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Parlami di Dio

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Fabio Bartoli - La Fontana del Villaggio - pubblicato il 19/03/14
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Tutto ci parla di Lui e tutto quello che facciamo lo riguarda“Passando per un campo
Ho chiesto a un mandorlo:
Fratello mandorlo, parlami di Dio
Ed egli si coprì di fiori”

Non so di chi sia questa graziosa poesia, quasi un haiku, ma mi sembra che metta l’accento su un punto fondamentale: di Dio non si può parlare.

Lo si può mostrare, se ne può cogliere la presenza, ma non se ne può mai parlare, non come si parla di un qualunque oggetto.

Dio non è una cassapanca o una bolla di accompagnamento, di cui possiamo parlare in maniera oggettiva perché sono per l’appunto oggetti, separati da noi, che possiamo guardare e valutare dal di fuori.
Non si può nello stesso modo parlare di Dio perché non esiste un “fuori” da Dio, anzi Egli stesso, se esiste, è la condizione di validità di qualsiasi discorso.

E tuttavia al tempo stesso di Dio si DEVE parlare, non si può farne a meno.

Proprio perché, volenti o nolenti, come dice S. Paolo, in Lui ci muoviamo ed esistiamo e dunque non è possibile alcun discorso fuori di Dio.
Anche quando parliamo di bolle e cassapanche in realtà è di Lui che stiamo parlando.
Per parlare di Dio bisogna parlare delle cose.
E dell’uomo.
Ed al fondo delle cose e dell’uomo troveremo Lui.
La realtà ci parla di Dio, l’uomo ci parla di Dio. Continuamente. La domanda vera è perché più nessuno sembra intenderne il linguaggio.

Non so se sia colpa di Kant e Cartesio o di Cupido e Priapo ovvero se venga prima il dubbio metodologico che ci ha fatti sospettosi di tutto ciò che esiste e delle nostre stesse percezioni o quell’irragionevole pretesa di piacere, che fa di noi bambini capricciosi e isterici, incapaci di vedere ciò che esiste al di fuori, attenti solo ai nostri bisogni che subito eleviamo a diritti, ma il fatto rimane: la realtà non ci parla più, il mondo non ci parla più, la bellezza non ci parla più, nulla ci parla, come meravigliarsi se non ci parla più neppure Dio?

Eppure la nostra vita è avvolta nel mistero.

E’ un mistero la nostra origine, perché sappiamo che vive in noi qualcosa che non è riconducibile solo al gioco degli istinti, all’azione biochimica dei neuroni. L’uomo non è solo un ingegnoso impianto idraulico semovente, come lo definiva con disprezzo Diderot.

Ed è un mistero il nostro destino, il futuro verso cui siamo incamminati, ciò che saremo, ciò che siamo chiamati ad essere. Ciascuno di noi sente in modo più o meno consapevole di essere chiamato, cioè avverte la responsabilità che la vita pone su di lui.

E se c’è una chiamata ci sarà un chiamante.

Questo duplice mistero fa sì che noi della nostra vita percepiamo solo il presente, che è un frammento piuttosto piccolo. La consapevolezza di questo limite stretto della nostra conoscenza è ciò che chiamiamo senso religioso.

Il senso religioso non è la fede, ne è il presupposto. E’ presente anche in molti non credenti, è la consapevolezza del mistero, quella forza misteriosa che ci spinge sempre a cercare un Oltre. E’ anche il presupposto di qualsiasi discorso su Dio. Come i cinque sensi sono il presupposto di qualsiasi discorso sul mondo.

Come non tutti gli uomini sono capaci di vedere, così non tutti gli uomini hanno il senso religioso. In molti è atrofizzato, non sono abituati ad esercitarlo, in alcuni (assai pochi per la verità) sembra del tutto assente.

Probabilmente la Nuova Evangelizzazione ha bisogno innanzitutto di questo: di risvegliare nell’uomo il senso religioso. E’ la grande intuizione e il più grande insegnamento che ci ha lasciato don Giussani. E’ il dono che ho ricevuto negli anni passati in CL.

Ha ragione il Papa quando dice che l’Evangelizzazione non è propaganda né proselitismo.

Non si tratta di vendere un prodotto, ma di condividere un mistero, di riaccendere nei nostri contemporanei un fascino, una nostalgia, un desiderio che in troppi sembra sopito.

Per questo un ramo di mandorlo in fiore parlerà di Dio molto meglio di quanto io possa mai fare.

Per questo il modo migliore che ho per parlare di Dio è indicarlo.

Qui l’originale

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