Scrittori e intellettuali del Regno Unito contestano le recenti disposizioni del ministro della giustizia
Proibito evadere, anche solo attraverso dei libri. Dallo scorso novembre familiari e amici dei detenuti britannici non possono più spedire libri ai loro congiunti in carcere per scontare la pena connessa a qualche reato. La notizia, diffusa solo di recente in seguito alla denuncia di un blog sui diritti umani, ha fatto indignare gli scrittori e gli intellettuali del Regno Unito che hanno lanciato una petizione online per chiedere al ministro della Giustizia, Chris Grayling, di revocare il divieto.
“Vogliamo dare degli incentivi ai condannati affinché si comportino meglio, vogliamo spingerli a impegnarsi per guadagnare privilegi”: è stata questa la difesa del ministro della Giustizia che ha proibito l’invio non solo di libri ma anche di altri effetti personali (La Repubblica 26 marzo).
I detenuti possono tenere in cella fino a un massimo di 12 libri che però possono essere presi in prestito solo dalla biblioteca del carcere che quando esiste di solito è malfornita e alla quale comunque il detenuto può avere accesso al massimo una volta ogni 2-3 settimane a causa dei tagli sul personale penitenziario, per cui manca chi possa accompagnare i detenuti in biblioteca. L’alternativa per poter leggere è, come nelle intenzioni del ministro, ottenere un certificato di buona condotta in base al quale il divieto viene revocato e il carcerato guadagna la possibilità di acquistare libri o farseli inviare.
“E’ un provvedimento assurdo, crudele e controproducente – ha affermato Mark Haddon, l’autore del bestseller Il curioso incidente di un cane a mezzanotte e uno dei promotori della petizione online – perché proprio la lettura di libri può avere un ruolo chiave nella riabilitazione dei detenuti in carcere”. Anche a Guantanamo, ha ricordato lo scrittore, il campo di prigionia dove gli Stati Uniti ha rinchiuso senza processo i sospetti di terrorismo, i prigionieri possono ricevere libri in regalo. Secondo Haddon la decisione è stata presa per “compiacere un’opinione pubblica forcaiola, senza pensare a cosa è più utile per la società” (La Repubblica 26 marzo).
La privazione dei libri è spesso connessa a regimi carcerari speciali: secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti (Commitee to protect journalists, Cpj) a partire dal 2011 il governo etiope ha arrestato 11 persone tra giornalisti indipendenti e blogger in virtù di una nuova legge antiterrorismo, tra cui la giornalista Reeyot Alemu condannata a 5 anni e che ha ricevuto l’Unesco-Guillermo Cano World Press Freedom Prize, il premio Hellman/Hammett e l’International Women’s Media Foundation Courage in Journalism Award per i suoi articoli sui problemi sociali e politici del paese e due giornalisti svedesi condannati a 11 anni per il presunto supporto a un gruppo ribelle di etnia somala. Ai condannati per terrorismo è vietato ricevere libri, in particolare quelli che contengono nel titolo le parole “Etiopia” e “storia”, oltre che giornali e riviste locali indipendenti (globalvoicesonline.org 24 marzo).
Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria delle Marche ha smentito la notizia diffusa a gennaio di quest’anno secondo la quale al boss Davide Emmanuello, detenuto in regime di 41 bis (condizioni applicate a reati particolari quali associazione mafiosa o terrorismo) nel carcere di Marino del Tronto, non sia stato dato in lettura il libro di Umberto Eco “Il nome della rosa” perché “ritenuto pericoloso”. In realtà, ha precisato il Dap Marche, il detenuto in questione non lo ha richiesto così, come hanno fatto invece altri detenuti sottoposti allo stesso regime che lo hanno ottenuto (Ansa 3 gennaio).
Non è, tuttavia, ritenuto un limite al diritto di istruzione, all’informazione e al reinserimento sociale, il divieto per i detenuti mafiosi in regime di isolamento di avere molti libri in cella oppure farseli recapitare e restituirli ai familiari, invece che ottenerli attraverso i canali dell’amministrazione penitenziaria e restituirli loro. All’origine del divieto c’è un motivo di sicurezza. Come ha stabilito la sentenza della Cassazione 46783, queste regole hanno "l’espressa finalità di impedire che, attraverso la ricezione o la consegna di testi, il detenuto sottoposto a regime speciale possa ricevere o comunicare all’esterno messaggi cifrati".