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L’ortodossia, lo Stato e la società

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George Weigel - Aleteia - pubblicato il 20/03/14
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Putin provocherà un ripensamento tra gli ortodossi sul giusto rapporto tra Stato e Chiesa
In una conversazione sull’ortodossia russa qualche dozzina di anni fa, quella famosa fonte che può essere citata solo ufficiosamente, il classico alto officiale vaticano, mi disse: “Sanno solo come essere cappellani dello zar – chiunque egli sia”.

Un’asprezza di questo tipo rifletteva una profonda frustrazione per i modi bruschi (alcuni direbbero la crudeltà) del Patriarcato ortodosso russo di Mosca nei confronti di Giovanni Paolo II e per la sua brutta abitudine di gettare sabbia negli ingranaggi del dialogo ortodosso-cattolico internazionale. Il mio interlocutore sapeva sicuramente che c’erano delle eccezioni a questa regola: uomini come il defunto padre Alexander Men, ucciso a colpi di ascia nel 1990, quasi sicuramente perché i politici e gli ecclesiastici ortodossi russi temevano che questo figlio di una famiglia ebraica potesse, in una Russia post-sovietica libera, aiutare a modellare un nuovo rapporto tra le autorità politiche e quelle religiose; uomini come padre Gleb Yakunin, fondatore del Comitato Cristiano per la Difesa dei Diritti dei Credenti, che come risultato passò un brutto periodo in un gulag; uomini come i pastori di campagna che, dal collasso dell’Unione Sovietica nel 1991, hanno ricostruito l’ortodossia russa nelle zone rurali, un’anima ferita per volta.

Nelle parole di quell’officiale vaticano c’erano anche delle dure realtà. La Chiesa ortodossa russa (ROC) è stata alla mercè del potere politico per secoli, e la sua storia del XX secolo è stata particolarmente infelice. I bolscevichi odiavano i sacerdoti pii, per cui Lenin e i suoi successori hanno annientato crudelmente l’autentica vita religiosa ortodossa russa – espressione di una grande tradizione teologica e spirituale – ovunque riuscissero ad arrivare; la lista dei martiri della ROC a causa del comunismo è lunga e nobile. Dopo che Stalin ebbe riabilitato la ROC nella sua campagna per rinfocolare il nazionalismo russo dopo l’invasione tedesca del giugno 1941, la leadership dell’ortodossia russa, il Patriarcato di Mosca, divenne interamente controllata dal regime sovietico, e specificatamente dalla sua polizia segreta, il KGB. I patriarchi di Mosca erano funzionari del KGB. L’attuale patriarca, Kirill, ha iniziato la sua carriera come rappresentante della ROC al Consiglio Mondiale delle Chiese nel 1971, quando aveva 25 anni, segno sicuro dell’affiliazione al KGB.

Negli ultimi anni, Kirill e il suo “ministro degli esteri”, il metropolita Hilarion, sono stati i portavoce degli sforzi del Presidente Vladimir Putin di ricostituire qualcosa di simile alla vecchia Unione Sovietica nel nome di uno “spazio russo storico”, un esercizio di irredentismo della Grande Russia che ha vissuto una svolta particolarmente grave in Ucraina; simultaneamente, hanno condotto una campagna di seduzione in Vaticano e tra i protestanti evangelici americani, putativamente al servizio di un fronte unito contro la decadenza e il secolarismo occidentali. Ma per l’ironia della storia (o le strane vie della Provvidenza divina), la crisi ucraina, nella quale Kirill è stato ipocrita e Hilarion mendace, potrebbe dare il via a una rottura di questo modello storico di ortodossia che fa da cane da compagnia al potere autoritario tra gli slavi orientali.

Mentre la popolazione dell’Ucraina si sollevava lo scorso anno contro il governo cleptocratico e dispotico di Viktor Yanukovych nel movimento Maidan di rinnovamento morale e civile nazionale, le Chiese ortodosse ucraine hanno affrontato una scelta drammatica: porsi in solidarietà pastorale con il popolo o stare dalla parte dello Stato che stava esercitando una repressione brutale sui riformatori ucraini? La Chiesa greco-cattolica ucraina (UGCC), la più grande delle Chiese cattoliche orientali (bizantina per liturgia e organizzazione ecclesiale, ma in piena comunione con il vescovo di Roma), non ha affrontato questo dilemma; è stata a lungo la cassetta di sicurezza della coscienza nazionale ucraina, e nel periodo post-sovietico ha dedicato la sua vita pubblica a costruire la società civile ucraina. Le Chiese ortodosse ucraine hanno invece affrontato un bivio storico: società civile o Stato?

Le scelte compiute non sono state prive di ambiguità, ma le prove finora suggeriscono che più di qualche leader e fedele ortodosso ucraino ha scelto di stare dalla parte della società civile, rifiutando il sostegno del Patriarcato di Mosca al nazionalismo di Putin della Grande Russia. Se questo nuovo allineamento reggerà, potrebbe portare a una rivoluzione storica nella comprensione ortodossa del giusto rapporto tra Chiesa, Stato e società: uno sviluppo che, tra le altre cose, vendicherebbe la memoria dei martiri dell’ortodossia del XX secolo.

George Weigel è Distinguished Senior Fellow dell’Ethics and Public Policy Center di Washington, D.C.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

 

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