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Cristiani gioiosi e facce da “cetriolini sott’acceto”

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Terre D'America - pubblicato il 17/02/14
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Possiamo “imbottigliare” un po’ di questa gioia per poterla portare sempre con noi?

di Jorge Milia
 

La Messa di venerdì 10 maggio in casa Santa Marta è di quelle da ricordare. Papa Francesco ha fissato il tratto fondamentale di una personalità cristiana dicendo che “i cristiani sono uomini e donne gioiosi”, di una gioia che non è provocata da motivi contingenti: è un dono del Signore che riempie l’interiorità della persona. Ma possiamo “imbottigliare” un po' di questa gioia – si è poi chiesto – per poterla portare sempre con noi?

Non so se attribuirlo alla nostalgia ma a volte mi sembra che gli venga fuori il chimico che ha dentro. L’espressione “imbottigliare” mi ha fatto pensare a provette, alambicchi e tutto l’armamentario di laboratorio. Mi è quasi parso di percepire gli odori del laboratorio di mio padre. Credo di non sbagliarmi stabilendo questa analogia perché dopo ha risposto con un “No” alla domanda sulla “imbottigliabilità” della gioia: «No, perché se noi vogliamo possedere questa gioia soltanto per noi – dice Bergoglio, a nostro uso e consumo si potrebbe aggiungere – finisce per andare a male, come il nostro cuore e, alla fine la nostra faccia non trasmette più la gioia bensì la nostalgia, una malinconia che non è sana. A volte questi cristiani malinconici hanno più la faccia da “cetriolini sotto aceto” che da persone gioiose che hanno una vita bella».

Non mi sbagliavo, quel “vino dell’estate” non condiviso – come quello di cui parla Ray Bradbury – finiva per inacidirsi. Diventava aceto, un processo chimico per l'appunto.

– Ma non capisco perché ce l’ha coi miei cari eingelegte Gurken, i miei cetriolini sotto aceto! Manca solo che se la prenda con la birra! Mi sono lamentato con un amico che mi perseguita con le sue storie.

– Non ha niente contro i cetriolini…ma con chi ha una faccia “inacidita”, mi ha risposto.

Ho ammesso il mio errore. Questa delle facce inacidite non è una cosa nuova. Mi ha fatto venire in mente dei ricordi, nostalgie di un tempo in cui, nella scuola dei gesuiti, parlava di “non lasciar inacidire la gioia”. Erano chiacchierate informali le nostre, fuori dall’orario di scuola e quel giorno ricordo che ci soffermammo a parlare dei parrocchiani che frequentavano la chiesa dell’istituto osservando che dominavano i musi lunghi, le “facce inacidite” appunto.

– ”La Fede è gioia, la Parola di Dio è gioia. A voi piacciono le facce lunghe?” domandò allora, come domanda ancora oggi.

Ci siamo guardati fra compagni senza capire bene quello che intendeva dire e lui ha continuato:
– Se andate a trovare una ragazza, vi piacerebbe che vi riceva con il muso anziché sorridente e allegra?

– Eh no! Non ci piacciono i musi lunghi, non siamo stupidi! rispondemmo con la sicumera di noi adolescenti.

– Neanche a Dio! – assicurò – Occhio! non è la stessa cosa la faccia di uno che è “inacidito” da uno che sta soffrendo – ha precisato.
Il bello di quel che sento adesso ascoltandolo parlare di gioia e di facce inacidite è che mi ricorda altri tempi, quando avevamo meno esperienza alle spalle e più futuro davanti: nell’età felice era molto più facile convocare la gioia… E adesso no? Siamo diventati anche noi come quei parrocchiani dalle facce inacidite? Spero proprio di no, ma vorrei esserne sicuro. Ogni giorno cercano di venderci la felicità a rate. Facce sorridenti da pubblicità di dentifrici tentano di propinarci un mondo irreale a portata di portafoglio. Ma nel contratto non c’è nessuna clausola che assicuri la gioia.

Ascoltarlo da Papa senz’altro è diverso. Ma non così tanto come si potrebbe pensare. Ogni volta che ho avuto occasione d’incontrarlo ho verificato che non c’era argomento serio da trattare dove non fosse presente la gioia. Non mi sono mai chiesto il perché ma ascoltandolo adesso mi sembra di coglierlo. “Cos’è questa gioia? E’ la contentezza? No, non è la stessa cosa. Essere allegri è buono eh? ma la gioia è qualcosa di più, è qualcosa d’altro. Non è provocata da motivi contingenti, ma da qualcosa di più profondo: è un dono”.

Lui, il Papa, non si ripete mai, è sempre in movimento come la gioia. “La gioia non può star ferma: deve camminare. La gioia è una virtù in cammino. E’ un dono che cammina insieme a noi sulle strade della vita, cammina con Gesù: predicare, annunziare Gesù, la vera gioia, allunga e allarga la strada”. Di più: “La gioia è come il pellegrino”. E qui, su queste parole, la mente è andata ai miei pellegrinaggi a Santiago di Compostela. Che lui conosce. Ogni volta che gli annuncio che ne farò un altro mi dice: “Ma sei matto!”; poi aggiunge che mi accompagnerà pregando per me in modo che il vento spagnolo mi parli di Dio. E so che lo farà. Ma quello che non riesco proprio a capire è perché ce l’ha coi cetriolini sotto aceto…

[Traduzione dallo spagnolo di Mariana Gabriela Janún]

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