L’estremismo islamico dei Boko Haram miete nuove vittimedi Anna Bono
Sabato 15 febbraio Boko Haram, il gruppo estremista islamico nato per imporre la legge coranica in Nigeria, ha compiuto una nuova strage di civili. Nell’attacco a due villaggi nello stato Nordorientale di Borno almeno 106 persone in gran parte cristiane sono state uccise: le vittime finora accertate sono 105 uomini e una donna anziana, morta tentando invano di proteggere un nipotino.
A Baga, un villaggio di pescatori sulle rive del lago Chad, un commando composto da un centinaio di miliziani ha aperto il fuoco sulla popolazione sparando in tutte le direzioni. Molte persone sono morte – ancora non si conosce il numero esatto – colpite dai proiettili o annegate nel lago nel quale si erano gettate per cercare scampo alla carneficina. Prima di andarsene, il commando ha razziato del pesce e altri generi alimentari e infine ha dato fuoco alle case. Baga era già stato devastato lo scorso aprile durante uno scontro armato tra Boko Haram e militari. Questi ultimi, poi, nei giorni successivi alla battaglia, sospettando gli abitanti di complicità con i terroristi e cercando di stanare quelli superstiti eventualmente nascosti nelle case, avevano dato fuoco a gran parte del villaggio uccidendo più di 200 persone nel corso dell’operazione.
L’altro attacco sabato scorso è stato sferrato contro Izghe, un villaggio abitato in prevalenza da cristiani. Lì i terroristi, secondo la testimonianza di alcuni superstiti, dapprima hanno radunato diversi uomini, li hanno circondati e uccisi. Poi hanno continuato la strage andando di casa in casa, per ore. Alcune delle vittime sono state abbattute a colpi di arma da fuoco. Tutte le altre sono state sgozzate: in tutto circa 90 persone.
Entrambi i villaggi sorgono in una regione in cui è in vigore lo stato di emergenza. Proprio per contrastare Boko Haram, dal maggio 2013 è in corso un’offensiva militare nel Borno e nei vicini stati di Yobe e Adamawa. Ma sia a Baga che a Izghe l’esercito non è intervenuto perché i militari hanno lasciato l’area dopo che la scorsa settimana nove di essi sono caduti vittime di un’imboscata.
Quelli di sabato sono gli attacchi più cruenti dall’inizio dell’anno, dopo quelli del 26 gennaio contro il villaggio di Waga Chakawa, nell’Adamawa, e quello di Kawuri, nel Borno, che hanno provocato in tutto 74 morti e decine di feriti.
Nel frattempo Boko Haram ha messo a segno altri due gravi attentati. Il 1° febbraio un gruppo di uomini a bordo di un’autovettura e di una moto sono penetrati in un casa, sfondandone l’ingresso, e ne hanno ucciso tutti gli abitanti: sette cristiani, una famiglia intera. È successo nel villaggio di Unguwar Kajit, nello stato di Kaduna, situato nel centro nord del paese. Dei giovani cristiani hanno quindi per rappresaglia bruciato alcune abitazioni di musulmani e tre moschee.
L’11 febbraio altre 39, forse 50 persone, tra cui tre bambini, sono morte a Konduga, una cittadina a 35 chilometri da Maiduguri, la capitale del Borno. I terroristi hanno raggiunto la località verso il tramonto e per ore hanno infierito sulla popolazione indisturbati, dopo che i militari e gli agenti di polizia presenti sul posto si erano dati alla fuga. Inoltre hanno raso al suolo e incendiato più di mille abitazioni, una moschea, una scuola, un ambulatorio medico e diversi altri edifici pubblici.
Il presidente Goodluck Jonathan, considerati gli scarsi risultati delle operazioni militari contro Boko Haram, il 16 gennaio ha sostituito i vertici delle forze armate e ha posto a capo del ministero della difesa un generale in pensione originario del Nord, Aliyu Mohammed Gusau. Ma finora, come dimostrano i continui episodi di violenza, l’avvicendamento non ha prodotto risultati. Per di più, nel momento in cui il paese si dovrebbe concentrare nella lotta ai terroristi, una profonda crisi politica indebolisce le istituzioni. Il partito di governo, il Peoples Democratic Party, PDP, ha infatti perso la maggioranza assoluta in parlamento per la defezione di decine di deputati e di senatori passati all’opposizione, a cui si aggiungono alcuni influenti governatori degli stati islamici del Nord. La crisi politica ha origine principalmente dal fatto che il presidente Jonathan, un cristiano originario del Sud, sembra intenzionato a ricandidarsi il prossimo anno, mettendo fine alla regola del PDP che finora ha alternato alla propria guida e quindi alla candidatura presidenziale un politico islamico del Nord e uno cristiano del Sud: un’eventualità che una parte del PDP e del paese non è disposta ad accettare. È in corso inoltre un rimpasto di governo che ha già portato alla sostituzione di quattro ministri, tra cui quello dell’Aviazione, Stella Ouduah, al centro di uno scandalo per corruzione: forse una mossa elettorale del presidente Jonathan per circondarsi in vista del voto di una compagine governativa gradita alla popolazione.