigeva chiarezza giuridica, avrebbe mai potuto intendere con digamoi sia le seconde nozze simultanee che quelle successive”, perché con ciò “si sarebbero messe sullo stesso livello le seconde nozze simultanee, che risultano sempre da un adulterio, con le seconde nozze successive dei vedovi, che venivano considerate dalla maggioranza dei Padri come indesiderate, ma non peccaminose”.
“Un’interpretazione dei testi che voglia seguire correttamente le esigenze del metodo storico-critico”, ricorda il porporato, non permette quindi di trarre le conclusioni alle quali arriva Cereti.
Per approfondire il tema dei divorziati risposati:
Il card. Kasper e i divorziati risposati: polemiche fuori luogo
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