Con Casa Rut, da più di quindici anni è in prima linea a Caserta contro il traffico di personeSuor Rita Giaretta, religiosa delle Orsoline del Sacro Cuore di Maria, è l'anima di Casa Rut e della cooperativa sociale neWhope, che nel centro di Caserta hanno portato coraggio, dignità e libertà. Libertà, innanzitutto, dalle catene della schiavitù e dello sfruttamento, che costringono migliaia di ragazze e giovani donne, soprattutto immigrate, a prostituirsi, ridotte a merce da scambiare, non più persone ma cose.
Vicentina trapianta nel Casertano, suor Rita sta sperimentando, insieme alle sue consorelle, percorsi di riscatto in una delle terre più difficili del Sud. La religiosa ha raccontato la sua esperienza di Chiesa di periferia nei volumi Spezzare le catene (Marlin) e Osare la speranza (Il Pozzo di Giacobbe).
“L'8 marzo del 1997 – ricorda suor Rita – abbiamo deciso di andare per la prima volta in strada a incontrare le ragazze costrette a prostituirsi. Abbiamo caricato in macchina vasetti di primule e siamo partite. Non sapevamo cosa ci aspettasse e come ci avrebbero accolto. Qualcuna si è commossa. Forse non aveva mai avuto un gesto di gratuità”.
Un gesto piccolo e delicato quanto dirompente che le cambia la vita. Suor Rita era arrivata a Caserta il 2 ottobre 1995 per quella che lei stessa definisce “un'avventura di risurrezione”, in una terra brutalizzata associata spesso a camorra, corruzione e clientelismo ma segnata anche da povertà e degrado sociale. Qui suor Rita decide di ricominciare partendo dalle donne, dalle più marginalizzate e stigmatizze: straniere, prostitute, schiave. Contro i pregiudizi e a volte dei veri e propri muri di gomma, ha aperto Casa Rut per le vittime della tratta e i loro bambini nel cuore di Caserta. Da allora più di trecento donne sono passate di qui. Oggi sono soprattutto nigeriane.
“Rut – dice suor Rita – secondo il significato biblico del nome, è l'amica, colei che sceglie di vivere in terra straniera, creando spazi di accoglienza e solidarietà, di scelta preferenziale per i più poveri e per chi non conta nulla agli occhi di nessuno”.
Presto capì che la comunità non poteva bastare per dare un futuro a queste donne, molte delle quali giovani mamme, occorrevano formazione e lavoro per renderle autonome e dunque davvero libere. Ecco, allora, che nasce la cooperativa neWhope, un laboratorio di sartoria etnica.
“In questo luogo – spiega la religiosa – la parola che ha trovato piena cittadinanza è la parola 'dignità'. Questo luogo, dove si tagliano e si cuciono insieme stoffe dai mille colori per creare dei magnifici manufatti, diventa simbolo e segno di quella vera condizione e fratellanza che ha la forza di ricucire e tessere insieme, attraverso le nostre diversità, il tessuto di una nuova umanità. La dignità è il grembo materno in cui hanno gestazione tutti i diritti umani”.
Per saperne di più:
www.associazionerut.it
http://www.coop-newhope.it