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Questo è il film migliore che possono realizzare i cristiani?

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Aleteia - pubblicato il 28/02/14
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Anche se fortunatamente “Son of God” non è offensivo a livello teologico, artisticamente non è una rivelazionedi David Ives

Non ci è voluto molto dopo l’invenzione della macchina da presa, negli anni Novanta dell’Ottocento, perché i cineasti iniziassero a produrre brevi film basati sulle storie della Bibbia, in genere rappresentazioni della Passione. Quando i film sono arrivati nei cinema, hanno seguito presto anche i drammi biblici, con il “Sansone e Dalila” del 1903 come primo di oltre 50 film muti che attingevano alle storie della Scrittura. E quando “L’Arca di Noè” del 1929 è diventato il primo film sonoro del genere, i film biblici si sono affermati, con centinaia – in senso letterale – di prodotti basati sulla Scrittura prodotti nel secolo successivo. In breve, sono stati realizzati moltissimi film sulla Bibbia.

E perché non avrebbe dovuto essere così? Con oltre 2,2 miliardi di cristiani e 14 milioni di ebrei nel mondo, il pubblico potenziale era enorme. Considerando questi numeri, sarebbe stato facile liquidare l’ultimo esempio di questo genere, il “Son of God” (“Figlio di Dio) di Christopher Spencer, come un prodotto di scarsa qualità realizzato solo per fare soldi. Ideato dal team marito-moglie composto dal produttore Mark Burnett e dall’attrice Roma Downey, “Son of God” è composto per la maggior parte da immagini della miniserie televisiva di enorme successo della coppia del 2013 “La Bibbia”. Tutto ciò che hanno fatto è stato semplicemente prendere una buona parte di quelle immagini che avevano a che fare con la vita di Gesù, rimontate con alcune nuove scene, e diffondere il prodotto finito nelle sale in tempo per la Quaresima. Qualcuno un po’ cinico direbbe che si tratta di una minestra riscaldata.

La verità è che ci sono moltissime persone, me incluso, che non hanno visto la miniserie quando è stata trasmessa su History Channel. Ciò che posso dire è che sono uno di quegli spettatori che guardano gli show mesi, a volte anni dopo che sono stati trasmessi. Pensavo che avrei visto “The Bible” una volta che avesse raggiunto Netflix o Amazon. Per me e per altri come me, quindi, “Son of God” è una cosa nuova, solo l’ultima della lunga serie di filmoni biblici di Hollywood. Come si pone rispetto ai suoi nobili predecessori?

Indipendentemente dal fatto che i suoi “azionisti” fossero interessati a riscaldare la minestra o meno, posso dire che il film è del tutto serio nelle sue intenzioni. A differenza di un film come “L’ultima tentazione di Cristo”, “Son of God” non aggiunge niente di nuovo né toglie nulla di importante a livello dottrinale alla storia di Gesù. In questo film non si troverà alcun Cristo non-divino che vaga in preda all’angoscia esistenziale. La pellicola inizia infatti con un prologo composto da scene dell’Antico Testamento, se vogliamo una sorta di compilation di “greatest hits”. E sullo sfondo di questi brevi flash di eroi antichi come Abramo, Noè o Davide sentiamo la voce dell’apostolo Giovanni che spiega come la seconda persona della Trinità fosse presente in tutti questi eventi. È un’introduzione (molto) breve alla tipologia cristiana che fornisce subito degli indizi sul fatto che non ci sarà alcuno scimmiottamento della teologia comunemente accettata.

Il desiderio di evitare ciò che non appare nelle Scritture significa che non c’è spazio per aggiunte di intrattenimento come la torrida relazione tra Mosè e Nefertari ne “I dieci comandamenti” o le macchinazioni sinistre di Satana ne “La passione di Cristo”. È interessante il fatto che sembri che la miniserie “La Bibbia” contenesse scene che coinvolgevano il demonio, ma dopo una piccola controversia imperniata sull’apparente somiglianza di Belzebù al Presidente Barack Obama i cineasti hanno deciso di tagliare quelle parti piuttosto che permettere che diventassero il fulcro della discussione una volta che il film fosse arrivato nelle sale. È un giusto compromesso. La mancanza di aspetti non biblici nella trama permette almeno a “Son of God” di evitare di mettere in imbarazzo la religione cristiana come hanno fatto pellicole come “Godspell”. Ricordate “Godspell”, vero? Il film in cui apparivano dei clown? Qui non c’è nulla di tutto ciò, per cui si potranno almeno mostrare in tutta sicurezza parti del film alle classi di catechismo una volta che uscirà in DVD.

Ci sono tuttavia alcuni elementi non biblici minori, un paio dei quali interesseranno particolarmente i cattolici – non è stata una decisione sbagliata a livello di business da parte dei cineasti, visto che almeno il 50% di tutti i cristiani appartiene alla Chiesa cattolica. Una scena vede Maria che si precipita verso Gesù caduto mentre porta la croce verso il Calvario (è la quarta stazione per voi devoti della Via Crucis). Dopo essere stata rassicurata dal figlio che ciò che sta avvenendo è volontà di Dio ed è necessario per il bene di tutti, Maria china il capo in segno di accettazione e poi aiuta a rialzare la croce perché Gesù possa continuare il suo percorso. È un bel tocco a cui i “fans” di Maria risponderanno “Beh, lo avrebbe fatto sicuramente”. Più sorprendente è la scena dopo che Maria Maddalena guida Pietro alla tomba vuota. Non riuscendo a convincere gli altri apostoli che Gesù è tornato davvero, Pietro chiede pane e vino e offre a tutti loro la comunione. È solo dopo di ciò che Gesù appare tra loro. È come se il film dicesse che se si vuole vedere Gesù nella carne bisogna prendere e mangiare. È un aspetto cattolico piuttosto sorprendente da vedere sullo schermo, reso ancor più stupefacente dal fatto che è stato inserito da protestanti.

Nel film, purtroppo, ci sono anche alcuni aspetti non così stupefacenti. Anche se il livello di produzione è abbastanza buono, è ancora un prodotto a livello televisivo. Le cose che probabilmente sembravano accettabili sul piccolo schermo sembrano un po’ troppo false sul grande. Le scene dell’antica Gerusalemme ricostruita a livello digitale sono particolarmente stonate, sembrando più qualcosa che si vede su History Channel che un effetto cinematografico. Anche film con un budget simile come “Una notte con il re”, del 2006, riescono a fare meglio di “Son of God”, semplicemente perché era inteso per i teatri. Non è un grande problema, ma distoglie momentaneamente dal film.

E questa non è una cosa positiva perché l’altro grande difetto del film è che non è emotivamente coinvolgente come si poteva sperare. Paragonate la scena descritta in precedenza con Maria e Gesù a quella simile de “La passione di Cristo” e vedrete subito a cosa mi riferisco. Quella di “Son of God” considera l’episodio come positivo, perfino lodevole, ma non ha nulla del devastante peso emotivo della versione della scena di Gibson. È quasi impossibile per qualsiasi uomo o donna con un figlio guardare quel momento de “La passione di Cristo” senza ricacciare indietro le lacrime. Non è così in “Son of God”. Non è colpa degli attori. La Downey è accettabile come Maria, anche se nel film non fa molto altro che piangere, e l’attore portoghese Diogo Morgado va bene come Gesù, anche se a volte appare stranamente confuso. È solo che Christopher Spencer e la sua squadra, tutti veterani di documentari televisivi, non sembrano mai riuscire a dare vita al materiale. Fedele alle sue radici, il film sembra essere troppo adatto alla televisione e pronto a inserirsi comodamente tra altre produzioni di History Channel come “Segreti biblici rivelati” e “Giuseppe: il santo silenzioso”.

Ad ogni modo, anche se “Son of God” non è un trionfo artistico, è una buona nuova versione della vita di Cristo dalla nascita all’ascensione che si adatta fedelmente alle fonti. Considerando alcuni dei film più stravaganti dell’anno basati sulla Bibbia (il “Noè” di Darren Aronofsky, l’“Esodo” di Ridley Scott e l’inspiegabile remake di “Left Behind” con Nicolas Cage), già solo questo fa riconoscere al film un po’ di buona volontà. “Son of God” potrà non entrare mai nella lista dei grandi film del Vaticano, o in quella di qualcun altro, ma andrò bene finché non uscirà qualcosa di meglio. E vista la lunga tradizione hollywoodiana di sfornare film basati sulla Bibbia, arriverà sicuramente.

In un mondo che non ha creato, in un’epoca che non ha scelto, un uomo cerca i segni di Dio nel mondo… guardando film. Quando non fa recensioni dei film appena usciti per Aleteia, David Ives passa il tempo esplorando l’intersezione tra cinema a basso budget/di culto e cattolicesimo su
The B-Movie Catechism.

[Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti]

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