O perché il liberalismo è incompatibile con l’Eucaristiadi Marcelo López Cambronero
In un articolo precedente ho riferito le reazioni di diversi gruppi neoliberisti all'esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, esponendo la critica che il papa effettua nel paragrafo 54 di questo documento alla teoria della “ricaduta favorevole” e sottolineando che le parole del pontefice non si rivolgono contro determinati eccessi del sistema economico capitalistico o contro una teoria in concreto, ma contro certi postulati centrali che sono la ragion d'essere di esso, e quindi contro le sue basi. Queste tesi fondamentali sono la base antropologica del capitalismo e di conseguenza la considerazione dell'economia come una scienza autonoma. Dedicheremo queste righe a spiegare la prima di esse.
Quando parliamo delle basi antropologiche del capitalismo dobbiamo occuparci di due direzioni diverse. Una di queste sarebbe l'esposizione che compie Max Weber nel suo classico “L'etica protestante e lo spirito del capitalismo” (1905), in cui afferma che l'influenza moralista e ascetica del protestantesimo contribuisce a un maggiore sviluppo dell'economia liberale nei Paesi e nei contesti protestanti. In secondo luogo, ed è a questo punto che fa attenzione l'esortazione apostolica, bisogna cercare di comprendere il cosiddetto “principio di insaziabilità locale”. La definizione può sembrare ampollosa e annunciare complicazioni, ma è semplice e, cosa più importante, su questo concetto si basa l'idea, fondamentale per i liberali, che l'uomo è un animale dominato dai suoi interessi egoisti.
L'idea a cui allude questo principio è che un soggetto preferirà sempre avere più risorse ad averne meno, e mosso da questo carattere insaziabile del proprio interesse cercherà con tutti i mezzi a sua disposizione un incremento constante delle entrate. Ovviamente quest'ansia di accumulare ricchezza può essere temperata da considerazioni di natura morale (ed è su questo che Weber voleva porre maggiore enfasi), ma in ogni caso i beni della vita appaiono qui chiaramente divisi in due ambiti molto concreti. Da un lato l'uomo, non solo come animale passionale e appassionato, ma anche come “animale razionale”, cerca sempre il proprio beneficio. La sua natura, quindi, identifica il bene con il benessere, anche se questo miglioramento della sua situazione comporta che dei suoi simili si vedano privati di quelle risorse, perché, essendo queste limitate, che uno abbia di più vuol dire che altri hanno meno. Dall'altro lato, vediamo che soprattutto i credenti – e non solo – si impongono dei limiti morali per raggiungere un altro fine del tutto diverso, che è la salvezza della propria anima. Sono quindi due i fini della vita in base a questo atteggiamento: il benessere e la salvezza dell'anima, e ciascuno di questi si organizza in base ai propri presupposti e meccanismi. In questo modo, se sei un uomo razionale cercherai nella tua vita quotidiana il tuo interesse egoista, perché in quell'ambito Cristo non ha motivo di entrare. In caso, la tua fede ti servirà per applicare alle tue relazioni un po' di moralismo: la coscienza è una bibliotecaria brontolona e pesante che non ha nulla a che vedere con la tua felicità concreta e attuale. Ecco la struttura teologica e antropologica su cui si basa il capitalismo.
Alcuni affermeranno che una delle tesi che ho esposto nel paragrafo precedente è chiaramente falsa, visto che lo sviluppo economico e tecnologico permette anche la proliferazione delle risorse. Al riguardo, bisognerebbe segnalare varie cose, ma basterà sottolinearne due: il capitalismo punta a un modello di crescita infinita che non è ecologicamente sostenibile (perché le risorse possono aumentare, ma non sono infinite né aumentano con la stessa rapidità della domanda indotta dal modello capitalista); e in particolare, al giorno d'oggi bisogna puntare sempre a una visione globale dell'economia: il fatto che in certe epoche non vediamo il vicino impoverirsi drammaticamente non deve farci dimenticare il tremendo aumento di guerre, violenza, fame e sfruttamento nel mondo derivato dalla povertà delle regioni che non partecipano al nostro benessere, ma lo subiscono.
In base al principio di insaziabilità locale – è la tesi esposta da Adam Smith in modo ancora semplice nel suo classico “La ricchezza delle Nazioni” -, nessuno può aspettarsi che l'altro lo favorisca in base a considerazioni di benevolenza (salvo forse sporadicamente), per cui se vogliamo essere importanti per gli altri, se vogliamo occupare un posto nella società, bisogna far sì che i nostri concittadini siano interessati al nostro prodotto o servizio e disposti, per via di questo interesse, a negoziare con noi. Chi non si trova in una posizione capace di risvegliare l'interesse degli altri viene semplicemente scartato.
È proprio su questo punto, che ritengo decisivo per il capitalismo, che papa Francesco si mostra radicalmente discordante, il che significa che non deplora gli “errori” o “eccessi” del capitalismo, ma il modello stesso in quanto tale. Per questo insiste sul fatto che non si tratta, come afferma la teoria della “ricaduta”, dell'idea per la quale dagli arricchiti o dallo Stato si diffondono azioni caritative che moderano gli squilibri provocati da società che intendono tutta la propria vita economica come modellata dall'interesse, ma di cambiare radicalmente lo sguardo che abbiamo verso l'altro e rivolgerci a lui come a una persona uguale a noi, un fratello, un figlio di Dio. Leggiamo il paragrafo 199 dell'esortazione: “Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro 'considerandolo come un’unica cosa con se stesso' (…) Questo implica apprezzare il povero nella sua bontà propria”.
Il rinnovamento della vita sociale non può dipendere, dunque, in ultima istanza, da una maggiore pressione legale o da un incremento del moralismo o del “buonismo”. Non basta – essendo in se stesso buono, necessario e perfino obbligatorio – incrementare la rete assistenziale come contrappeso alla situazione drammatica che provoca il capitalismo, che va distruggendo sempre più società e in modo più profondo; bisogna trasformare il nostro sguardo dall'egoismo all'affetto, dalla ricerca del proprio interesse alla condivisione della vita. Al paragrafo 202 si legge: “La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere (…) per guarirla [la società] da una malattia che la rende fragile e indegna e che potrà solo portarla a nuove crisi. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie”. La chiave per guarire la società è offerta al paragrafo 205, citando Benedetto XVI nella sua Caritas in Veritate: “Dobbiamo convincerci che la carità «è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici»”.
Ciò che sta dicendo papa Francesco è che l'errore centrale della nostra economia liberal-capitalistica, in cui cadono sia i neoconservatori che i socialisti, è considerare l'egoismo il motore delle relazioni economiche, con un minore (neoconservatori) o maggiore (socialisti) intervento dello Stato per correggere gli squilibri. Mentre i sostenitori di questo atteggiamento difendono ancora l'idea che una “mano invisibile” trasformi questo egoismo nella migliore opzione per il benessere generale, assistiamo a una situazione completamente diversa: sono sempre meno quelli che beneficiano dell'egoismo collettivo e sempre più quelli che, a una maggiore o minore distanza da casa nostra, sono messi da parte ed espulsi dalla vita economica perché non interessano a nessuno. Conquistare un nuovo modo di vivere passa per la comprensione del fatto che non esiste alcuna struttura della natura umana che ci obblighi a trattare gli altri in base a parametri egoisti, al di là dell'esperienza quotidiana del nostro peccato. Viviamo una realtà sociale in cui l'interesse associato da parte liberale alle relazioni economiche è diventato la struttura di ogni relazione (anche di quelle familiari), trasformando, allo stile “Mandeville”, i vizi privati in vizi pubblici.
È l'Eucaristia che ci insegna realmente qual è il nucleo di ogni relazione umana, e per questo è l'atto politico pubblico per antonomasia: perché ci rende gli uni membra degli altri in un'unità senza dissoluzione come parti del Corpo di Cristo, come fratelli, come una cosa sola, in Cristo. Tutte le relazioni sono chiamate ad avere questa struttura. Questa è la risposta rivoluzionaria e definitiva all'iniquità del sistema economico attuale, denunciata da papa Francesco per lo scandalo di tanti.
[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]