Nel paese mediorientale la ferocia del conflitto rende sempre più drammatica la condizione di milioni di persone e bambiniIn Siria la gente, i bambini, stanno morendo di fame: la comunità internazionale non può rimanere inerte a guardare mentre questo accade. E’ un grido disperato quello di mons. Mario Zenari, nunzio apostolico nel paese dilaniato da tre anni di guerra civile. Il diplomatico di stanza a Damasco è in questi giorni a Roma dove ha incontrato papa Francesco per raccontargli la situazione (Linkiesta 2 aprile).
Gli aiuti umanitari sono resi disponibili dalle organizzazioni umanitarie, ma i camion che dovrebbero trasportarli sono bloccati da entrambi i fronti belligeranti. Per questo diventa necessario un cessate il fuoco parziale, anche solo di poche ore, perché cibo e medicine riescano ad arrivare alla gente intrappolata dagli assedi.
Le parole di mons. Zenari descrivono una tragedia che si consuma nel torpore della comunità internazionale dato che la conferenza di Ginevra 2 – convocata per tentare una mediazione tra le parti del conflitto-, si è risolta in “una delusione”. “In Siria – afferma il nunzio apostolico – c’è un conflitto sanguinoso, acerrimo, le distruzioni proseguono, si muore di fame, mancano le medicine. Purtroppo tutto questo non fa più notizia. Ma anche a Damasco a volte si ha la stessa sensazione. Spesso penso che a 3-4 km di distanza da dove mi trovo, dai bar e dai negozi della città, c’è della gente che muore di fame; c’è questo campo palestinese di Yarmouk, che poi è un quartiere, sotto assedio, dove sono entrate solo le Nazioni Unite. Anche a Ghouta, la località in cui si è svolto l’attacco con le armi chimiche l’estate scorsa, non ci si può andare da molti mesi, nessuno sa come la gente vive laggiù. In molti posti non circolano più nemmeno cani e gatti. Secondo le statistiche dell’Onu, in tutta la Siria, in varie località, ci sono circa 250 mila persone che vivono sotto assedio” (Linkiesta 2 aprile).
Su una popolazione di 23 milioni di abitanti, oggi 9,3 milioni di siriani hanno bisogno di assistenza umanitaria, senza contare i quasi 3 milioni di profughi che hanno lasciato il Paese, dei quali 1 milione e 200 mila sono bambini. “La matassa politica della crisi si aggroviglia sempre di più – insiste mon. Zenari – ma sugli aiuti non si deve transigere, bisogna rispettare il diritto umanitario internazionale. Si sta conducendo la guerra con metodi rifiutati dalle convenzioni internazionali, stiamo tornando indietro di secoli, siamo al Medioevo” (Linkiesta 2 aprile).
Il conflitto coinvolge tutti, ma la vita dei cristiani in Siria con l’arrivo, nell’ultimo anno e mezzo, di combattenti di gruppi del fondamentalismo islamico di mezzo mondo, è diventata più dura. “I cristiani di Siria hanno perso tutto e vivono tra gli aspri scontri con la costante paura di morire. Eppure molti di loro hanno deciso rimanere nel loro paese”. Lo ha riferito Padre Ziad Hilal, gesuita responsabile dei progetti per i rifugiati ad Homs, in occasione della visita alla sede internazionale di Aiuto alla Chiesa che Soffre. Hilal conferma la estrema precarietà della situazione nell’area di Homs, dove la chiesa assiste circa 3 mila famiglie, mentre nella cosiddetta Valle dei cristiani, a circa 45 chilometri da Homs, hanno recentemente trovato rifugio altre 4500 famiglie che necessitano di aiuto.
Ancora nessuna notizia, intanto, dei due vescovi Paul Yazigi e Yohanna Ibrahim rapiti un anno fa, nella zona tra Aleppo e il confine turco, così come del gesuita Paolo Dall’Oglio. Il recente rilascio delle suore di Maloula aveva indotto a sperare che potesse esserci una soluzione vicina anche per la loro vicenda, ma in un’intervista a un giornale del Qatar il generale Abbas Ibrahim, direttore generale della General Security del Libano, ha dichiarato che “la situazione è complicata, anche se gli sforzi per ottenere la loro liberazione sono sulla strada giusta” (Vatica Insider, 2 aprile).