Beccegato: “nuove forme di povertà sollecitano la nostra attenzione ma prima di tutto la nostra accoglienza”
Come orientare, trasformare, arricchire il lavoro quotidiano di solidarietà e assistenza in tempi di crisi che richiedono nuova intelligenza per essere colti in tutta la loro profondità ed effetto? E’ questa la riflessione al centro del 37° Convegno nazionale di Caritas italiana in corso a Quartu Sant’Elena, nella diocesi di Cagliari con la partecipazione di circa 600 direttori e collaboratori delle 220 Caritas diocesane. Di come la Caritas risponda all’invito di Papa Francesco di “portare il Vangelo nelle periferie esistenziali”, Aleteia ha parlato con Paolo Beccegato, vice direttore di Caritas italiana.
La povertà come “sintomo, metodo e profezia”, questa l’indicazione della relazione principale del convegno: cosa si intende?
Beccegato: I poveri oggi sono così tanti che facciamo fatica a trovare le risorse per dare risposta a tutti i bisogni. Allo stesso tempo, però, c’è una mole di domande inespresse, di disagio diffuso che si annida nella pancia della nostra società tale per cui questo “sintomo”, questa malattia va scovata anche negli angoli più impensabili. Emergono temi nuovi, oltre a quelli della disoccupazione, della malattia mentale, della disgregazione familiare, c’è sempre più il problema delle case e degli sfratti, di persone che non riescono più a pagare non solo le bollette, ma anche gli affitti. E insieme a questo, cresce il numero delle persone che non si presentano neppure per fare delle richieste perché nel chiedere aiuto sentono ferita la propria dignità. Ci viene chiesto, quindi, un grande cambiamento di paradigma, per avvicinarci, farsi prossimi, portare il Vangelo nelle periferie che abbiamo oggi di fronte. L’espressione di Papa Francesco, “una Chiesa in uscita” vale anche per noi. Profezia diventa allora essere sempre più capaci di leggere i segni dei tempi, di intuire i fenomeni in atto e mettere in discussione noi stessi. Per questo i gruppi di studio hanno riguardato unicamente cosa tenere, cosa cambiare, cosa aggiungere a quello che già facciamo. A partire proprio dalla nostra forma mentis di “andare verso”.
Nel Rapporto sulla povertà 2013 che avete messo online nei giorni scorsi, tra le cifre della povertà colpisce la nuova relazione che si è instaurata tra difficoltà economiche e separazioni tra coniugi: mentre ci prepariamo al Sinodo sulla famiglia, cosa ci dice questo dato?
Beccegato: Questo è proprio uno di quei segnali nuovi che chiedono la nostra attenzione e al quale abbiamo deciso di dedicare ulteriori approfondimenti nei prossimi mesi. Abbiamo constatato che tutti gli indicatori di povertà sono legati in qualche modo al disagio familiare. Famiglie spezzate, coniugi separati o divorziati – che si tratti di uomini o donne non cambia di molto il problema -, famiglie con molti figli e bassi redditi, povertà minorile, sono lo specchio di problemi molto gravi e profondi. La famiglia non riesce più a rispondere a quel modello che si era imposto negli ultimi anni di “isola” chiusa in un appartamento, impaurita da tutti e tutto ciò che è esterno a sé. Questo modello è in discussione mentre si moltiplicano esperienze di famiglie aperte, molto più improntate sulla relazione anche con altre famiglie. Le famiglie come “soggetto” di carità, non solo “oggetto” di carità. Ci sono famiglie che si aprono sempre più spesso a nuove esperienze di comunità, di case famiglia o altre tipologie che arricchiscono la famiglia stessa. Non si tratta di “nuovi martiri” o marziani che fanno cose strane, ma persone normali che traggono loro stesse beneficio da inedite forme di carità.
Dal Rapporto emerge anche come, al crescere delle povertà, cresca e si arricchisca la varietà delle risposte della Chiesa: è così?
Beccegato: Mi piace evidenziare a questo proposito una capacità di risposta di tipo europeo. Tutti i Paesi segnati dalla crisi economica sono anche caratterizzati da un rinnovato impegno di tutte le chiese locali e delle Caritas, come ha evidenziato la presenza al convegno del direttore di Caritas Cipro e il segretario generale di Caritas Europa e la presentazione di un rapporto europeo dedicato a questo. L’aspetto peculiare è che non senza difficoltà – le realtà diocesane che sono qui riunite esprimono tutta la fatica che stanno facendo in questi anni – c’è stato tuttavia un moltiplicarsi di carità, da quella più spicciola di risposta ai bisogni della marginalità più estrema con mense, beni alimentari e essenziali, aiuti economici, a interventi come il microcredito o il prestito della speranza che con la Conferenza episcopale italiana stiamo cercando di portare avanti in modo sempre più capillare, ma anche forme di solidarietà più innovative come lo sportello per prevenire il suicidio tra gli imprenditori del Nord-est: si tratta di forme di aiuto più complesse e magari più difficili da gestire, ma rispondenti a bisogni reali che oggi non si possono trascurare.
Il convegno serve per fare il punto su ciò che è stato fatto e vedere cosa cambiare o aggiungere nelle attività della Caritas: c’è qualcosa che avete già intuito in questa prospettiva?
Beccegato: Noi cogliamo che molti nuovi poveri ci chiedono di non essere trattati come categorie generali, ma uno per uno, ognuno con la propria storia. L’aspetto più rilevante della nostra attività deve essere allora la capacità di accogliere e dare dignità ad ogni persona. Per questo bisogna mettere in atto più ascolto e più dialogo per individuare percorsi di uscita fuori dagli schemi attuali. Questa considerazione spiega il fatto che, dovendo anche stabilire delle priorità alla nostra capacità di risposta, presumibilmente dovremmo ridurre al minimo ogni approccio di tipo assistenzialistico che non coinvolga anche la corresponsabilità personale rispetto alla propria situazione: pensiamo al fenomeno dilagante del gioco d’azzardo e dello spreco di risorse personali e familiari. La responsabilizzazione delle persone deve andare di pari passo con la massima accoglienza, in qualunque condizione, fosse pure il più infimo. Occorre poi trasformare: quasi tutto ciò che abbiamo fatto fino ad oggi deve essere un po’ rivisto perché la situazione è cambiata a tal punto che le risposte standard non vanno più bene. Aggiungere percorsi inediti è guardare a queste povertà con occhi nuovi e con la fantasia della carità individuare risposte nuove e sempre più personalizzate.