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Flannery O’Connor e quell’inseguimento instancabile di Dio

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia - pubblicato il 17/03/14
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A 50 anni dalla sua morte, esperti in convegno alla Gregoriana ne rileggono il “Diario di preghiera” appena pubblicato
“Signore, fammi diventare una mistica, e aiutami a togliermi di mezzo”. Così scrive Flannery O’Connor nelle pagine del suo A Prayer Journal (Diario di preghiera), pubblicato solo pochi mesi fa negli Stati Uniti e già giunto alla quinta edizione. Poco si conosce in Italia di questa scrittrice americana, nata nel 1925 e scomparsa assai presto, nel 1964. Una fede ardente la sua, colma dell’amore di Dio e di una ricerca infinita, che lei ha riversato in tutti i suoi romanzi: tra questi, La saggezza del sangue e Il cielo dei violenti. Quella che traspare dal Journal, rimasto inedito fino all’anno scorso, è una figura fragile, ma che conosce la via del Bene e che per questo implora Dio in tutti i modi perché rimuova da questa ogni ostacolo, a cominciare da se stessa. Di questo e di altro parleranno il 18 marzo (ore 18) presso la Pontificia Università Gregoriana, in un incontro dal titolo “Rendimi strumento della Tua storia” – Il Diario di preghiera di Flannery O’Connor, tre grandi conoscitori dell’opera dell’autrice: padre Michael Paul Gallagher, suor Marta Tedeschini Lalli ed Elena Buia Rutt, saggista e poetessa, che della O’Connor ha tradotto alcuni testi inediti e che ha regalato a noi di Aleteia alcune sue riflessioni.

Cos’è questo Diario di preghiera di cui si parlerà all’incontro di domani?

Buia Rutt: Questa conferenza è un segnale importante, perché è bene che si cominci a fare qualcosa per far conoscere di più Flannery O’ Connor, in particolare in Italia. Flannery è un personaggio problematico qui da noi: lo è per il cattolico medio, perché con la sua sensibilità lo sconvolge, lo è per la Sinistra perché è troppo cattolica. Quindi si trova “in mezzo”. In America è già molto celebrata: pensiamo solo che è stata una delle prime donne ad entrare nella collana della “Library of America”. Questa pubblicazione di qualche mese fa del suo A Prayer Journal, in questo senso, è fondamentale. Sono 37 pagine di preghiere, di dialogo con Dio, pubblicate da William Session, amico della famiglia O’Connor. In particolare conosceva benissimo Regina, la mamma di Flannery, ed è uno degli ultimi testimoni diretti, uno dei pochi ancora in vita tra quelli che hanno conosciuto Flannery. Session ha avuto accesso alle carte della fattoria dove Flannery andò a vivere dopo che si ammalò di lupus: qui, ad Andalusia, viveva con la madre allevando pavoni. Aveva le stampelle e scriveva al piano terra, ma i piani superiori sono pieni di carte ancora da esplorare. Un po’ per volta, gli eredi stanno dando la possibilità di pubblicarle. In queste 37 pagine è stampato in fac-simile l’originale delle pagine scritte da lei sul quadernino: quindi possiamo vedere proprio la sua scrittura, con le correzioni. Si tratta di un diario scritto tra il 1946 e il 1947: Flannery aveva 21 anni quando ha cominciato a scriverlo e l’ha interrotto bruscamente l’hanno dopo. In quel periodo non era ancora una scrittrice, si trovava lontano da casa, ad Iowa city, dove era andata a frequentare un corso di giornalismo. Quando tornò da lì aveva capito che era una scrittrice di narrativa, e la sua vita era cambiata.

Che personaggio ci racconta questo Diario?

Buia Rutt: In ogni sua pagina Flannery prega Dio di farla diventare una scrittrice, di darle “una storia”. Questa è la sua preoccupazione più grande, ma non lo vuole per soddisfare il suo ego; piuttosto vuole diventare strumento della storia di Dio. Dice sempre: “rendimi strumento della tua storia”. Nel Diario ci appare una Flannery O’Connor diversa da quella che noi conosciamo dai suoi scritti destinati alla pubblicazione. In questi ultimi è una scrittrice lucida, sempre in controllo della situazione, una scrittrice ironica, dura, che non si lascia mai andare ad un’emozione; i suoi racconti sono sempre di una durezza incredibile, sarcastici, grotteschi. Nel Diario, e quindi in questo rapporto con Dio, vediamo una Flannery più umana: la vediamo incerta, insicura, la vediamo pregare Dio in modo appassionato. Però poi rimane sempre se stessa, soprattutto quando scrive “Dio, fai di me una mistica, immediatamente!”, non senza aggiungere, però, “ma non voglio diventare suora”. Io sono rimasta davvero stupita nel vederla rivelata così appassionata, confusa, in difficoltà, sul futuro che l’aspettava.

Qual è un tratto che la distingue?

Buia Rutt: Una delle caratteristiche che viene fuori dal Journal, e che troveremo in tutta la sua letteratura, è il problema dell’ego, dell’io. Flannery in un’immagine lirica dice “Dio, tu sei una falce di luna che cresce e io sono l’ombra che sta in mezzo, aiutami a togliermi di mezzo”. Lei sente questo problema dell’ego, che ritroviamo poi in tutti i suoi personaggi, che resistono a Dio, e per questo chiederà la grazia di toglierlo di mezzo. Tutti i suoi racconti partono sempre da un protagonista, da un personaggio che si oppone a Dio, gli resiste, ma nello stesso tempo lo cerca; per usare le sue stesse parole, i suoi personaggi “hanno il pungiglione di Dio piantato nella testa”. Non possono farne a meno però lo negano: del resto, il primo atto dell’uomo di fronte a Dio è un resistergli. Ma questo succede fino a quando – questo è lo schema classico dei suoi racconti – accade un evento catastrofico che spazza via l’io, un elemento catastrofico in cui c’è l’azione violenta della grazia. In questo senso Flannery è anche una teologa originale: usa il male, per far agire il bene. Il male è ciò che serve ad un uomo così protervo, così incapace di aprirsi e di abbandonare le sue chiusure, al quale serve “un colpo” in testa. Nel racconto “Rivelazione”, una signora del Sud degli Stati Uniti, che continua ad usare luoghi comuni, ad un certo punto si ritrova un libro in testa scagliatogli da una ragazza epilettica che la insulta. È così, i suoi personaggi hanno bisogno di qualcosa che lì fa saltare, qualcosa che fa ridere, dalle sfumature comiche, ma che in realtà ha i toni profondamente drammatici.

Una sua frase che colpisce molto è “Nessuno se non colui che conosce tutte le cose può essere ateo: per questo Dio è l’unico ateo”. Che significa?

Buia Rutt: Solo Dio non ha bisogno di adorare se stesso, mentre il diavolo – lei dice – che è il maggior adoratore di se stesso “è il più grande credente”. Perché crede assolutamente in se stesso. E Flannery O’Connor ha un senso del diavolo e del peccato fortissimo, ma non in modo tradizionale o bigotto: lei pensa che il peccato sia proprio questo ego che si frappone, l’ombra della luna, della bellezza, che non permette di essere penetrati dalla grazia di Dio, e quindi di discernere. Infatti in tutto il Diario, scrive: “Aiutami a togliermi di mezzo, e dammi una mente lucida (una clear mind), per vederti, per capire come posso muovermi guidata da te, da Dio, in questa vita”. Lei si muoveva sulle linee di Dio. Uno dei racconti nel Diario di preghiera si intitola Il tacchino: in esso lei è come il protagonista, un ragazzo di 11 anni, che trascorre un giorno a cercare di afferrare questo tacchino. Il tacchino è una figura cristologica: questo ti dà il senso della sua letteratura. Il tacchino è ciò che salva questo ragazzo: lui si sente trascinato verso il bene, cerca di acchiappare questo vecchio tacchino ferito perché pensa che se ci riesce la sua vita potrà cambiare, potrà essere lod
ato dai genitori e non prendere una cattiva strada come quella del fratello, che gioca alla bisca e fuma. Dopo averlo catturato, torna a casa e sa che farà una bella figura; invece, all’ultimo isolato, questo tacchino gli viene rubato da alcuni ragazzi. La storia sembra finir male, invece non è così, perché il bambino percepisce il giusto, dov’è la salvezza. Nel suo Journal Flannery è come questo ragazzo: lei cerca di acchiappare Dio in tutti i modi.
 

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