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Cure miracolose? No, grazie

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Chiara Santomiero - Aleteia Team - pubblicato il 31/01/14
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Pubblicata dall’Aifa la traduzione italiana di una guida di Sense about Science per orientarsi tra i rimedi prodigiosi, ma senza evidenza scientifica, offerti soprattutto dalla Rete
Quali benefici ti stanno promettendo esattamente? Gli annunci si basano su aneddoti? Il trattamento è disponibile solo su Internet e non è prescrivibile da un medico? Sono alcune delle domande contenute nella guida “Non ho nulla da perdere a provarlo” pubblicata dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) sul tema delle cosiddette "cure miracolose", cioè di quei rimedi, al di fuori dei canali della scienza medica, a cui vengono attribuite virtù eccezionali senza che vi sia alcuna evidenza scientifica a supporto. Obiettivo della pubblicazione è dare ai lettori indicazioni concrete circa la grande quantità di notizie di medicina veicolate dai media perché sappiano valutare criticamente notizie in merito a terapie e nuove scoperte. Se, infatti, rilevano dall’Agenzia del farmaco, c’è una naturale propensione umana a credere che esista per forza un rimedio a qualsiasi tipo di malattia, questa propensione è stata amplificata da Internet che spesso non permette di distinguere sperimentazioni serie verificate con metodi scientifici e dalla comunità scientifica, dalle trappole di imbonitori che speculano sulla sofferenza e che, quando non sono del tutto inefficaci, possono essere pericolose per la salute.

“Non ho nulla da perdere a provarlo” è la versione italiana ufficiale della guida per i pazienti realizzata dalla non-profit inglese Sense About Science, tradotta e adattata dall’Aifa anche in seguito al timore che vicende come quella di Stamina, sull’impiego di cellule staminali del midollo osseo per la cura di malattie neurodegenerative o del caso Di Bella per la cura del cancro di qualche anno fa possano ripetersi. Aleteia ha chiesto l’opinione dell’onorevole Renato Balduzzi, ex ministro della salute, che in tale veste fu il primo a dover dare una risposta istituzionale alla vicenda Stamina.

Quale è stata la principale difficoltà nel gestire una vicenda come quella di Stamina?

Balduzzi: La difficoltà maggiore era legata alle particolari condizioni dei malati coinvolti, persone molto giovani, bambini e anche neonati, affetti da malattie rare ancora senza una cura. Questa situazione creava in tutti una grande emozione che rendeva difficile tenere la barra dritta rispetto all’esigenza di non illudere le famiglie e salvaguardare la dignità della ricerca scientifica che in questi anni, con fatica e costanza, ha cercato di dare risposta alle malattie più terribili ma senza scorciatoie, con rigore e riscontri incrociati. Era difficile, di fronte alle domande drammatiche poste dalle famiglie, far comprendere che l’opposizione non si giocava tra la fredda scienza e le terapie compassionevoli proposte e che seguire i protocolli stabiliti dalla comunità scientifica per validare una cura è il metodo migliore per esercitare com-passione, cioè “soffrire insieme”. La nostra preoccupazione è sempre stata di garantire elevati livelli di sicurezza ed evitare che le aziende ospedaliere e i pazienti fossero oggetto di false illusioni o di truffe vere e proprie.

La disponibilità delle persone a credere nelle “cure miracolose”, anche in mancanza di evidenze scientifiche, non nasce anche dal sentirsi in più occasioni come “abbandonati” dalle istituzioni?

Balduzzi: Il sistema sanitario nel suo complesso dovrebbe offrire non una possibilità di cura astratta ma amore e attenzione alle singole situazioni. Nel caso di malattie rare rispetto alle quali non ci sono cure valide individuate l’attenzione dovrebbe essere ancora più forte. Nella vicenda Stamina un grande aiuto fu offerto dall’Istituto superiore di sanità che mise a disposizione un numero dedicato per accedere alle informazioni giuste sulla materia e sui luoghi nei quali si stanno sperimentando soluzioni non miracolose ma passate al vaglio della ricerca scientifica perché portino a un bene per il paziente e non a un male.

E’ la stessa prospettiva in cui si colloca la guida diffusa dall’Aifa?

Balduzzi: Credo che l’Aifa abbia messo a disposizione di tutti, nella traduzione italiana del testo britannico, una pubblicazione di grande valore perché unisce alla correttezza delle fonti e del metodo scientifico un linguaggio alla portata di tutti che permette a chiunque di entrare nel mondo, a volte criptico, della ricerca scientifica e delle nuove frontiere della medicina come quella predittiva o dei nuovi farmaci. Oggi che le informazioni viaggiano così velocemente, soprattutto attraverso la Rete, è importante avere delle “istruzioni per l’uso” che consentano a tutti di orientarsi. Ritengo, quindi, che non sia solamente uno strumento valido in sé per capire meglio il settore della ricerca clinica, ma anche come modello per altri campi – per esempio quelli a cavallo tra ambiente e salute – nei quali diventa necessario avere pubblicazioni di alta divulgazione scientifica.
 

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