Salgono a quattro le regioni in cui è possibile abortire tramite il farmaco RU 486, al di là della sua pericolositàdi Tommaso Scandroglio
E quattro. Dopo Emilia Romagna, Umbria e Puglia ora anche il Lazio si appresta a somministrare la RU486 in regime di day hospital. Lo ha deciso il governatore Nicola Zingaretti affermando che si tratta di “un atto di profondo rispetto per le donne”. Come è già avvenuto nelle altre tre regioni, la somministrazione del preparato abortivo deve rispettare delle condizioni: preospedalizzazione (a meno che non si voglia dare la pillola in mezzo ad una strada), controllo degli esami e visite ad hoc (per verificare almeno che la donna sia incinta) ed entro 21 giorni è prevista una visita ambulatoriale finale. Il male ha le sue regole.
Molti commentatori – e comprensibilmente – si sono stracciati le vesti perché il ricovero ordinario è illegittimo, dato che la legge 194 prevede che tutto l’iter abortivo avvenga all’interno della struttura ospedaliera. Lo ha ripetuto in tre interventi distinti anche il Consiglio Superiore della Sanità. Ed invece ora la donna potrà, dopo aver ingerito la pillola mortifera con un bicchiere d’acqua, far subito ritorno a casa e non rimanere degente – perlomeno – tre giorni in ospedale.
C’è da dire che non ci volevano le delibere delle regioni per arrivare a questo, perché anche laddove le amministrazioni non si sono attivate per rendere l’aborto chimico ancor più facile è sufficiente che la donna firmi le dimissioni volontarie e non esiste medico al mondo che possa trattenerla contro la sua volontà. Mezzuccio che da molto tempo è consigliato a Torino dal medico abortista Silvio Viale per le sue “pazienti”.
Ma davvero il day hospital contrasta con la legge 194? Possiamo dire che sicuramente è in antitesi con la lettera della legge, ma non con la sua ratio. Lo spirito della 194, il suo intimo DNA sta nel permettere alla donna di abortire sempre e comunque prima del 90° giorno e dopo questo termine con lievissime restrizioni. Il nocciolo duro di questa norma è il principio di autodeterminazione della donna che decide se tenere il figlio oppure no. Ora la Ru486 è figlia prediletta di questa prospettiva di assoluta autonomia della donna e il ricovero ordinario va in questa direzione, cioè risponde all’esigenza della stessa legge di spalancare il più possibile le porte all’aborto procurato. In questo senso contraddizione non c’è, ma solo conseguenza necessaria di quel principio libertario che vede la donna proprietaria del figlio che porta in grembo. In ospedale o a casa cosa cambia?
La vicenda laziale in buona sostanza sta solo a testimoniare che ingoiato il cammello poi è facilissimo ingoiare anche il moscerino. Accettata l’idea che è legittimo sopprimere il figlio, è inutile battagliare sulle modalità, più o meno corrette alla luce del diritto, per farlo. È partita già persa in partenza. L’unica strada è porre l’accetta alla base del tronco, cioè contestare in radice la 194 e non perdere tempo e risorse nel tentativo di sfrondare i suoi rami più alti.
Inoltre – pur comprendendo la buonissima fede di alcuni commentatori di questa vicenda in bilico tra il clinico e il giuridico – porre sul tavolo della contestazione solo l’argomento che attiene alla salute della donna, messa a rischio dall’uso di questa pillola, sarà certamente una verità scientifica oggettiva suffragata da molti studi, però per paradosso tale affermazione percorre la medesima strada che i pro-choice hanno tracciato per diffondere l’aborto nel nostro paese. L’accento che è stato posto per promuovere questa pratica fu ed è la tutela della salute della donna: che l’aborto si faccia in regime di totale sicurezza per la donna. Questo è stato il canovaccio usato dai teatranti dell’aborto pulito e privo di pericolo e rimodularsi su questa frequenza d’onda è esporsi al pericolo, in buona sostanza, di intonare lo stesso canto delle sirene abortive. In sintesi si usano gli stessi argomenti degli abortisti per combattere l’aborto.
Oltre a ciò la strategia pro-choice ha tutta la convenienza di spostare l’attenzione dalla vita del bambino alla salute della donna. Toccare dunque solo il tasto della salute della donna messa in pericolo dalla Ru486 fa dimenticare la vera vittima di questa nuova pratica abortiva: il figlio.