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Claudio Gentili: “La via della Dottrina Sociale è l’unione delle differenze”

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia - pubblicato il 25/02/14
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Il direttore de La Società presenterà il 28 febbraio a Verona gli atti del Terzo Festival della Dottrina Sociale della ChiesaQuesti sono, o sono appena stati, tempi di festival. Ma cosa può intendere questa parola? Probabilmente, il desiderio di rendere popolare qualche contenuto. Quello che si è svolto a Verona, il terzo di questo genere, è stato concepito proprio nell’ottica di portare nelle strade e tra tutti i tipi di persone la Dottrina Sociale della Chiesa. Il suo titolo, “meno diseguaglianze, più differenze”, rende bene l’idea dell’ampiezza di territorio su cui essa si distende. Soprattutto, sono sempre di più coloro che, disorientati dalla crisi e dal naufragio di teorie economiche e sociali sconfitte, cercano nella Chiesa le risposte e le vie per ricominciare il cammino. Di questo si è discusso a Verona, tra il 21 e il 24 novembre 2013, nel corso di un evento nel quale Papa Francesco ha voluto far sentire la sua presenza con un messaggio denso di passione e di metafore che fanno capire come la Chiesa oggi sappia di poter offrire le proprie proposte ad un mondo ansioso di porsi sulla via della ripresa economica, sociale e morale. Ne abbiamo parlato con Claudio Gentili, direttore de La Società, che il 28 febbraio presso la Fondazione G. Toniolo (ore 18), insieme a Massimo Castellani (Segretario Generale CISL-Verona), Adriano Tomba (Segretario Generale Fondazione Cattolica Assicurazioni-Verona) e Giovanna Zago (Confocooperative), presenterà gli atti del Festival.

Qual è il significato profondo di questo terzo Festival della Dottrina Sociale della Chiesa, il primo del pontificato di Francesco?

Gentili: C’è un valore particolare legato soprattutto alla dimensione della capacità dei cristiani di svolgere una funzione positiva nei confronti della società e della storia. In particolare c’è il capitolo dell’Evangelizzazione del sociale nell’Evangelii Gaudium, che espressamente riporta alcune frasi molto efficaci, la numero 182 in particolare, in cui si dice che non è possibile ridurre al privato l’esperienza del Vangelo, e che l’esperienza del Vangelo ha una risonanza sociale, che si esprime attraverso i principi della Dottrina Sociale della Chiesa e l’impegno concreto dell’azione sociale e nell’impegno nelle periferie del mondo da parte dei credenti. Ovviamente tutto questo sotto papa Francesco vuol dire porre particolare attenzione alla dimensione universalistica della fede, e al fatto che c’è una chiamata dei laici, che implica anche per loro un’urgenza di ordinare il mondo a Dio e di impegnarsi perché l’uomo possa vivere in un ambiente più umano e la giustizia possa prevalere in tutti i numerosi casi e nelle concrete situazione di ingiustizia e di oppressione.

Il papa parla di una “mistica” della Dottrina Sociale, che sembra togliere qualcosa ma in realtà restituisce un grande guadagno. Quest’idea sta passando anche in economia?

Gentili: Assolutamente sì. Diciamo che dietro quell’espressione, che viene usata dal pontefice c’è tutta una ricerca molto intensa in particolare nel libro che ha dedicato ai mistici del Seicento Michel de Certeau, un gesuita a cui papa Francesco è particolarmente collegato. Lì c’è tutta la dimensione anche della “mistica del sociale”, basta pensare a figure come Toniolo o come ai fondatori del pensiero sociale cristiano che hanno sempre collegato una forte spiritualità personale con un forte impegno sociale: queste due cose non possono mai essere scollegate. In parole povere, se uno volesse sintetizzare quali sono le due tentazioni da cui la Dottrina Sociale della Chiesa in qualche modo ci libera, una è la tentazione della fuga del mondo, che oggi è molto presente, mentre l'altra è la tentazione della confusione con il mondo, anch'essa molto presente.

Parole come cooperazione, solidarietà: la Dottrina Sociale ha introdotto un nuovo linguaggio nell’economia di oggi?

Gentili: Diciamo che la crisi delle ideologie di riferimento dell’Ottocento, che hanno creato tutta la cultura del Novecento, porta oggi a non poter più seguire l’armamentario ideologico e anche linguistico che è assolutamente superato. Da questo punto di vista, invece, la Dottrina Sociale della Chiesa manifesta una grande freschezza, giovinezza e pertinenza rispetto alle dinamiche sociali del postmoderno.

E’ possibile una finanza rimodellata alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa?

Gentili: Soltanto una persona che ignora l’etimologia della parola finanza può immaginare che la finanza sia cattiva per definizione. Finanza viene da “finis”, il che vuol dire che io trovo degli strumenti per perseguire un fine. Se voglio aprire una piccola start-up in un garage ho bisogno di un finanziatore. Quindi, guai a dare contro al finanziatore come se fosse un untore. La finanza fa parte integrante della capacità e possibilità di un sistema economico libero. E quello che non funziona è la finanza che da mezzo diventa fine. Quello che non funziona è la finanza che soffoca e uccide. Quello che non funziona è che una volta fatto 100, dell’insieme delle ricchezze che vengono prodotte attraverso l’attività d’impresa, solo il 50% viene ricavato attraverso attività d’impresa reali, manifatturiere, di servizi, ecc., mentre l'altro 50% viene da attività finanziarie. Questa esorbitante ipertrofia della dimensione finanziaria, che ha creato quello che in Italia chiamiamo turbocapitalismo finanziario, sicuramente non funziona e non va bene. Invece va bene una finanza corretta. Come si fa ad affrontare questi temi? Una prima scelta è quella di dividere banche d’investimento e banche di risparmio, evitando una pesante e inopportuna commistione tra la dimensione del risparmio che in Italia ha una sua forza e capacità costituzionale, e la dimensione dell’investimento, che spesso diventa anche un investimento dove il tasso di rischio supera ogni parametro di misurabilità e concretezza.

La Dottrina Sociale della Chiesa trova degli omologhi in altri contesti religiosi?

Gentili: Questa domanda presuppone l’idea dell’incarnazione. Tutte le religioni che non hanno quest’esperienza non possono avere una Dottrina Sociale, oggettivamente. Magari hanno una “sharia”, che è un’altra cosa. La Dottrina Sociale sta dentro una teologia dell’Incarnazione e sta dentro una teologia della Trinità, perché dentro la Dottrina Sociale ci sono differenti modalità di esercizio del principio che vuole che l’esperienza religiosa abbia un riverbero sociale. Faccio degli esempi banali: solidarietà e sussidarietà sono quasi antitetiche, perché una valorizza la persona singola l’altra valorizza il collettivo, eppure vanno tenute insieme. Bene comune non va confuso con assistenzialismo. Bene persona non va confuso con individualismo. La Dottrina Sociale che ha questi quattro pilastri – bene persona, bene comune, solidarietà e sussidiarietà – si tiene viva in quanto è unione delle differenze. Non a caso il titolo del Festival è “meno diseguaglianze, più differenze”, e noi vogliamo coltivare le differenze e non accettare l’omologazione. La differenza come differenza sessuale tra maschio e femmina, che una certa cultura gender vuole cancellare; la differenza tra economia di mercato, economia civile e cooperazione che una certa ideologia di mercato vuole cancellare; la differenza tra contratti a tempo indeterminato e contratti che favoriscono invece una maggiore flessibilità, che in qualche misura è indispensabile nel mercato del lavoro, quando non diventa ovviamente precarizzazione cronica; e la differenza a livello filosofico tra una visione globale e l’esigenza di un pensiero che guardi anche al territorio e al locale.

Papa Francesco parla anche del “poliedro”, figura dalle tante facce, come esempio della buona globalizzazione. Allora la globalizzazione può essere buona?

Gentili: Per rispondere basti dire che un tempo si diceva che l’80% della ricchezza era in mano al 20% della popolazione mondiale; oggi questo non è più vero, siamo passati ad un 65% in mano al 35%, quindi la globalizzazione ha portato molti poveri ad essere meno poveri. E’ vero che si sono allargate le distanze tra i più poveri e i più ricchi, non c’è dubbio, ma sono emerse le classi medie dei Paesi emergenti, e la popolazione mondiale ha avuto una crescita significativa da parte di persone condannate alla povertà che invece grazie alla globalizzazione hanno incontrato la possibilità di un sia pure moderato benessere. Chi sono le vittime della globalizzazione? I poveri, i ceti medi dei Paesi ricchi. Chi sono i vincenti? Ahimè, i ricchi, che vincono perché hanno a disposizione i soldi e la finanza, e le classi medie dei Paesi poveri e dei Paesi emergenti. Non si può dare un giudizio tranchant, che la globalizzazione è buona o è cattiva per definizione. Quel che è certo è che bisogna lavorare per globalizzare anche la solidarietà.

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