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Educare alle differenze

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Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 04/03/14
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Un saggio edito dalle Paoline aiuta a comprendere la trappola ideologica della “teoria del gender”
“È vero: la storia ha registrato non poche ingiustizie e discriminazioni proprio legate alla distinzione fra sessi, ben vengano, dunque, le ventate di libertà che smantellano ruoli rigidi e gabbie sociali, quali erano diventati i ruoli del maschile e del femminile fino agli anni settanta, ben vengano gli incoraggiamenti al rispetto reciproco e alla tolleranza che sa accogliere comunque l’altro da sé, tuttavia, come sempre accade nella storia, il pendolo ora è in direzione totalmente opposta. Il sesso è biologicamente dato, ma il genere non dovrebbe essere semplicemente binato, dicono voci internazionali, perché educare, così sostengono alcuni, secondo l’essere maschio o femmina creerebbe nuovamente stereotipi e condizionamenti che etichettano e ingabbiano la creatività e la possibilità di diventare quello che si vuole. Secondo questa visione, far crescere i bambini, a partire dalla differenza tra sessi, non sarebbe (come invece è) aderire a un piano di realtà, ma sarebbe perpetuare vecchie e desuete icone – quelle, peraltro, delle tanto amate fiabe che hanno accompagnato la nostra infanzia – della gentile e buona Cenerentola, dell’ingenua Biancaneve e dell’atteso e virile Principe Azzurro, che uniformerebbero e appiattirebbero il potenziale umano. Se dunque le caratteristiche della mascolinità e femminilità sono prodotti di una cultura omologante e avvilente, l’orizzonte ideale è quello di spazi «neutrali » (categoria oggi bandita perfino dalla psicoanalisi che pure ne faceva uno dei propri cavalli di battaglia), dove ciascuno possa essere quello che vuol essere. Ecco invece irrompere una proposta, quella degli Autori, che con coraggio, ma su basi scientifiche ben documentate, propongono un’ulteriore riflessione: negare le differenze e le reciproche complementarietà è la vera discriminazione dei nostri tempi”.

Potrebbe bastare questo ampio stralcio dell’introduzione al saggio “Educare al femminile e al maschile” (Paoline) di Tonino Cantelmi e Marco Scicchitano, per spiegare perché comprare e leggere (attentamente possibilmente) questo volume.

L’emergenza educativa in Italia, in Europa e nel mondo è divenuta oppressiva. Non solo la qualità – essenziale – di quello che viene inserito nei programmi scolastici, ma anche (in questa fase storica specialmente) quale tipologia di idea-mondo viene proposta (o imposta) ai giovani alunni. Sulle pagine di Aleteia abbiamo più volte riportato fatti di cronaca, documenti e situazioni in cui, sempre di più, la cosiddetta “ideologia gender” si è imposta tramite enti governativi, circolari scolastiche, sentenze di tribunale, senza che vi siano le evidenze scientifiche necessarie a supportarla e dunque a giustificare determinate scelte del legislatore. Siamo di fronte ad una guerra educativa e pedagogica, la Chiesa è spesso bersaglio – come si è visto nel recente attacco da parte dell’ONU – in questa faida di natura ideologica.

Il volume "Educare al femminile e al maschile" si snoda a partire dall’acquisizione del dibattito pedagogico e psicologico internazionale, e gli autori, nel loro percorso di accompagnamento del lettore, spiegano approccio e obbiettivi: “noi pensiamo che è possibile stabilire e riconoscere che esistono delle differenze e delle peculiarità maschili e femminili che possono interessare la conformazione fisica, il tono muscolare, gli assetti neuroendocrini, le funzionalità cerebrali, caratteristiche psicologiche e sociali. Ovviamente con questo non intendiamo affermare che tutti i maschi e tutte le femmine rientreranno perfettamente in queste dimensioni, perché queste sono caratteristiche con molte variazioni individuali che possono anche essere assenti. E soprattutto, prima c’è sempre la persona con la sua unicità, carattere e storia personale. Inoltre, è bene sapere che, soprattutto per quanto riguarda le differenze fisiologiche cerebrali, queste sono riscontrabili soprattutto nella fase di sviluppo compresa tra i sette e i diciotto anni, per poi attenuarsi molto”.

Ecco qui un passaggio molto utile per capire meglio una educazione di “genere” che sia realmente rispettosa della dignità delle persone: gli studi neurofisiologici citati dagli autori, fanno comprendere differenze che sono anche opportunità educative per chi le volesse cogliere. Le ragazze sentono meglio dei maschi, così come sono biologicamente differenti le capacità percettive della vista. Negare questa differenza non aiuta ad educare, né aiuta a non disprezzare l’altro, invita semmai a disprezzare se stessi e il proprio corpo perché incapace di fare alcune cose in luogo di altre. Il cervello dei maschi e delle femmine organizza in modo diverso lo spazio, così come le stesse informazioni: “Uno studio molto importante di Richard Haier ha ottenuto il risultato di mostrare che esiste una differenza tra il cervello maschile e il cervello femminile. A parità di intelligenza la massa cerebrale dei maschi era composta proporzionalmente da molti più neuroni (5-6 volte maggiore rispetto alle donne), sede dei centri di elaborazione delle informazioni, mentre in quello femminile si riscontrava una maggiore presenza di glia, o materia bianca, il tessuto fisiologico che connette i vari centri (10 volte superiore rispetto agli uomini). Come abbiamo visto, a una differenza strutturale spesso corrisponde una differenza funzionale e i dati della ricerca di Haier suggeriscono che l’elaborazione cerebrale delle informazioni avvenga in modo differente nei maschi e nelle femmine. Avendo proporzionalmente più materia bianca o glia, e quindi molte connessioni sinaptiche, una rete associativa maggiore e articolata, l’elaborazione delle informazioni nelle donne, sembra essere caratterizzata da combinazione, associazione, e quindi preludere a una migliore capacità in attività come il linguaggio”.

Un aspetto che viene sottointeso ma che il linguaggio spesso non coglie è che “diverso” non vuol dire “peggiore”, ma semplicemente “differente”. L’ideologia gender, sembra ossessionata dall’idea di appiattimento delle differenze: tutti uguali, tutti individui ma nessun legame, neppure con se stessi e la propria fisicità.  I tentativi di annullare le differenze non sono segno di una società più democratica, semmai di una più totalitaria, ecco perché un lavoro come quello di Cantelmi e Scicchitano risulta utile a riaprire un dibattito che – in realtà – almeno in Italia non si è svolto affatto, né nelle scuole, né sui giornali e tanto meno in Parlamento. 

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