L’arcivescovo di Torino si butta nella “movida” per parlare ai giovani di DioSe la montagna non va a Maometto, Maometto va alla montagna. Avrà pensato questo monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, quando sabato sera si è recato in vari pub della città per parlare ai giovani di Dio e provare ad avvicinarli o a riavvicinarli alla fede.
L'“incursione” di monsignor Nosiglia nella “movida” torinese è stata il corollario – ma anche il pezzo forte – di un'iniziativa della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, nel quartiere di San Salvario, multietnico, pullulante di locali, pub, caffè, ristoranti e soprattutto la zona dello spaccio e dei pusher.
La parrocchia “aveva aperto il portone per lasciare entrare i giovani fedeli che volessero interrompere l’estasi festaiola per concedersi un momento di riflessione e di intimità spirituale”. “Un’iniziativa, appunto la 'Movida spirituale', promossa dal parroco e dai ragazzi dell’oratorio. Per la prima era stato invitato l’arcivescovo, come per le grandi occasioni istituzionali. Ma neanche il calcio balilla collocato lì davanti aveva attirato grandi folle, anzi. Insomma, sembrava una iniziativa fallita” (Corriere della Sera, 3 marzo).
La chiesa di don Mauro si trova tra mille locali e la moschea più grande della città; è dunque “una parrocchia isolata e circondata, da anni avamposto della fede”.
Alle 23.00, quando l’arcivescovo è arrivato alla guida della sua vecchia Punto, ad attenderlo erano in pochi: “i giovani dell’oratorio e il loro prete, qualche fedele e gli agenti del commissariato che con la loro presenza avevano allontanato i pusher che spesso spacciano in Largo Saluzzo, cuore del quartiere, a due passi dalla stazione”.
Il presule è entrato in chiesa, si è inginocchiato e ha recitato il rosario. Tutto sembrava finito lì, ma poi, “tra lo stupore di tutti, terminate le decine del rosario, si è alzato dal banco e ha detto: 'E ora cominciamo la movida'”. “Si è messo sulla testa bianca il berretto ed è uscito sulla strada per affrontare l’allegria mondanissima della notte”.
“Fornito solo del suo sorriso e della sua dottrina, con l’abito nero di un prete di campagna, ha avvicinato le 'anime smarrite' nella speranza che lo fossero solo provvisoriamente”, e appare quindi nelle fotografie “tra bicchieri semivuoti, alle sue spalle i tag di graffiti incomprensibili, come un E.T. in veste di missionario in città, circondato da nugoli di ragazzi e ragazze sorridenti e pronti ad ascoltarlo”.
Fino alle due del mattino ha girato i pub della zona “per parlare di Dio ai ragazzi”. Qualcuno lo ha chiamato Santità, offrendogli la possibilità di spiegare in modo simpatico che “l’alcol può fare brutti scherzi e che è meglio non abusarne”, benché la Chiesa non condanni i bevitori (moderati), tanto che con il vino che si celebra la Messa.
“Poco distante c’è una chiesa aperta fino a tardi e sarebbe bello incontrarsi anche lì”, ha detto l'arcivescovo ai ragazzi. “La movida – ha spiegato –, con tutti gli eccessi, non riguarda soltanto persone che non conoscono Dio. Ci sono ragazzi che vanno in parrocchia, ma spesso si lasciano andare. Ci si può divertire senza mai dimenticare Dio. E la chiesa aperta è la testimonianza della Sua presenza”.
I giovani lo hanno ascoltato con interesse. “E l’ascolto, si sa, è il primo passo. Il resto, semmai, verrà”.