E’ giusto pubblicare – e talvolta speculare – su queste immagini in nome dell’informazione?
Qualcuno su Facebook ha scritto che è viva, attaccata ad un respiratore, mentre altri hanno confermato che la ragazza è morta, poco dopo il suo tweet.
La rivoluzione con lo smartphone
A 21 anni la rivolta – come scrive
Il Messaggero del 20 febbraio – si fa con il cellulare in mano. Twittando ogni istante. Fino alla fine. Anche quando un
proiettile l’ha colpita al collo mentre protestava in piazza a Kiev e la sua giacca bianca da
infermiera ha iniziato a ricoprirsi di sangue,
Olesya Zhukovskaya non si è fermata: una mano sulla ferita, l’altra con il telefonino. Dev’essere stato in quel momento, fermato da uno scatto che ha fatto il giro del mondo, che ha postato il suo ultimo tweet:
«Sto morendo».
Così la morte è finita in rete, in diretta. Senza modificare gli automatismi dei
social network. Il disperato messaggio di Olesya è stato ritwittato migliaia di volte e scelto anche come «preferito». Centinaia di tweet sono comparsi sotto il suo, tutti i ragazzi del movimento, tutti con i
telefonini in mano, hanno iniziato a dialogare a distanza, per cercare di capire cosa le fosse successo. I primi messaggi, alcuni ritwittati anche da
Euromaidan, il movimento che guida la protesta di Kiev, hanno confermato la sua morte. Molti per ricordarla hanno postato una bella foto di Olesya, sorridente, elmetto in testa e maglietta con la
croce rossa sul petto, di notte, davanti alle barricate.
Ma è corretto pubblicare in maniera ossessiva queste immagini? Qual è il limite? Si può fare tutto in nome dell’informazione?
Ci sono casi analoghi che affiorano nella memoria collettiva: quello della morte in diretta di Gheddafi, filmato con uno smartphone mentre veniva freddato dai ribelli libici. E ancora l’esecuzione in diretta del dittatore iracheno Saddam Hussein. Un uso dell’immagine spietato per portare vicino al pubblico i fatti, nudi e crudi.